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Comunicati Stampa

Cosa ci dicono i fatti di Gradisca, tra violenza e rimozione politica

Il grave episodio di violenza avvenuto nel centro storico di Gradisca d’Isonzo domenica 16 febbraio, che ha visto coinvolti tre giovani italiani, impone una riflessione, soprattutto alla politica locale, troppo spesso incline a semplificazioni pericolose e strumentali.

C’è da chiedersi se tra i soliti agitatori d’odio qualcuno non resti deluso dal fatto che, questa volta, sia l’aggressore che le vittime siano italiane e non straniere. Nessuno parlerà di “cultura del coltello”, né verrà chiesta l’istituzione di zone rosse per proteggere il centro storico. La vicenda, priva di un capro espiatorio comodo, rischia di essere rapidamente rimossa.

Eppure, questo episodio porta alla luce problemi che la politica continua a ignorare: il crescente disagio giovanile, senza alcun piano di intervento né per italiani né per stranieri; la diffusione di messaggi culturali violenti, alimentati dal razzismo e dalla discriminazione; l’assenza di strategie per contrastare una cultura del possesso e della sopraffazione, che soffoca i valori dell’accoglienza e della solidarietà.

Sono queste le vere emergenze, sistematicamente escluse dall’agenda politica, che invece dovrebbero essere al centro dell’azione di governo dei territori.

Redazione Friuli Venezia Giulia

Migrazione Rospi 2025, come ogni anno parte l’iniziativa di volontariato

Come ogni anno , tra metà febbraio e fine aprile, tra Clusane d’Iseo e Paratico (sul Lago d’Iseo) avviene la migrazione del Rospo Comune (Bufo Bufo), che rientra fra le specie protette dalla Convenzione di Berna del 1979 e dalla Legge Regionale n. 10 del 31 marzo 2008.

A causa della strada che separa il bosco dal canneto a lago e che impedisce ai rospi di poter migrare tranquillamente senza rischiare la propria vita, da quattordici anni un nutrito gruppo di volontari del WWF guidati da Alberto Gatti si ritrova all’imbrunire ogni sera con torcia, secchio, guanti in nitrile e giubbino catarifrangente per “raccogliere” letteralmente i rospi e per portarli dall’altro lato della strada.

Nulla li può fermare, nemmeno la pioggia!

Per chi volesse aiutare, il punto di ritrovo è vicino al distributore tra Clusane D’Iseo e Paratico (vicino al distributore).

Per ulteriori informazioni contattare Alberto Gatti dell’Associazione Monte Alto di Corte Franca e Francesco Econimo, coordinatore del progetto per le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) della Comunità Montana del Sebino

Redazione Sebino Franciacorta

Ferrara, Manifestazione Nazionale di Animal Liberation e LIMAV per la liberazione dei macachi reclusi nell’Università

La vicenda coinvolge Clarabella, Archimede, Cleopatra, Eddi, Cesare e Orazio, i nomi dei sei macachi reclusi negli stabulari dell’Università di Ferrara a scopi di vivisezione.

Già nel 2014 le associazioni animaliste avevano chiesto di chiarire se le condizioni di detenzione degli animali fossero idonee e compatibili con la loro etologia e il loro benessere. Successivamente, dopo alcune archiviazioni, l’inchiesta aveva poi ripreso vigore nel 2021, grazie a un nuovo esposto firmato dalle associazioni Animal Liberation e LIMAV Italia, la Lega Internazionale dei Medici per l’Abolizione della Vivisezione.

Numerose associazioni, infatti, lottano da molti anni per fermare tutti gli esperimenti in atto sui primati non-umani in Italia, chiedendo di liberare immediatamente i macachi per affidarli a strutture e rifugi dove possano vivere il resto della loro vita in condizioni migliori.

Secondo gli animalisti, i sei macachi dell’Università vivono isolati e perennemente rinchiusi all’interno di gabbie molto piccole, alloggiate in stanze prive di luce naturale.

Nel 2023 tra gli indagati iscritti nel fascicolo vi erano l’ex rettore Giorgio Zauli, il direttore del centro di sperimentazione Luciano Fadiga, il medico veterinario Ludovico Scenna e l’attuale rettrice dell’Università degli Studi di Ferrara, Laura Ramaciotti, la quale è stata ascoltata in procura dal Pubblico Ministero Andrea Maggioni per fornire spiegazioni in merito all’inchiesta in corso che ha l’intento di chiarire le condizioni in cui vengono tenuti sei macachi all’interno dei laboratori dell’università.

L’ipotesi di reato inizialmente era quella di maltrattamento di animali, ma è stata poi derubricata e cambiata in abbandono, poiché i primati non sono attualmente sottoposti ad alcuna sperimentazione scientifica.

