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Palestina

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio”

Benvenuti alla quarta parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Cosa è la Palestina oggi? Da cosa viene soffocata e come sopravvive?

La domanda può essere approcciata da diverse angolazioni.
Da un lato potremmo dire che la Palestina, o meglio, tutto il quadro degli eventi a cui stiamo assistendo oggi in Palestina, rappresenta il tragico paradigma della contemporaneità: l’avidità senza freno dei potenti da un lato, la nostra assuefazione all’ingiustizia, dall’altro.
Ogni giorno tutti noi siamo vittime di piccole e grandi arroganze da parte dei poteri. Talmente abituati a essere bombardati dalle prevaricazioni che spesso neanche più ci ribelliamo, accettando ogni volta la nuova asticella, il nuovo limite, la nuova legge, la nuova tassa, il nuovo divieto come parte integrante dell’essere ingranaggi di una società incentrata sul potere di pochi.

L’altra faccia della medaglia però è che, non ribellandoci, noi accettiamo (centimetro dopo centimetro) che i governi, le multinazionali, le lobby ci tolgano ancora maggiori fette di libertà, diritti, indipendenza, stritolandoci sempre più tra le spire della loro pantagruelica avidità. Le democrazie sono in crisi, le ideologie sono scomparse, il lavoro ha perso la sua componente nobilitativa. Tutta la società contemporanea risulta oggi impostata in funzione delle necessità dei potenti: farci produrre, farci consumare, arricchirsi sulle nostre fatiche.

Diventa dunque imperativo iniziare a domandarci quale limite noi, il popolo, siamo disposti a sopportare prima di ribellarci. All’interno di questo quesito rivoluzionario, si innesta ciò che vediamo succedere in Palestina: siamo noi disposti ad accettare che il potere arrivi perfino a genocidare un intero popolo per 365 miseri chilometri quadrati di terra?

Dunque, una prima risposta alla tua domanda potrebbe essere che la Palestina è un simbolo: il paradigma della ferocia di un potere avido, inumano e violento che pensa di possedere tutto, finanche le anime delle persone. Ma è anche una sollecitazione alla nostra capacità di fissarci dei limiti oltre i quali la nostra umanità deve gridare “BASTA”.

Un’altra prospettiva su cui riflettere, nel rispondere alla tua domanda, è quella di inquadrare la Palestina come una creatura in via di estinzione. E come tutto ciò che rischia di evaporare nell’oblio, provare a tutelarla. Mi spiego meglio: la voracità dello Stato di Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio. Colonia dopo colonia, l’estensione di ciò che oggi si può chiamare “Palestina” sulla mappa geografica si è tragicamente assottigliata.

La cosa risulta ancora più inquietante se si pensa che una manciata di decadi fa, il giorno prima del 14 maggio 1948, quando Ben Gurion autoproclamò la nascita dello stato di Israele, tutta la regione geografica compresa tra il Mediterraneo e il fiume Giordano era marcata nelle mappe geografiche come “Palestina”; non un nome coniato dai nemici del sionismo, ma risalente addirittura al XII secolo a. C. su volontà degli antichi egiziani (da Peleset, il nome dato ai Filistei), oppure quel Palaistine (Παλαιστινοί) utilizzato nel V secolo a.C. da Erodoto o, ancora, “Syria Palestina” secondo Adriano (135 d.C.).

E fa impressione, in questo grottesco teatro dell’assurdo in cui il sionismo pelecida fa a gara a spararla sempre più grossa, leggere frasi negazioniste come: “«Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un ‘popolo palestinese’ […] è una finzione» elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista” (B. Smotrich)

In questa sorta di “terrapiattismo” in chiave geopolitica, i sostenitori di questa sgangherata tesi ignorano perfino i contenuti dei documenti redatti dai sionisti per gli stessi sionisti.
La Dichiarazione Balfour, ad esempio, ovvero la lettera che l’omonimo ministro inviò a Lord Rothschild nel 1917 per auspicare “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
O, ancora lo stesso Theodor Herzl, padre fondatore del sionismo, che nel suo “A Jewish State” chiedeva espressamente al suo lettore “shall we choose Palestine or Argentine?”.

Di quel vasto territorio chiamato Palestina, ed evocato come terra promessa perfino dai sionisti nel secolo scorso, cosa rimane oggi? A ovest, una striscia di terra ormai ridotta a fossa comune difficilmente abitabile. A est, una Cisgiordania ormai maculata dalla colonizzazione illegale, squassata dalla violenza, simile a una carcassa su cui si avventa ogni avvoltoio con doppio passaporto e la voglia di rubarsi un pezzo di terra a condizioni fiscali agevolate. Dunque, sì: una Palestina a rischio di estinzione.
Vengono quasi in mente gli antichi romani quando, negli spazi bianchi delle mappe, scrivevano “hic sunt leones”. I pelecidi di oggi ci scriveranno “hic non sunt amplius Palæstini”.

Sulla tua seconda domanda, ovvero da cosa viene soffocata la Palestina, la risposta sarebbe articolata ma la condenserei sul simbolo per eccellenza dell’oppressione: le mura perimetrali realizzate da Israele a partire dagli anni 2000 attorno alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania.
A mio avviso, quelle recinzioni sono le fondamenta pragmatiche sopra cui è edificata tutta l’ideologia sionista dell’apartheid.

Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ne fornì un giudizio inequivocabile: “l’edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l’interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale”. Ma Israele aveva una strategia e, nonostante la sollecitazione della Corte a smantellarlo, lo mantenne in piedi.

Per capire il principio soggiacente quella strategia vanno qui riportate le parole di Michael Fakhri, relatore speciale del Consiglio per i diritti umani (ONU) quando a ottobre 2024 spiegava il report sulla denutrizione a Gaza, puntando l’indice accusatore proprio sul muro: “affamarli (i palestinesi n.d.r.) è il risultato di scelte compiute da decadi. […] bisogna andare indietro al 2000, quando Israele ha iniziato il suo blocco contro Gaza. […] Come un rubinetto che (Israele n.d.r.) può aprire o chiudere […] Contando le calorie e misurando cosa era permesso far entrare a Gaza ed essere sicuri che ciascuno rimanesse affamato, ma non così tanto da sollevare campanelli di allarme nel mondo. Così, il 6 di ottobre (il giorno prima degli attentati n.d.r.) metà della popolazione di Gaza presentava criticità alimentari e l’80% dipendeva dagli aiuti umanitari”.

Tutto quindi passa attraverso il muro: ciò che entra e ciò che esce; cose e persone.
Ad esempio, le imposte e i dazi doganali sui prodotti che varcano le mura e su cui solo Israele si arroga il diritto di commercio. Questi soldi servono, tra le altre cose, a pagare gli stipendi degli impiegati pubblici che, secondo i dati 2018 del Palestinian Central Bureau of Statistics, rappresentano un terzo dei lavoratori palestinesi. A cadenza periodica Israele decide di trattenerli: migliaia di famiglie palestinesi rimangono senza stipendio.

Oppure gli assalti ai pescherecci palestinesi per limitarne il territorio di pesca del 40% rispetto agli accordi di Oslo (fonte Euro-Med Human Rights Monitor) così da far calare il numero di pescatori registrati a Gaza da 10.000 a 4.000 unità in soli 20 anni.

Non va meglio sul fronte dell’agricoltura dove “durante tutto l’anno, gli aerei israeliani spruzzano ripetutamente erbicidi sulle terre palestinesi lungo i confini, causando danni alle colture agricole” (fonte EMHRM). A questo si aggiunga il divieto per i contadini ad avvicinarsi alla recinzione entro i 1.000 – 1.500 metri per aggiungere un’ulteriore deprivazione del 35% di territorio coltivabile.

E potremmo parlare del giacimento di Meged, il cui petrolio scorre anche sotto la Cisgiordania ma che Israele rifiuta di condividere o il Gaza Marine, un giacimento di gas a 20 miglia dalla costa di Gaza il quale, “se sfruttato adeguatamente, […] potrebbe coprire l’intero fabbisogno palestinese di gas e consentirebbe anche di effettuare esportazioni.” (fonte Geopop).

I palestinesi dunque sopravvivono in larga parte grazie agli aiuti umanitari distribuiti dall’UNRWA. Una distribuzione che non sottostando al controllo israeliano diventa disfunzionale alla politica pelecida. E così, con la scusa della manciata di lavoratori favorevoli a Hamas, su 30.000 impiegati, ecco spiegato il principale motivo della messa al bando e del susseguente tentativo di Israele di sostituirla con un’altra istituzione “rubinetto”, da poter chiudere su necessità politica.

Ma forse, alla tua domanda “cosa soffoca oggi il popolo palestinese”, la risposta più atavica e ciclica alla base dei genocidi è sempre la stessa: l’indifferenza del mondo.
L’indifferenza, complicità, propaganda, interessi economici dei potenti.
Quella stessa indifferenza che permise lo sterminio degli ebrei, nell’Europa nazista, oggi si ripresenta. E fra qualche decennio si ripresenteranno anche i ciclici memoriali, le cicliche giornate della memoria, le cicliche lacrime postume.

Chissà, forse fra venti anni ci sarà una bella stele in marmo a Gaza Riviere, luongo un Palestine Boulevard (magnanimamente concesso in terra d’Israele).
Di fronte al grattacielo edificato sopra una delle tante fosse comuni e, al largo, lo yacht dell’oligarca stipato di modelle e champagne. Nulla che la storia non abbia già visto.

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

Incontro Mattarella – Herzog: diritto internazionale à la carte

Assopace Palestina afferma la sua indignazione e sconcerto alla calorosa accoglienza riservata ieri dal nostro Presidente della Repubblica Mattarella al Presidente israeliano Herzog, nel corso del secondo incontro ufficiale dall’inizio delle operazioni militari contro Gaza e Cisgiordania.

Il nostro Presidente della Repubblica, a nome di tutti gli italiani, ha affermato che “La sua presenza a Roma è un onore per la Repubblica italiana”, passando poi a parlare esclusivamente dell’impegno dell’Italia contro l’antisemitismo che, a suo dire, sarebbe aumentato, ma non ha espresso neanche una parola sulla situazione nei territori palestinesi e sul piano di deportazione e pulizia etnica della Palestina in primo luogo dei Gazawi, nemmeno una parola di dolore e di vicinanza alla popolazione palestinese cosi colpita dall’aggressione israeliana.

Ci preme ricordare che Herzog è colui che, il 12 ottobre 2023, dichiarò “è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, che non sono coinvolti, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto insorgere, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio […] noi combatteremo fino a quando non spezzeremo loro la spina dorsale.”; è colui che si è fatto ritrarre in foto mentre scriveva “mi affido a te” sui missili destinati a colpire qualche casa, ospedale, scuola o tendopoli di Gaza; è colui che ha attaccato l’Onu, la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale di “bancarotta morale” perché hanno osato condannare i numerosi crimini compiuti contro la popolazione inerme di Gaza. E ricordiamo, infine, che le dichiarazioni di Herzog sono state allegate al fascicolo presentato all’Aja come una delle prove dell’intenzionalità di colpire i civili e quindi dell’avvenuto genocidio.

Ebbene, ci chiediamo quale dissonanza cognitiva abbia portato il nostro Presidente della Repubblica a ricordare e difendere giustamente il diritto internazionale quando si è trattato di criticare la Russia, e dimenticarsene completamente quando ha accolto a braccia aperte il presidente di uno stato accusato di genocidio presso la più alta Corte di diritto internazionale.

Chiediamo al nostro Presidente di dichiarare la sua vicinanza e il suo dolore per l’ingiustizia e le sofferenze subite del popolo palestinese e la necessità di riconoscere lo Stato Palestinese.

Ricordiamo, infine, che mentre si reitera la linea dei due popoli e due stati sempre ieri, nel frattempo il Senato della Repubblica respingeva una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina, promossa dal m5s e sostenuta da AVS e PD, ma bocciata a causa dei voti contrari di 80 senatori di tutti gli altri schieramenti. Un’altra pagina triste della nostra politica.

Luisa Morgantini – Presidente di Assopace Palestina
luisamorgantini@gmail.com , assopacepalestina@gmail.com
tel +39 348 392 1465

Assopace Palestina

Il Presidio di pace delle donne a Palermo compie tre anni

24 FEBBRAIO 2022 – 24 FEBBRAIO 2025: tre anni di guerra in Europa

Il Presidio di Pace delle donne inizia nel 2022 subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Noi, donne di diverse associazioni – progressiste, democratiche, antifasciste, femministe, nonviolente -abbiamo preso l’impegno da allora di testimoniare il nostro NO alla guerra e all’invio di armi con un presidio settimanale in piazza Vittorio Veneto a Palermo.