In questi mesi la situazione si è ulteriormente aggravata e il macaco ORAZIO, sottoposto a esperimenti, è morto proprio a causa dei trattamenti subiti. Gli altri aspettano la stessa sorte, vivendo nel frattempo una continua dolorosa condizione di non-vita, isolati, imprigionati ognuno in un’angusta gabbia che impedisce i movimenti tipici della specie, senza vedere mai la luce del sole, costretti a stare perennemente su una rete metallica, mentre i macachi sono animali sociali che in natura cooperano.
ANIMAL LIBERATION E LIMAV, assistiti dall’avvocato David Zanforlini, hanno denunciato per maltrattamento di animali e per custodia in condizioni incompatibili con la specie, l’attuale rettrice dall’Università di Ferrara Laura Ramaciotti, il precedente rettore Giorgio Zauli, il direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Luciano Fadiga e il responsabile del benessere animale Ludovico Scenna.

I macachi devono essere sottratti alla vivisezione e a condizioni di vita che sono un maltrattamento continuo!

PER RECLAMARE IL SEQUESTRO DEI MACACHI, ANIMAL LIBERATION E LIMAV  HANNO LANCIATO LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE  sabato 22 febbraio a Ferrara, dalle 10,45 alle 14, in piazza Cattedrale e corteo fino all’Università.

Con la compattezza e forza dell’ANIMALISMO ITALIANO, hanno aderito tantissime associazioni:

Animal Defenfers, Animalisti Italiani, Animal Voices United, A Coda Alta, AsolAnimale, AVI Associazione Vegani Internazionale, BolognAnimale, CAART Coordinamento Associazioni Animaliste Toscane, CADAPA, Città Visibili Bologna, Cruelty Free, CRCSSA Centro Ricerca Cancro Senza Sperimentazione Animale, Il Vagabondo, LAC Emilia Romagna, LAER, LAV, LEAL, LIDA Firenze, LNDC Animal Protection, META, Movimento Antispecista, NOmattatoio Milano, OIPA, Progetto Vivere Vegan, Rete dei Santuari di Animali Liberi, Salviamo gli Orsi della Luna, SOS Angels, Vita da Cani.

https://www.kodami.it/inchiesta-sui-macachi-alluniversita-di-ferrara-ascoltata-in-procura-la-rettrice/

https://www.lanuovaferrara.it/ferrara/cronaca/2023/11/13/news/ferrara-la-rettrice-di-unife-e-altri-tre-sotto-indagine-per-i-macachi-1.100420475

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/14/macachi-in-gabbia-indagata-anche-la-rettrice-delluniversita-di-ferrara-la-replica-piena-osservanza-della-legge/7352944/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/02/16/macachi-laboratorio-universita-ferrara-liberazione/7878245/

In Italia la sperimentazione con animali di laboratorio è richiesta per legge per l’approvazione di farmaci e altri trattamenti, prima di quella clinica direttamente con gli esseri umani. Per quanto le attività siano regolate da norme molto severe che stabiliscono le modalità di stabulazione e i ricercatori siano obbligati a rispettare le leggi e i regolamenti che proteggono gli animali usati nella ricerca secondo le leggi nazionali e gli standard internazionali, queste norme non tutelano gli animali e il loro benessere ma anzi di fatto legalizzano una forma di violenza sistematica sugli animali ad esclusivo uso e consumo umano considerando la sperimentazione animale “inevitabile”.

In realtà ad oggi sappiamo che le pratiche della sperimentazione animale e della vivisezione non sono convalidate scientificamente e sono superate dai nuovi metodi sostitutivi di sperimentazione su modelli human-based. Secondo l’FDA, il 92% dei farmaci che superano la sperimentazione animale non superano la sperimentazione umana e il 51% dei farmaci negli USA presentano gravi reazioni avverse non scoperte prima dell’approvazione della commercializzazione (1)

(1) Moore T.J. e altri. Time to act on drug safety. JAMA, vol. 279: pp. 1571-1573, 1998

Redazione Romagna

Regione Emilia Romagna dice No alla Autonomia differenziata

Il 19 febbraio l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha approvato una Risoluzione con la quale impegna la Giunta a “manifestare formalmente il venir meno del consenso della Regione E-R alla prosecuzione di qualunque procedimento attuativo dell’art.116 c. 3 Cost.” e “a comunicare formalmente al Governo la volontà di revocare il proprio consenso all’accordo preliminare in merito all’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e le regioni Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia del 28 febbraio 2018”.

È esattamente quello che chiedevano i/le 3000 sottoscrittori/ici in una petizione popolare del 2020 – arbitrariamente mai discussa – e i/le 6000 sottoscrittori/ici di una proposta di legge regionale di iniziativa popolare del 2023, che chiedeva alla regione di recedere dalle preintese firmate dal presidente Bonaccini con il governo Gentiloni nel 2018, che istituzionalizzarono la richiesta dell’ER di ben 16 delle 23 materie disponibili alla potestà legislativa esclusiva regionale; iniziative promosse entrambe dal Comitato emiliano-romagnolo Per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata. Alla Lip è stato fatto esplicito riferimento sia nel dibattito che nella risoluzione approvata.

Una grande vittoria ed una grande soddisfazione per tutte tutti noi; e per questo vogliamo ringraziare e complimentarci vivamente con tutti/e coloro che vi hanno contribuito, con il loro impegno e il lavoro costante sul territorio.

La tenacia e l’abnegazione del Comitato per il ritiro di ogni autonomia differenziata dell’Emilia-Romagna e la risposta della Regione – circostanziata, puntuale, inequivocabile, e dunque degna di una istituzione repubblicana – dimostrano che non tutto è perduto sul fronte del dialogo tra cittadino/a e chi esercita il potere decisionale. Inoltre, che – nonostante la bocciatura da parte della Corte Costituzionale del quesito referendario e la conseguente impossibilità di celebrare un referendum contro l’autonomia differenziata, per il quale erano state raccolte 1 milione 300 mila firme – la nostra lotta deve continuare.  

Attraverso un lavoro inesausto e appassionato di formazione, informazione, vigilanza e mobilitazione – in continuità con un percorso che abbiamo inaugurato più di sei anni fa – auspichiamo e cercheremo di far sì che anche altre Regioni che hanno intrapreso o intendano intraprendere iniziative volte ad acquisire autonomia differenziata abbiano la capacità di ripensare il percorso – i cui limiti sono stati chiaramente inquadrati nelle dichiarazioni della regione Emilia Romagna – interrompendolo, e contribuendo a liquidare definitivamente un’idea di regionalismo egoista, rapace, appropriativo, sordo ai principi di uguaglianza e solidarietà e alla garanzia per tutti/e, e in egual misura, dei diritti sociali e civili.

L’Esecutivo nazionale dei Comitati per il Ritiro di ogni Autonomia differenziata, l’unità della Repubblica,  l’uguaglianza dei diritti

Redazione Romagna

Ennesimo caso di malasanità all’ASL Napoli 3 Sud, condito da malagiustizia: Giovanna Bifulco morta per errori medici, ora si chiedono nuove indagini!

Gli avvocati dello Studio Associati Maior denunciano: “Errori medici gravi e ripetuti hanno privato Giovanna Bifulco delle sue chance di sopravvivenza”

Lo Studio Associati Maior, rappresentato dagli avvocati Pierlorenzo Catalano, Michele Francesco Sorrentino e Filippo Castaldo, con il supporto del medico legale Dott. Marcello Lorello, denuncia con fermezza la tragica vicenda che ha portato alla morte della Sig.ra Giovanna Bifulco Accardi. La donna, appena quarantenne e in perfetta salute, è deceduta il 3 febbraio 2004 a causa di una catena di omissioni e negligenze mediche che le hanno negato cure adeguate. Giovanna Bifulco iniziò ad accusare vomito e diarrea il 31 gennaio 2004. Nonostante il rapido peggioramento delle sue condizioni, i medici coinvolti si limitarono a prescrizioni telefoniche e somministrazioni di farmaci inadeguati, senza mai visitarla. Nessuno, dal medico curante alla guardia medica, dispose un ricovero ospedaliero o effettuò accertamenti clinici approfonditi. Il 3 febbraio 2004, alle ore 13:00, Giovanna manifestò gravi sintomi di sofferenza respiratoria e, quando arrivò il 118, era ormai troppo tardi. Trasportata presso la clinica Santa Lucia di San Giuseppe Vesuviano, vi giunse già priva di vita.

Il procedimento penale avviato in seguito al decesso evidenziò, tramite la Consulenza Tecnica disposta dalla Procura, gravissime omissioni mediche, tra cui l’assenza di visite adeguate e la prescrizione di farmaci senza un corretto inquadramento clinico. Tuttavia, nonostante queste chiare censure, il caso venne archiviato attribuendo la morte della donna a una “complicanza virale imprevedibile”. I familiari di Giovanna Bifulco, ritenendo ingiusta questa decisione, hanno intrapreso un’azione civile per ottenere giustizia. Anche in questa sede, il CTU nominato dal Tribunale ha confermato le gravi negligenze mediche, riconoscendo che “i mancati controlli dei sanitari hanno determinato il non riconoscimento della gravità del caso clinico”. Eppure, con una contraddizione inspiegabile, si è concluso che tali omissioni non avrebbero comunque potuto evitare la morte della paziente. Il Tribunale di Nola ha quindi rigettato la domanda attorea, e tale decisione è stata confermata sia in Appello che in Cassazione. Gli avvocati dello Studio Associati Maior, insieme al medico legale Dott. Marcello Lorello, chiedono con forza la riapertura delle indagini per accertare finalmente le responsabilità di chi, con condotte omissive e negligenti, ha negato a Giovanna Bifulco la possibilità di ricevere cure adeguate. “È inaccettabile che errori medici così evidenti siano stati minimizzati, impedendo l’accertamento delle dovute responsabilità” denunciano i legali. Oltre alla denuncia/querela già depositata per la riapertura delle indagini, i familiari di Giovanna Bifulco hanno avviato un’azione di sensibilizzazione istituzionale affinché tragedie simili non restino impunite. I sindaci dei Comuni coinvolti hanno espresso la loro vicinanza alla famiglia e si stanno valutando azioni congiunte per garantire finalmente giustizia.