In questa piazza si trova il monumento dedicato ai martiri eroi della prima guerra mondiale. Abbiamo quindi scelto un luogo simbolico per significare che non vogliamo più né eroi né martiri. Prima di tutto la vita!

La scritta del nostro striscione, “Fuori la guerra dalla storia”, lanciata da Bertha von Suttner, pacifista austriaca, più di un secolo fa, rappresenta bene il nostro pensiero.

Siamo convinte che la guerra non sia necessaria e inevitabile, ma l’apice orrendo della logica della forza e del dominio del sistema patriarcale. Idealmente ci collochiamo in una tradizione di donne autorevoli che si sono spese per la pace e abbiamo portato in piazza le loro parole CONTRO TUTTE LE GUERRE e la militarizzazione della società e delle coscienze.

Da marzo 2023 il Presidio ha luogo ogni 24 del mese in piazza Vittorio Veneto, ma si sposta occasionalmente in altri luoghi o in altre date significative.
Il 24 novembre 2023, in rete e in piena condivisione con quello di Palermo, è nato un presidio anche a Caltanissetta.

I dati più recenti sono allarmanti: negli ultimi cinque anni il numero dei conflitti nel mondo è raddoppiato, nel solo 2024 gli episodi di violenza politica sono aumentati del 25% rispetto all’anno precedente e una persona su otto nel mondo è stata coinvolta in situazioni di conflitto. Sono dati che forniscono un quadro terribile di un mondo che diventa sempre più pericoloso, di un mondo dipendente dalla guerra.

Questo mese vogliamo ricordare, tra le decine di conflitti in corso, oltre a quelli a noi più vicini (Ucraina, Palestina), anche i più dimenticati (Kurdistan, Congo…) o ignorati (Sudan) dove le donne sono oggetto di violenze particolari, nonché i luoghi dove sono loro ferocemente negati i diritti primari (Iran, Afghanistan…).
Il presidio, nato dalle donne, è aperto a tutti/e coloro che condividano le nostre PAROLE di PACE.

Il 24 febbraio 2025 dalle ore 17.00 alle 19.00 siamo a piazza Ruggero Settimo (Politeama).

UDIPALERMO – Le Rose Bianche – Donne CGIL Palermo – Coordinamento Donne ANPI – Emily – Governo di Lei – CIF – Le Onde – Arcilesbica – Donne della Comunità dell’Arca – Donne del Movimento nonviolento – Donne del Circolo Laudato si’

Redazione Palermo

Combattenti per la Pace, una legge minaccia le Ong israeliane per la pace e i diritti umani

Siamo profondamente preoccupati per un nuovo pericoloso sviluppo legislativo che minaccia il nostro movimenti come Combattenti per la Pace e altre organizzazioni per la pace e i diritti umani in Israele.

Il Comitato ministeriale per la legislazione del governo israeliano ha appena approvato una legge che modifica la Legge sulle Associazioni (1980) , imponendo severe restrizioni finanziarie e operative alle ONG che ricevono finanziamenti da enti governativi stranieri. Se approvata, questa legge limiterà drasticamente la nostra capacità di operare, mettendo a tacere le voci che si attivano per la pace, i diritti umani e la cooperazione binazionale.

Questa proposta di legge non limita solo i finanziamenti, ma è anche un tentativo di impedire alle ONG di accedere alla revisione giudiziaria in questioni riguardanti i diritti umani e alle petizioni contro istituzioni governative. La bozza afferma infatti:

“Un tribunale non deve prendere in considerazione alcuna richiesta presentata da una ONG il cui finanziamento principale proviene da un ente statale straniero, se non è finanziato dallo Stato di Israele.”

Ciò significa che le ONG che si affidano a finanziamenti internazionali, ovvero la stragrande maggioranza delle organizzazioni israeliane per i diritti umani, perderebbero la possibilità di presentare ricorso ai tribunali israeliani. Si tratta di un attacco diretto alla democrazia, che priva la società civile di uno dei suoi strumenti più importanti per difendere i diritti umani.

Perché questo è importante

Esclude qualsiasi possibilità di azione legale contro le violazioni dei diritti umani, negando giustizia a chi ne ha più bisogno.

Riduce al silenzio la società civile, interrompendo il sostegno internazionale alle organizzazioni che lavorano per la pace, la giustizia e l’uguaglianza.

Compromette la democrazia, conferendo al governo il potere incontrollato di limitare le voci di dissenso.

Approfondirà e consoliderà l’occupazione, eliminando uno degli ultimi baluardi rimasti sulle politiche governative che perpetuano violazioni dei diritti umani e violenze.

Cosa significa questo per i palestinesi

Più accaparramenti di terre e più demolizioni – Con meno sfide legali, Israele sarà libero di espandere gli insediamenti e confiscare le terre palestinesi a un ritmo ancor più veloce.

Maggiore violenza da parte dei coloni e dei militari – Abolendo quei pochi dispositivi vigenti, aumenteranno gli attacchi contro le comunità palestinesi senza alcun controllo.

Minore consapevolezza internazionale: le organizzazioni per i diritti umani saranno messe a tacere, rendendo più difficile denunciare le realtà quotidiane dell’occupazione.

Fine degli sforzi di pace di base: gruppi come “Combattenti per la Pace” che promuovono l’incontro di israeliani e palestinesi per un’azione nonviolenta, perderanno un sostegno fondamentale.

Come potete aiutare

Abbiamo urgente bisogno del vostro supporto per fermare questa pericolosa proposta prima che diventi legge. Ecco cosa potete fare:

Contattare i rappresentanti delle vostre amministrazioni e il vostro governo centrale, esortandoli a esprimersi contro questa legge e a esercitare pressioni diplomatiche su Israele affinché protegga la società civile.

Aumentare la consapevolezza condividendo queste informazioni con le vostre reti, le organizzazioni per i diritti umani e i contatti dei media. Più attenzione riceve questo problema, più difficile sarà che passi inosservato.

Continuare a sostenere il nostro lavoro: ora più che mai abbiamo bisogno della vostra solidarietà per sostenere il nostro movimento di fronte a queste minacce.

Questa legge non riguarda solo la limitazione delle ONG israeliane: è un attacco diretto ai diritti dei palestinesi, all’accesso alla giustizia e al movimento per la pace. Paralizzando la società civile, il governo israeliano garantirebbe che l’occupazione militare e l’espansione dei coloni continuino senza controllo, con meno ostacoli alla resistenza.