 

Studio Associati Maior

Redazione Napoli

Parte la petizione RimborsaMI: gli utenti ATM chiedono un indennizzo tramite bonus al Comune di Milano

La flessione del servizio di superficie erogato da ATM a Milano è un problema noto. Da mesi occupa le prime pagine dei giornali e di recente è stato confermato anche dal rapporto del Laboratorio di Politica dei Trasporti (Transpol) del Politecnico di Milano che per il periodo 2016-2024 ha documentato una contrazione del 15-20% con punte del 30-50% per alcune linee.

Ma è particolarmente nell’ultimo biennio 2023-2024 che la riduzione delle corse e l’irregolarità dei passaggi dei mezzi di superficie ATM hanno inciso pesantemente sulla qualità della vita e sul portafoglio dei cittadini di Milano e hinterland.
Un disagio evidenziatosi nelle tante iniziative di protesta (assemblee, petizioni e raccolte firme, manifestazioni di piazza) messe in atto da diversi gruppi civici, con l’azione trainante del Comitato Basmetto, del raggruppamento di comitati “La 73 non si tocca” e di “AspettaMI, Milanesi in attesa dei bus”, gruppo Facebook che in 9 mesi ha raccolto tantissime testimonianze fotografiche dei ritardi dei mezzi di superficie ATM ed altri disservizi, pubblicate dagli oltre 4mila membri.

Come si coglie anche dai post nel gruppo AspettaMI, molti utenti ATM sentono di aver diritto ad un indennizzo per il 2023-2024 e ad uno sconto per i disservizi, tagli di corse e frequenze che – per previsione degli stessi manager di ATM e Assessora alla Mobilità del Comune di Milano – caratterizzeranno anche tutto il 2025, mentre ATM e Comune cercano di correre ai ripari sul problema della carenza di autisti e della fuga degli stessi da ATM.

Da qui nasce l’idea del Comitato Basmetto di una petizione al Comune di Milano per ottenere il riconoscimento di un bonus pari al 30% del valore degli abbonamenti mensili e annuali 2023-2024, utilizzabile come sconto sull’acquisto di abbonamenti mensili e annuali nel 2025 e/o 2026.

Sonia Ferrari del Comitato Basmetto spiega: “La nostra petizione è sostenuta da 14 altri comitati e gruppi di quartiere che hanno sottoscritto il testo e ci aiuteranno nella raccolta delle firme: perché il Comune di Milano sia obbligato a darci una risposta formale ne serviranno almeno 1000, un obiettivo che abbiamo già raggiunto con una petizione del 2024”.
“Chiediamo un bonus del valore del 30% degli abbonamenti – continua Sonia Ferrari – perché nel 2023-2024 il servizio di superficie di ATM, tra tagli di linee, salti delle corse e rimodulazioni, è stato stimato come inferiore del 30% rispetto al 2022. L’idea del bonus ha ricevuto il parere favorevole di un’associazione di tutela dei consumatori con la quale ci siamo confrontati anche su possibili azioni legali da intraprendere se la situazione del trasporto di superficie milanese non dovesse tornare a livelli veramente accettabili. Tra l’altro ATM non si è dotata della Carta della qualità dei servizi prevista come obbligatoria dalla legge finanziaria del 2008”.

Per Adriana Berra, fondatrice del gruppo Facebook AspettaMI, “la petizione è un segnale per dire al Comune di Milano e ATM che noi utenti non siamo più disposti a subire e stiamo cominciando a pensare a come far valere i nostri diritti. Ma è anche una proposta conciliante: il bonus è una forma di risarcimento molto ragionevole, rispetto alla class action suggerita da molti cittadini allo sciopero dei biglietti e abbonamenti invocato da tanti altri”.
“Del resto – prosegue Adriana Berra – a noi non interessa pagare zero un servizio scadente, bensì pagare il giusto un servizio che al più presto deve ritornare all’efficienza, alla puntualità e alla capillarità per raggiungere tutti, non lasciare indietro nessuno e far funzionare una città come Milano, dove il trasporto pubblico è essenziale per garantire i servizi ai cittadini”.