È tempo di agire. Insieme, possiamo difendere il diritto di co-resistere all’oppressione, sostenere la pace e costruire un futuro giusto per tutti.

In solidarietà,

Combattenti per la pace

https://www.facebook.com/c4peace
https://x.com/cfpeace
https://cfpeace.org/

Redazione Italia

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio”

Benvenuti alla quarta parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Cosa è la Palestina oggi? Da cosa viene soffocata e come sopravvive?

La domanda può essere approcciata da diverse angolazioni.
Da un lato potremmo dire che la Palestina, o meglio, tutto il quadro degli eventi a cui stiamo assistendo oggi in Palestina, rappresenta il tragico paradigma della contemporaneità: l’avidità senza freno dei potenti da un lato, la nostra assuefazione all’ingiustizia, dall’altro.
Ogni giorno tutti noi siamo vittime di piccole e grandi arroganze da parte dei poteri. Talmente abituati a essere bombardati dalle prevaricazioni che spesso neanche più ci ribelliamo, accettando ogni volta la nuova asticella, il nuovo limite, la nuova legge, la nuova tassa, il nuovo divieto come parte integrante dell’essere ingranaggi di una società incentrata sul potere di pochi.

L’altra faccia della medaglia però è che, non ribellandoci, noi accettiamo (centimetro dopo centimetro) che i governi, le multinazionali, le lobby ci tolgano ancora maggiori fette di libertà, diritti, indipendenza, stritolandoci sempre più tra le spire della loro pantagruelica avidità. Le democrazie sono in crisi, le ideologie sono scomparse, il lavoro ha perso la sua componente nobilitativa. Tutta la società contemporanea risulta oggi impostata in funzione delle necessità dei potenti: farci produrre, farci consumare, arricchirsi sulle nostre fatiche.

Diventa dunque imperativo iniziare a domandarci quale limite noi, il popolo, siamo disposti a sopportare prima di ribellarci. All’interno di questo quesito rivoluzionario, si innesta ciò che vediamo succedere in Palestina: siamo noi disposti ad accettare che il potere arrivi perfino a genocidare un intero popolo per 365 miseri chilometri quadrati di terra?

Dunque, una prima risposta alla tua domanda potrebbe essere che la Palestina è un simbolo: il paradigma della ferocia di un potere avido, inumano e violento che pensa di possedere tutto, finanche le anime delle persone. Ma è anche una sollecitazione alla nostra capacità di fissarci dei limiti oltre i quali la nostra umanità deve gridare “BASTA”.

Un’altra prospettiva su cui riflettere, nel rispondere alla tua domanda, è quella di inquadrare la Palestina come una creatura in via di estinzione. E come tutto ciò che rischia di evaporare nell’oblio, provare a tutelarla. Mi spiego meglio: la voracità dello Stato di Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio. Colonia dopo colonia, l’estensione di ciò che oggi si può chiamare “Palestina” sulla mappa geografica si è tragicamente assottigliata.

La cosa risulta ancora più inquietante se si pensa che una manciata di decadi fa, il giorno prima del 14 maggio 1948, quando Ben Gurion autoproclamò la nascita dello stato di Israele, tutta la regione geografica compresa tra il Mediterraneo e il fiume Giordano era marcata nelle mappe geografiche come “Palestina”; non un nome coniato dai nemici del sionismo, ma risalente addirittura al XII secolo a. C. su volontà degli antichi egiziani (da Peleset, il nome dato ai Filistei), oppure quel Palaistine (Παλαιστινοί) utilizzato nel V secolo a.C. da Erodoto o, ancora, “Syria Palestina” secondo Adriano (135 d.C.).

E fa impressione, in questo grottesco teatro dell’assurdo in cui il sionismo pelecida fa a gara a spararla sempre più grossa, leggere frasi negazioniste come: “«Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un ‘popolo palestinese’ […] è una finzione» elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista” (B. Smotrich)

In questa sorta di “terrapiattismo” in chiave geopolitica, i sostenitori di questa sgangherata tesi ignorano perfino i contenuti dei documenti redatti dai sionisti per gli stessi sionisti.
La Dichiarazione Balfour, ad esempio, ovvero la lettera che l’omonimo ministro inviò a Lord Rothschild nel 1917 per auspicare “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
O, ancora lo stesso Theodor Herzl, padre fondatore del sionismo, che nel suo “A Jewish State” chiedeva espressamente al suo lettore “shall we choose Palestine or Argentine?”.

Di quel vasto territorio chiamato Palestina, ed evocato come terra promessa perfino dai sionisti nel secolo scorso, cosa rimane oggi? A ovest, una striscia di terra ormai ridotta a fossa comune difficilmente abitabile. A est, una Cisgiordania ormai maculata dalla colonizzazione illegale, squassata dalla violenza, simile a una carcassa su cui si avventa ogni avvoltoio con doppio passaporto e la voglia di rubarsi un pezzo di terra a condizioni fiscali agevolate. Dunque, sì: una Palestina a rischio di estinzione.
Vengono quasi in mente gli antichi romani quando, negli spazi bianchi delle mappe, scrivevano “hic sunt leones”. I pelecidi di oggi ci scriveranno “hic non sunt amplius Palæstini”.

Sulla tua seconda domanda, ovvero da cosa viene soffocata la Palestina, la risposta sarebbe articolata ma la condenserei sul simbolo per eccellenza dell’oppressione: le mura perimetrali realizzate da Israele a partire dagli anni 2000 attorno alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania.
A mio avviso, quelle recinzioni sono le fondamenta pragmatiche sopra cui è edificata tutta l’ideologia sionista dell’apartheid.

Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ne fornì un giudizio inequivocabile: “l’edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l’interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale”. Ma Israele aveva una strategia e, nonostante la sollecitazione della Corte a smantellarlo, lo mantenne in piedi.

Per capire il principio soggiacente quella strategia vanno qui riportate le parole di Michael Fakhri, relatore speciale del Consiglio per i diritti umani (ONU) quando a ottobre 2024 spiegava il report sulla denutrizione a Gaza, puntando l’indice accusatore proprio sul muro: “affamarli (i palestinesi n.d.r.) è il risultato di scelte compiute da decadi. […] bisogna andare indietro al 2000, quando Israele ha iniziato il suo blocco contro Gaza. […] Come un rubinetto che (Israele n.d.r.) può aprire o chiudere […] Contando le calorie e misurando cosa era permesso far entrare a Gaza ed essere sicuri che ciascuno rimanesse affamato, ma non così tanto da sollevare campanelli di allarme nel mondo. Così, il 6 di ottobre (il giorno prima degli attentati n.d.r.) metà della popolazione di Gaza presentava criticità alimentari e l’80% dipendeva dagli aiuti umanitari”.

Tutto quindi passa attraverso il muro: ciò che entra e ciò che esce; cose e persone.
Ad esempio, le imposte e i dazi doganali sui prodotti che varcano le mura e su cui solo Israele si arroga il diritto di commercio. Questi soldi servono, tra le altre cose, a pagare gli stipendi degli impiegati pubblici che, secondo i dati 2018 del Palestinian Central Bureau of Statistics, rappresentano un terzo dei lavoratori palestinesi. A cadenza periodica Israele decide di trattenerli: migliaia di famiglie palestinesi rimangono senza stipendio.

Oppure gli assalti ai pescherecci palestinesi per limitarne il territorio di pesca del 40% rispetto agli accordi di Oslo (fonte Euro-Med Human Rights Monitor) così da far calare il numero di pescatori registrati a Gaza da 10.000 a 4.000 unità in soli 20 anni.

Non va meglio sul fronte dell’agricoltura dove “durante tutto l’anno, gli aerei israeliani spruzzano ripetutamente erbicidi sulle terre palestinesi lungo i confini, causando danni alle colture agricole” (fonte EMHRM). A questo si aggiunga il divieto per i contadini ad avvicinarsi alla recinzione entro i 1.000 – 1.500 metri per aggiungere un’ulteriore deprivazione del 35% di territorio coltivabile.

E potremmo parlare del giacimento di Meged, il cui petrolio scorre anche sotto la Cisgiordania ma che Israele rifiuta di condividere o il Gaza Marine, un giacimento di gas a 20 miglia dalla costa di Gaza il quale, “se sfruttato adeguatamente, […] potrebbe coprire l’intero fabbisogno palestinese di gas e consentirebbe anche di effettuare esportazioni.” (fonte Geopop).

I palestinesi dunque sopravvivono in larga parte grazie agli aiuti umanitari distribuiti dall’UNRWA. Una distribuzione che non sottostando al controllo israeliano diventa disfunzionale alla politica pelecida. E così, con la scusa della manciata di lavoratori favorevoli a Hamas, su 30.000 impiegati, ecco spiegato il principale motivo della messa al bando e del susseguente tentativo di Israele di sostituirla con un’altra istituzione “rubinetto”, da poter chiudere su necessità politica.

Ma forse, alla tua domanda “cosa soffoca oggi il popolo palestinese”, la risposta più atavica e ciclica alla base dei genocidi è sempre la stessa: l’indifferenza del mondo.
L’indifferenza, complicità, propaganda, interessi economici dei potenti.
Quella stessa indifferenza che permise lo sterminio degli ebrei, nell’Europa nazista, oggi si ripresenta. E fra qualche decennio si ripresenteranno anche i ciclici memoriali, le cicliche giornate della memoria, le cicliche lacrime postume.

Chissà, forse fra venti anni ci sarà una bella stele in marmo a Gaza Riviere, luongo un Palestine Boulevard (magnanimamente concesso in terra d’Israele).
Di fronte al grattacielo edificato sopra una delle tante fosse comuni e, al largo, lo yacht dell’oligarca stipato di modelle e champagne. Nulla che la storia non abbia già visto.

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

Incontro Mattarella – Herzog: diritto internazionale à la carte

Assopace Palestina afferma la sua indignazione e sconcerto alla calorosa accoglienza riservata ieri dal nostro Presidente della Repubblica Mattarella al Presidente israeliano Herzog, nel corso del secondo incontro ufficiale dall’inizio delle operazioni militari contro Gaza e Cisgiordania.

Il nostro Presidente della Repubblica, a nome di tutti gli italiani, ha affermato che “La sua presenza a Roma è un onore per la Repubblica italiana”, passando poi a parlare esclusivamente dell’impegno dell’Italia contro l’antisemitismo che, a suo dire, sarebbe aumentato, ma non ha espresso neanche una parola sulla situazione nei territori palestinesi e sul piano di deportazione e pulizia etnica della Palestina in primo luogo dei Gazawi, nemmeno una parola di dolore e di vicinanza alla popolazione palestinese cosi colpita dall’aggressione israeliana.

Ci preme ricordare che Herzog è colui che, il 12 ottobre 2023, dichiarò “è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, che non sono coinvolti, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto insorgere, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio […] noi combatteremo fino a quando non spezzeremo loro la spina dorsale.”; è colui che si è fatto ritrarre in foto mentre scriveva “mi affido a te” sui missili destinati a colpire qualche casa, ospedale, scuola o tendopoli di Gaza; è colui che ha attaccato l’Onu, la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale di “bancarotta morale” perché hanno osato condannare i numerosi crimini compiuti contro la popolazione inerme di Gaza. E ricordiamo, infine, che le dichiarazioni di Herzog sono state allegate al fascicolo presentato all’Aja come una delle prove dell’intenzionalità di colpire i civili e quindi dell’avvenuto genocidio.

Ebbene, ci chiediamo quale dissonanza cognitiva abbia portato il nostro Presidente della Repubblica a ricordare e difendere giustamente il diritto internazionale quando si è trattato di criticare la Russia, e dimenticarsene completamente quando ha accolto a braccia aperte il presidente di uno stato accusato di genocidio presso la più alta Corte di diritto internazionale.

Chiediamo al nostro Presidente di dichiarare la sua vicinanza e il suo dolore per l’ingiustizia e le sofferenze subite del popolo palestinese e la necessità di riconoscere lo Stato Palestinese.

Ricordiamo, infine, che mentre si reitera la linea dei due popoli e due stati sempre ieri, nel frattempo il Senato della Repubblica respingeva una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina, promossa dal m5s e sostenuta da AVS e PD, ma bocciata a causa dei voti contrari di 80 senatori di tutti gli altri schieramenti. Un’altra pagina triste della nostra politica.

Luisa Morgantini – Presidente di Assopace Palestina
luisamorgantini@gmail.com , assopacepalestina@gmail.com
tel +39 348 392 1465

Assopace Palestina

Il Presidio di pace delle donne a Palermo compie tre anni

24 FEBBRAIO 2022 – 24 FEBBRAIO 2025: tre anni di guerra in Europa

Il Presidio di Pace delle donne inizia nel 2022 subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Noi, donne di diverse associazioni – progressiste, democratiche, antifasciste, femministe, nonviolente -abbiamo preso l’impegno da allora di testimoniare il nostro NO alla guerra e all’invio di armi con un presidio settimanale in piazza Vittorio Veneto a Palermo.