La petizione è stata appena pubblicata nella sezione “Milano Partecipa” del sito del Comune di Milano e può essere votata da tutti i residenti a Milano e i “city user” sopra i 16 anni di età entrando con lo SPID o la CieID e seguendo il percorso:
https://partecipazione.comune.milano.it > PETIZIONI > BONUS 30%

I comitati promotori organizzeranno anche la raccolta firme su moduli cartacei. Indicazioni in merito saranno via via disponibili sulle pagine Facebook dei comitati.

Comunicato congiunto del Comitato Basmetto e AspettaMI, Milanesi in attesa dei bus

Milano, 21 febbraio 2025

Redazione Milano

Amnesty International: “Al confine tra Usa e Messico il diritto d’asilo è inesistente”

In una ricerca intitolata “Vite in un limbo: il devastante impatto delle politiche di Trump in materia di asilo e immigrazione”, Amnesty International ha denunciato che il diritto d’asilo al confine tra Stati Uniti d’America e Messico è inesistente, in violazione degli obblighi nazionali e internazionali degli Usa in materia di diritti umani.

La ricerca si basa su interviste alla frontiera, realizzate tra il 3 e il 9 febbraio, a persone che cercavano salvezza negli Usa. Le allarmanti conclusioni cui Amnesty International è giunta sono il frutto dei decreti esecutivi del presidente Trump e dell’aumento della militarizzazione della frontiera da parte del governo del Messico.A seguito della totale demolizione del diritto d’asilo da parte dell’amministrazione Usa al confine col Messico, le persone in cerca di salvezza non hanno praticamente alcun modo di ottenerla tramite una procedura legale. Secondo le norme statunitensi in materia d’immigrazione, le persone possono chiedere asilo indipendentemente dalla modalità di ingresso e possono presentare domanda solo una volta entrate negli Stati Uniti.

Sebbene l’uso obbligatorio dell’app Cpb One per le richieste d’asilo fosse illegale, la fine del suo impiego ha abbandonato al loro destino in Messico decine di migliaia di persone, tra le quali minorenni non accompagnati, senza un luogo dove andare e senza un modo per cercare salvezza.

In assenza degli appuntamenti fissati tramite Cpb One, le persone restano intrappolate in situazioni precarie e pericolose sul lato meridionale della frontiera, che è particolarmente rischioso per le persone messicane richiedenti asilo. Decine di persone hanno descritto ad Amnesty International l’impatto delle nuove politiche.

L’amministrazione Trump ha ordinato azioni mirate dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia federale responsabile della sicurezza delle frontiere), ha smantellato il Programma di ammissione delle persone rifugiate, ha abolito diritti costituzionali come la cittadinanza alla nascita e ha dato seguito ad azioni già annunciate che affondano le loro radici nel razzismo e nel suprematismo bianco.“L’amministrazione Trump ha fatto della frontiera tra Usa e Messico un luogo apertamente ostile ai diritti umani e ha mostrato un profondo disprezzo per l’umanità e la dignità delle persone in cammino. Il diritto di chiedere asilo semplicemente non esiste più e persone vulnerabili sono abbandonate a loro stesse mentre le associazioni che si prendono cura di loro ora rischiano rappresaglie e criminalizzazione e stanno cercando disperatamente d’impedire un disastro umanitario di dimensioni ancora maggiori”, ha dichiarato Amy Fischer, direttrice del programma Diritti delle persone migranti e rifugiate di Amnesty International Usa.

La ricerca di Amnesty International è stata pubblicata proprio mentre l’amministrazione Trump ha privato di fondi le organizzazioni umanitarie che svolgono un lavoro cruciale alla frontiera e che beneficiavano di aiuti provenienti da Usaid e da altri programmi governativi.Lungo la frontiera, le organizzazioni che offrono rifugi, orientamento legale e assistenza umanitaria ora sono in crisi, dato che molte di loro non hanno più mezzi economici per continuare a operare.

“I rifugi lungo la frontiera sono obbligati a lasciare fuori le bambine e i bambini. Molti di loro a malapena si rendono conto di cosa stia accadendo e quelli che lo capiscono si trovano di fronte a una decisione impossibile da prendere: o tornare nel luogo da dove sono fuggiti sapendo che potranno non sopravvivere o mettere le loro vite nelle mani dei trafficanti”, ha commentato Mary Kapron, ricercatrice di Amnesty International.

Il governo del Messico ha inasprito la militarizzazione alla frontiera, inviando altri 10.000 soldati e alimentando un clima di paura tra le persone in cerca di salvezza che ha causato arresti di massa ed espulsioni.“Il fatto che ora sia impossibile chiedere asilo alla frontiera mette in pericolo soprattutto le persone messicane in cerca di salvezza. A differenza delle persone di altre nazionalità, loro fuggono dalla persecuzione che subiscono nel proprio paese e ora non hanno alcun modo di chiedere protezione internazionale agli Usa”, ha sottolineato Mónica Oehler Toca, ricercatrice di Amnesty International.