In questa piazza si trova il monumento dedicato ai martiri eroi della prima guerra mondiale. Abbiamo quindi scelto un luogo simbolico per significare che non vogliamo più né eroi né martiri. Prima di tutto la vita!

La scritta del nostro striscione, “Fuori la guerra dalla storia”, lanciata da Bertha von Suttner, pacifista austriaca, più di un secolo fa, rappresenta bene il nostro pensiero.

Siamo convinte che la guerra non sia necessaria e inevitabile, ma l’apice orrendo della logica della forza e del dominio del sistema patriarcale. Idealmente ci collochiamo in una tradizione di donne autorevoli che si sono spese per la pace e abbiamo portato in piazza le loro parole CONTRO TUTTE LE GUERRE e la militarizzazione della società e delle coscienze.

Da marzo 2023 il Presidio ha luogo ogni 24 del mese in piazza Vittorio Veneto, ma si sposta occasionalmente in altri luoghi o in altre date significative.
Il 24 novembre 2023, in rete e in piena condivisione con quello di Palermo, è nato un presidio anche a Caltanissetta.

I dati più recenti sono allarmanti: negli ultimi cinque anni il numero dei conflitti nel mondo è raddoppiato, nel solo 2024 gli episodi di violenza politica sono aumentati del 25% rispetto all’anno precedente e una persona su otto nel mondo è stata coinvolta in situazioni di conflitto. Sono dati che forniscono un quadro terribile di un mondo che diventa sempre più pericoloso, di un mondo dipendente dalla guerra.

Questo mese vogliamo ricordare, tra le decine di conflitti in corso, oltre a quelli a noi più vicini (Ucraina, Palestina), anche i più dimenticati (Kurdistan, Congo…) o ignorati (Sudan) dove le donne sono oggetto di violenze particolari, nonché i luoghi dove sono loro ferocemente negati i diritti primari (Iran, Afghanistan…).
Il presidio, nato dalle donne, è aperto a tutti/e coloro che condividano le nostre PAROLE di PACE.

Il 24 febbraio 2025 dalle ore 17.00 alle 19.00 siamo a piazza Ruggero Settimo (Politeama).

UDIPALERMO – Le Rose Bianche – Donne CGIL Palermo – Coordinamento Donne ANPI – Emily – Governo di Lei – CIF – Le Onde – Arcilesbica – Donne della Comunità dell’Arca – Donne del Movimento nonviolento – Donne del Circolo Laudato si’

Redazione Palermo

Combattenti per la Pace, una legge minaccia le Ong israeliane per la pace e i diritti umani

Siamo profondamente preoccupati per un nuovo pericoloso sviluppo legislativo che minaccia il nostro movimenti come Combattenti per la Pace e altre organizzazioni per la pace e i diritti umani in Israele.

Il Comitato ministeriale per la legislazione del governo israeliano ha appena approvato una legge che modifica la Legge sulle Associazioni (1980) , imponendo severe restrizioni finanziarie e operative alle ONG che ricevono finanziamenti da enti governativi stranieri. Se approvata, questa legge limiterà drasticamente la nostra capacità di operare, mettendo a tacere le voci che si attivano per la pace, i diritti umani e la cooperazione binazionale.

Questa proposta di legge non limita solo i finanziamenti, ma è anche un tentativo di impedire alle ONG di accedere alla revisione giudiziaria in questioni riguardanti i diritti umani e alle petizioni contro istituzioni governative. La bozza afferma infatti:

“Un tribunale non deve prendere in considerazione alcuna richiesta presentata da una ONG il cui finanziamento principale proviene da un ente statale straniero, se non è finanziato dallo Stato di Israele.”

Ciò significa che le ONG che si affidano a finanziamenti internazionali, ovvero la stragrande maggioranza delle organizzazioni israeliane per i diritti umani, perderebbero la possibilità di presentare ricorso ai tribunali israeliani. Si tratta di un attacco diretto alla democrazia, che priva la società civile di uno dei suoi strumenti più importanti per difendere i diritti umani.

Perché questo è importante

Esclude qualsiasi possibilità di azione legale contro le violazioni dei diritti umani, negando giustizia a chi ne ha più bisogno.

Riduce al silenzio la società civile, interrompendo il sostegno internazionale alle organizzazioni che lavorano per la pace, la giustizia e l’uguaglianza.

Compromette la democrazia, conferendo al governo il potere incontrollato di limitare le voci di dissenso.

Approfondirà e consoliderà l’occupazione, eliminando uno degli ultimi baluardi rimasti sulle politiche governative che perpetuano violazioni dei diritti umani e violenze.

Cosa significa questo per i palestinesi

Più accaparramenti di terre e più demolizioni – Con meno sfide legali, Israele sarà libero di espandere gli insediamenti e confiscare le terre palestinesi a un ritmo ancor più veloce.

Maggiore violenza da parte dei coloni e dei militari – Abolendo quei pochi dispositivi vigenti, aumenteranno gli attacchi contro le comunità palestinesi senza alcun controllo.

Minore consapevolezza internazionale: le organizzazioni per i diritti umani saranno messe a tacere, rendendo più difficile denunciare le realtà quotidiane dell’occupazione.

Fine degli sforzi di pace di base: gruppi come “Combattenti per la Pace” che promuovono l’incontro di israeliani e palestinesi per un’azione nonviolenta, perderanno un sostegno fondamentale.

Come potete aiutare

Abbiamo urgente bisogno del vostro supporto per fermare questa pericolosa proposta prima che diventi legge. Ecco cosa potete fare:

Contattare i rappresentanti delle vostre amministrazioni e il vostro governo centrale, esortandoli a esprimersi contro questa legge e a esercitare pressioni diplomatiche su Israele affinché protegga la società civile.

Aumentare la consapevolezza condividendo queste informazioni con le vostre reti, le organizzazioni per i diritti umani e i contatti dei media. Più attenzione riceve questo problema, più difficile sarà che passi inosservato.

Continuare a sostenere il nostro lavoro: ora più che mai abbiamo bisogno della vostra solidarietà per sostenere il nostro movimento di fronte a queste minacce.