Amnesty International continua a sollecitare gli Usa a trovare urgentemente soluzioni rispettose dei loro obblighi internazionali e di smetterla di fare politica e seminare paura sulla pelle delle persone attraverso politiche in materia di asilo e immigrazione sempre più dure che violano i diritti umani di chi cerca salvezza, alimentano la violenza contro le persone afrodiscendenti, latine e native ed esacerbano il malfunzionamento di un sistema migratorio già in difficoltà.

L’organizzazione per i diritti umani chiede al governo messicano di non collaborare più alle dannose politiche statunitensi in materia di immigrazione e di attuare immediatamente misure che assicurino la salvezza e la sicurezza delle persone richiedenti asilo che transitano lungo il Messico.

Amnesty International continuerà a documentare le violazioni dei diritti umani, a chiedere diritti per tutte le persone migranti e in cerca di salvezza negli Usa e a pretendere che le autorità di governo degli Usa e del Messico rispondano del loro operato.

Amnesty International

Oltre 13 ore di proposte e idee per la Pace nell’anniversario dell’inizio della guerra in Ucraina

Ricco e articolato il palinsesto degli appuntamenti della maratona virtuale “Insieme contro tutte le guerre, la pulizia etnica e la corsa al riarmo”, promossa dalle cinque Reti pacifiste della società civile italiana

Decine di ospiti e collegamenti in ventidue appuntamenti tematici, con inizio alle 8.30 (e termine alle 22.00) di lunedì 24 febbraio, terzo anniversario dell’invasione russa in Ucraina. Sono questi i numeri della mobilitazione “virtuale” organizzata dalle cinque Reti della società civile italiana da tempo attive congiuntamente sul tema della Pace. Un ricco programma che, grazie alla risposta entusiasta e ai contributi di spessore proposti dalle organizzazioni promotrici, si dipanerà su una tempistica (circa 13 ore e mezzo di trasmissioni) più estesa rispetto all’ipotesi iniziale (di 12 ore). Una dimostrazione della capacità di attivazione, analisi, proposte reali basate su esperienza e riflessione che caratterizza le attività delle realtà che fanno parte di Europe For Peace, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace, Sbilanciamoci e Coalizione Assisi Pace Giusta.

L’obiettivo di fondo – esplicitato nel testo di convocazione della “maratona” online – è chiaro: “Cessate il fuoco è la priorità, oggi più di ieri. Fermare la guerra in Europa per ristabilire giustizia e sicurezza condivisa con gli strumenti della politica e della diplomazia, nel quadro del diritto internazionale e non con nuovi ricatti, affari o accordi segreti”

La giornata di mobilitazione virtuale vuole essere un contributo in tale direzione grazie a dibattiti, approfondimenti, collegamenti con le situazioni di conflitto (in particolare ovviamente con l’Ucraina) che si snoderanno dopo una prima sessione introduttiva animata dagli esponenti delle Reti promotrici.

Tra gli ospiti dell’articolato palinsesto (consultabile in questa pagina con i dettagli delle singole sessioni, che si potranno seguire e rilanciare anche singolarmente) alcuni dei nomi più importanti della società civile italiana, oltre che analisti, docenti e ricercatori, sindacalisti, attivisti umanitari e di Pace, sindaci e rappresentanti dei coordinamenti  territoriali: dagli schermi e dalle piazze di tutta Italia verrà dunque rilanciata la richiesta di una Pace positiva e vera. In Ucraina e in tutto il mondo.

L’iniziativa si svolgerà dalle ore 8:30 alle ore 22:00 di lunedì 24 febbraio, con diretta streaming sul canale YouTube di Rete Pace Disarmo, sulle pagine Facebook di Fondazione PerugiAssisi e Sbilanciamoci, e sulle piattaforme digitali delle organizzazioni facenti parte delle cinque Reti promotrici.

 

8.30

Insieme contro tutte le guerre, la pulizia etnica e la corsa al riarmo Sergio Bassoli (Rete Pace Disarmo), Giulio Marcon (Sbilanciamoci), Flavio Lotti (Fondazione PerugiAssisi), Silvia Stilli (AOI)

9.00

Perché questa guerra in Europa. Si poteva evitare? Quali prospettive? Lucana Castellina (presidente onorario ARCI),  Martin Koehler (Sbilanciamoci), Mario Pianta (docente universitario, Sbilanciamoci)

10.00

Il conflitto religioso nella guerra in Ucraina Maria Elena Lacquaniti (Glam FCEI), Cristina Mattiello (CIPAX), Luigi Sandri (giornalista), Luciano Ardesi (CIPAX)

10.35

I conflitti armati nel mondo Alice Pistolesi (Atlante delle Guerre)

10.42

Attacco agli organi di giustizia internazionali del sistema ONU Triestino Marinello, Docente ed esperto di diritto internazionale