Questa legge non riguarda solo la limitazione delle ONG israeliane: è un attacco diretto ai diritti dei palestinesi, all’accesso alla giustizia e al movimento per la pace. Paralizzando la società civile, il governo israeliano garantirebbe che l’occupazione militare e l’espansione dei coloni continuino senza controllo, con meno ostacoli alla resistenza.

È tempo di agire. Insieme, possiamo difendere il diritto di co-resistere all’oppressione, sostenere la pace e costruire un futuro giusto per tutti.

In solidarietà,

Combattenti per la pace

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https://cfpeace.org/

Redazione Italia

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio”

Benvenuti alla quarta parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Cosa è la Palestina oggi? Da cosa viene soffocata e come sopravvive?

La domanda può essere approcciata da diverse angolazioni.
Da un lato potremmo dire che la Palestina, o meglio, tutto il quadro degli eventi a cui stiamo assistendo oggi in Palestina, rappresenta il tragico paradigma della contemporaneità: l’avidità senza freno dei potenti da un lato, la nostra assuefazione all’ingiustizia, dall’altro.
Ogni giorno tutti noi siamo vittime di piccole e grandi arroganze da parte dei poteri. Talmente abituati a essere bombardati dalle prevaricazioni che spesso neanche più ci ribelliamo, accettando ogni volta la nuova asticella, il nuovo limite, la nuova legge, la nuova tassa, il nuovo divieto come parte integrante dell’essere ingranaggi di una società incentrata sul potere di pochi.

L’altra faccia della medaglia però è che, non ribellandoci, noi accettiamo (centimetro dopo centimetro) che i governi, le multinazionali, le lobby ci tolgano ancora maggiori fette di libertà, diritti, indipendenza, stritolandoci sempre più tra le spire della loro pantagruelica avidità. Le democrazie sono in crisi, le ideologie sono scomparse, il lavoro ha perso la sua componente nobilitativa. Tutta la società contemporanea risulta oggi impostata in funzione delle necessità dei potenti: farci produrre, farci consumare, arricchirsi sulle nostre fatiche.

Diventa dunque imperativo iniziare a domandarci quale limite noi, il popolo, siamo disposti a sopportare prima di ribellarci. All’interno di questo quesito rivoluzionario, si innesta ciò che vediamo succedere in Palestina: siamo noi disposti ad accettare che il potere arrivi perfino a genocidare un intero popolo per 365 miseri chilometri quadrati di terra?

Dunque, una prima risposta alla tua domanda potrebbe essere che la Palestina è un simbolo: il paradigma della ferocia di un potere avido, inumano e violento che pensa di possedere tutto, finanche le anime delle persone. Ma è anche una sollecitazione alla nostra capacità di fissarci dei limiti oltre i quali la nostra umanità deve gridare “BASTA”.

Un’altra prospettiva su cui riflettere, nel rispondere alla tua domanda, è quella di inquadrare la Palestina come una creatura in via di estinzione. E come tutto ciò che rischia di evaporare nell’oblio, provare a tutelarla. Mi spiego meglio: la voracità dello Stato di Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio. Colonia dopo colonia, l’estensione di ciò che oggi si può chiamare “Palestina” sulla mappa geografica si è tragicamente assottigliata.

La cosa risulta ancora più inquietante se si pensa che una manciata di decadi fa, il giorno prima del 14 maggio 1948, quando Ben Gurion autoproclamò la nascita dello stato di Israele, tutta la regione geografica compresa tra il Mediterraneo e il fiume Giordano era marcata nelle mappe geografiche come “Palestina”; non un nome coniato dai nemici del sionismo, ma risalente addirittura al XII secolo a. C. su volontà degli antichi egiziani (da Peleset, il nome dato ai Filistei), oppure quel Palaistine (Παλαιστινοί) utilizzato nel V secolo a.C. da Erodoto o, ancora, “Syria Palestina” secondo Adriano (135 d.C.).

E fa impressione, in questo grottesco teatro dell’assurdo in cui il sionismo pelecida fa a gara a spararla sempre più grossa, leggere frasi negazioniste come: “«Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un ‘popolo palestinese’ […] è una finzione» elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista” (B. Smotrich)

In questa sorta di “terrapiattismo” in chiave geopolitica, i sostenitori di questa sgangherata tesi ignorano perfino i contenuti dei documenti redatti dai sionisti per gli stessi sionisti.
La Dichiarazione Balfour, ad esempio, ovvero la lettera che l’omonimo ministro inviò a Lord Rothschild nel 1917 per auspicare “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
O, ancora lo stesso Theodor Herzl, padre fondatore del sionismo, che nel suo “A Jewish State” chiedeva espressamente al suo lettore “shall we choose Palestine or Argentine?”.

Di quel vasto territorio chiamato Palestina, ed evocato come terra promessa perfino dai sionisti nel secolo scorso, cosa rimane oggi? A ovest, una striscia di terra ormai ridotta a fossa comune difficilmente abitabile. A est, una Cisgiordania ormai maculata dalla colonizzazione illegale, squassata dalla violenza, simile a una carcassa su cui si avventa ogni avvoltoio con doppio passaporto e la voglia di rubarsi un pezzo di terra a condizioni fiscali agevolate. Dunque, sì: una Palestina a rischio di estinzione.
Vengono quasi in mente gli antichi romani quando, negli spazi bianchi delle mappe, scrivevano “hic sunt leones”. I pelecidi di oggi ci scriveranno “hic non sunt amplius Palæstini”.

Sulla tua seconda domanda, ovvero da cosa viene soffocata la Palestina, la risposta sarebbe articolata ma la condenserei sul simbolo per eccellenza dell’oppressione: le mura perimetrali realizzate da Israele a partire dagli anni 2000 attorno alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania.
A mio avviso, quelle recinzioni sono le fondamenta pragmatiche sopra cui è edificata tutta l’ideologia sionista dell’apartheid.

Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ne fornì un giudizio inequivocabile: “l’edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l’interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale”. Ma Israele aveva una strategia e, nonostante la sollecitazione della Corte a smantellarlo, lo mantenne in piedi.