11.00

Guerra agli umani e alla natura. Il disastro ambientale delle guerre e la necessità della transizione ecologica Vanessa Pallucchi, Barbara Meggetto, Angelo Gentili, Marzio Marzorati, Luciano Castrigniano. Conduce Silvia Argentiero (Legambiente)

12.10

La voce della Pace dalle città – interviste ai Sindaci Pierluigi Sanna (Sindaco di Colleferro RM), Damiano Tommasi (Sindaco di Verona), Francesca Benciolini (Assessora di Padova), Pasquale Chieco (Sindaco di Ruvo di Puglia BA), Lorenzo Perrini (sindaco di Cisternino BR), Valentina Avvantaggiato (sindaca di Melpignano LE)

12.35

L’impegno dei lavoratori per la Pace Luc Triangle (Segretario Generale CSI/ITUC) Oleksandr Shubin (Vice-Presidente FPU, Ucraina)

12.40

Le parole della Pace Clara Habte (Rete NoBavaglio), Vincenzo Vita (Articolo 21) con interventi di Raffaella Cosentino, Alessandra Fabretti, Lidia Ginestra, Angela Caponnetto, Giammarco Sicuro, Nico Piro, Nello Scavo, Alberto Negri.

13.30

Ferma il riarmo! Ridurre le spese militari e gli intrecci tra finanza ed armi Francesco Vignarca (Rete Pace Disarmo), Sofia Basso (Greenpeace Italia), Giulio Marcon (Sbilanciamoci)

13.55

Obiezione alla guerra e Difesa Nonviolenta Mao Valpiana e Daniele Taurino (Movimento Nonviolento) con testimonianze di obiettori e obiettrici da Russia, Palestina, Israele

14.15

Cosa succede in Medio Oriente (SWA) Raffaella Bolini (ARCI), Fabio Alberti (Un Ponte Per), Rosita De Peri (Docente di Politiche, Istituzioni e Culture del Medio Oriente), Meri Calvelli (Fondazione Via), Luisa Morgantini (Assopace Palestina), Virginia Sarotto (Arcs Libano), Fouad Rouelhia (Un Ponte Per), Chiara Caporizzi (Un Ponte Per)
  Munther Isaac (pastore luterano Betlemme) Kairos Palestina

15.40

Dalla Pace “giusta” alla Pace “martoriata”: da dove ricomincia l’Unione Europea? Susanna Florio (ANPI), Marco Tarquinio (Europarlamentare), Carlo Cefaloni (Città Nuova), Albino Amodio (generale a riposo, ANPI)

16.45

La necessità del Disarmo Nucleare Lisa Clark (Beati i Costruttori di Pace), Francesco Vignarca (Rete Pace Disarmo)

17.00

Per l’Onu dei popoli. Verso la PerugiAssisi Flavio Lotti (Fondazione PerugiAssisi per la cultura di pace), Marco Mascia (docente universitario su Diritti Umani), Jean Fabre e altri

18.00

Guerra in Ucraina: che cosa pensano gli italiani e cosa propongono Fabrizio Battistelli (Archivio Disarmo) intervistato da Alessia Grossi (Il Fatto Quotidiano)

18.40

Africa: tra guerre, dialogo e riconciliazione Rossella Miccio (Emergency), Giusy Baioni (Giornalista freelance), Paolo Impagliazzo (Comunità di Sant’Egidio), Joel Odigie (ITIC/Africa)

19.30

Missioni di Pace Collegamento con Alberto Capannini (Comunità Papa Giovanni XXIII) da Kherson e con iil progetto umanitario di Emergency in Ucraina

20.00

Quale Pace in Ucraina? Come? Chiara Pazzaglia (ACLI), don Marco Pagniello (Caritas Italiana), Emiliano Manfredonia (ACLI), Marco Calvetto (Ipsia), Andrea Villa e Sofia Meroni (ACLI Milanesi)

20.50

Basta favori ai mercanti di armi Anna Fasano (Banca Etica), Francesca Rispoli (Libera), Giorgio Beretta (Opal Brescia), Simone Siliani (Fondazione Finanza Etica)

21.15

L’Italia che ripudia la guerra – voci dalle Piazze e dai Territori Contributi dalle piazze di tutta Italia

21.35

L’Italia che ripudia la guerra – la voce della Società Civile Coordinatori delle Reti promotrici, con messaggi e interventi di Walter Massa (ARCI), Emiliano Manfredonia (ACLI), Stefano Ciafani (Legambiente), mons. Giovanni Ricchiuti (Pax Christi), Gianfranco Pagliarulo (ANPI), Mario Giro (Comunità di Sant’Egidio), Maurizio Landini (CGIL) e tanti altri

Rete Italiana Pace e Disarmo

Egitto, giustizia per l’attivista Alaa Abd El Fattah

Da quando c’è Al-Sisi al potere, finire in carcere in Egitto è fin troppo semplice se non si segue la linea dettata dalle autorità. Così, come è successo anche a Patrick Zaki, in prigione è finito Alaa Abd El Fattah, blogger e attivista egiziano-britannico, tra i punti di riferimento delle proteste di piazza Tahrir del 2011.

Negli ultimi 10 anni, Alaa ha fatto dentro e fuori dal carcere per via del suo impegno politico. Nel 2019 è stato nuovamente arrestato, lasciato per due anni in detenzione preventiva e nel 2021 condannato a cinque anni di carcere con l’assurda accusa di terrorismo e diffusione di notizie false. Per protestare contro questa ingiusta detenzione, nel 2022 Alaa ha messo in atto uno sciopero della fame, ma ha dovuto interromperlo quando, a causa del grave stato di deperimento, ha perso i sensi sotto la doccia.

In carcere ha continuato a scrivere e, tramite una rete di editor e giornalisti, i suoi messaggi sono stati raccolti in un libro uscito anche in Italia col titolo “Non siete stati ancora sconfitti”. Per la qualità e i contenuti dei suoi testi è chiamato “il Gramsci d’Egitto”.

Avrebbe dovuto essere rimesso in libertà lo scorso settembre, ma le autorità egiziane non hanno tenuto conto dei due anni passati in detenzione preventiva. Così Alaa si trova ancora in carcere, oltre il tempo dovuto e  senza una colpa.

Da cinque mesi sua mamma Leila è in sciopero della fame per chiedere che suo figlio venga scarcerato il prima possibile e riceva tutte le cure di cui ha bisogno.

 

Unisciti al coro di voci che chiede la libertà per Alaa:

https://www.amnesty.it/appelli/egitto-attivisti-condannati-dal-tribunale-di-emergenza/?utm_source=DEM&utm_medium=Email&utm_campaign=DEM11035

Amnesty International

Rinnovo Contratto Sanità, Nursing Up smaschera chi è pronto a firmare un contratto al ribasso: una scelta che penalizza i lavoratori e favorisce l’immobilismo dell’ARAN

ROMA 21 FEB 2025 – La verità è sotto gli occhi di tutti: mentre noi di Nursing Up continuiamo a batterci per ottenere un contratto che riconosca il giusto valore agli infermieri e alle professioni sanitarie, alcune sigle sindacali si dicono pronte a sottoscrivere un accordo che riteniamo inadeguato, senza i necessari miglioramenti economici, normativi e professionali per i lavoratori.

Alcuni sindacati provano a far ricadere su di noi la responsabilità del mancato rinnovo contrattuale, sostenendo che la nostra posizione blocchi gli aumenti. La realtà, invece, è ben diversa: il contratto in discussione non garantisce un adeguato riconoscimento economico, non prevede reali percorsi di crescita professionale e non migliora le condizioni di lavoro di infermieri, ostetriche e professionisti sanitari. Chi lo accetta, di fatto, avalla una soluzione che non risponde alle esigenze delle categorie.

Un contratto scritto senza un reale confronto con chi rappresenta i lavoratori

Ancora una volta, ARAN e Regioni propongono un contratto che non tiene conto della perdita del potere d’acquisto subita negli ultimi anni. Noi chiediamo una redistribuzione più equa delle risorse stanziate per il rinnovo, e questo l’ARAN non lo dice, e la valorizzazione professionale che spetta agli infermieri e agli altri professionisti della salute.  

Sottoscrivere un contratto senza le necessarie garanzie significa accettare una soluzione al ribasso, senza ottenere il dovuto riconoscimento per chi ogni giorno lavora con professionalità e dedizione in un sistema sanitario sempre più in affanno.

Nessuna imposizione, vogliamo una vera trattativa

È chiaro il tentativo di portare avanti il rinnovo contrattuale con la logica del “prendere o lasciare”, facendo pressione sui sindacati affinché firmino un accordo scritto dai datori di lavoro e che non vogliono. Ma noi di Nursing Up non accettiamo imposizioni: vogliamo un confronto reale, basato su proposte concrete e su un negoziato serio.

Se ARAN avesse davvero voluto chiudere questa partita in modo equo, allora avrebbe dovuto aprire il tavolo a vere trattative, senza convocazioni di facciata. Fino ad allora, continueremo a portare avanti le istanze degli infermieri e delle professioni sanitarie in ogni sede.

Ma se preferisce lo stile provocatorio, puntando il dito “sulla maggioranza che non ha firmato un contratto che non accetta”, allora stia pur certa, che per quanto ci riguarda basterà solo un cenno, e la nostra risposta non tarderà ad arrivare. 

Noi non ci arrendiamo. Noi siamo con gli infermieri, le ostetriche e le altre professioni sanitarie.

UFFICIO STAMPA SINDACATO NURSING UP

Redazione Italia