Per capire il principio soggiacente quella strategia vanno qui riportate le parole di Michael Fakhri, relatore speciale del Consiglio per i diritti umani (ONU) quando a ottobre 2024 spiegava il report sulla denutrizione a Gaza, puntando l’indice accusatore proprio sul muro: “affamarli (i palestinesi n.d.r.) è il risultato di scelte compiute da decadi. […] bisogna andare indietro al 2000, quando Israele ha iniziato il suo blocco contro Gaza. […] Come un rubinetto che (Israele n.d.r.) può aprire o chiudere […] Contando le calorie e misurando cosa era permesso far entrare a Gaza ed essere sicuri che ciascuno rimanesse affamato, ma non così tanto da sollevare campanelli di allarme nel mondo. Così, il 6 di ottobre (il giorno prima degli attentati n.d.r.) metà della popolazione di Gaza presentava criticità alimentari e l’80% dipendeva dagli aiuti umanitari”.

Tutto quindi passa attraverso il muro: ciò che entra e ciò che esce; cose e persone.
Ad esempio, le imposte e i dazi doganali sui prodotti che varcano le mura e su cui solo Israele si arroga il diritto di commercio. Questi soldi servono, tra le altre cose, a pagare gli stipendi degli impiegati pubblici che, secondo i dati 2018 del Palestinian Central Bureau of Statistics, rappresentano un terzo dei lavoratori palestinesi. A cadenza periodica Israele decide di trattenerli: migliaia di famiglie palestinesi rimangono senza stipendio.

Oppure gli assalti ai pescherecci palestinesi per limitarne il territorio di pesca del 40% rispetto agli accordi di Oslo (fonte Euro-Med Human Rights Monitor) così da far calare il numero di pescatori registrati a Gaza da 10.000 a 4.000 unità in soli 20 anni.

Non va meglio sul fronte dell’agricoltura dove “durante tutto l’anno, gli aerei israeliani spruzzano ripetutamente erbicidi sulle terre palestinesi lungo i confini, causando danni alle colture agricole” (fonte EMHRM). A questo si aggiunga il divieto per i contadini ad avvicinarsi alla recinzione entro i 1.000 – 1.500 metri per aggiungere un’ulteriore deprivazione del 35% di territorio coltivabile.

E potremmo parlare del giacimento di Meged, il cui petrolio scorre anche sotto la Cisgiordania ma che Israele rifiuta di condividere o il Gaza Marine, un giacimento di gas a 20 miglia dalla costa di Gaza il quale, “se sfruttato adeguatamente, […] potrebbe coprire l’intero fabbisogno palestinese di gas e consentirebbe anche di effettuare esportazioni.” (fonte Geopop).

I palestinesi dunque sopravvivono in larga parte grazie agli aiuti umanitari distribuiti dall’UNRWA. Una distribuzione che non sottostando al controllo israeliano diventa disfunzionale alla politica pelecida. E così, con la scusa della manciata di lavoratori favorevoli a Hamas, su 30.000 impiegati, ecco spiegato il principale motivo della messa al bando e del susseguente tentativo di Israele di sostituirla con un’altra istituzione “rubinetto”, da poter chiudere su necessità politica.

Ma forse, alla tua domanda “cosa soffoca oggi il popolo palestinese”, la risposta più atavica e ciclica alla base dei genocidi è sempre la stessa: l’indifferenza del mondo.
L’indifferenza, complicità, propaganda, interessi economici dei potenti.
Quella stessa indifferenza che permise lo sterminio degli ebrei, nell’Europa nazista, oggi si ripresenta. E fra qualche decennio si ripresenteranno anche i ciclici memoriali, le cicliche giornate della memoria, le cicliche lacrime postume.

Chissà, forse fra venti anni ci sarà una bella stele in marmo a Gaza Riviere, luongo un Palestine Boulevard (magnanimamente concesso in terra d’Israele).
Di fronte al grattacielo edificato sopra una delle tante fosse comuni e, al largo, lo yacht dell’oligarca stipato di modelle e champagne. Nulla che la storia non abbia già visto.

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

Incontro Mattarella – Herzog: diritto internazionale à la carte

Assopace Palestina afferma la sua indignazione e sconcerto alla calorosa accoglienza riservata ieri dal nostro Presidente della Repubblica Mattarella al Presidente israeliano Herzog, nel corso del secondo incontro ufficiale dall’inizio delle operazioni militari contro Gaza e Cisgiordania.

Il nostro Presidente della Repubblica, a nome di tutti gli italiani, ha affermato che “La sua presenza a Roma è un onore per la Repubblica italiana”, passando poi a parlare esclusivamente dell’impegno dell’Italia contro l’antisemitismo che, a suo dire, sarebbe aumentato, ma non ha espresso neanche una parola sulla situazione nei territori palestinesi e sul piano di deportazione e pulizia etnica della Palestina in primo luogo dei Gazawi, nemmeno una parola di dolore e di vicinanza alla popolazione palestinese cosi colpita dall’aggressione israeliana.

Ci preme ricordare che Herzog è colui che, il 12 ottobre 2023, dichiarò “è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, che non sono coinvolti, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto insorgere, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio […] noi combatteremo fino a quando non spezzeremo loro la spina dorsale.”; è colui che si è fatto ritrarre in foto mentre scriveva “mi affido a te” sui missili destinati a colpire qualche casa, ospedale, scuola o tendopoli di Gaza; è colui che ha attaccato l’Onu, la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale di “bancarotta morale” perché hanno osato condannare i numerosi crimini compiuti contro la popolazione inerme di Gaza. E ricordiamo, infine, che le dichiarazioni di Herzog sono state allegate al fascicolo presentato all’Aja come una delle prove dell’intenzionalità di colpire i civili e quindi dell’avvenuto genocidio.

Ebbene, ci chiediamo quale dissonanza cognitiva abbia portato il nostro Presidente della Repubblica a ricordare e difendere giustamente il diritto internazionale quando si è trattato di criticare la Russia, e dimenticarsene completamente quando ha accolto a braccia aperte il presidente di uno stato accusato di genocidio presso la più alta Corte di diritto internazionale.

Chiediamo al nostro Presidente di dichiarare la sua vicinanza e il suo dolore per l’ingiustizia e le sofferenze subite del popolo palestinese e la necessità di riconoscere lo Stato Palestinese.

Ricordiamo, infine, che mentre si reitera la linea dei due popoli e due stati sempre ieri, nel frattempo il Senato della Repubblica respingeva una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina, promossa dal m5s e sostenuta da AVS e PD, ma bocciata a causa dei voti contrari di 80 senatori di tutti gli altri schieramenti. Un’altra pagina triste della nostra politica.

Luisa Morgantini – Presidente di Assopace Palestina
luisamorgantini@gmail.com , assopacepalestina@gmail.com
tel +39 348 392 1465

Assopace Palestina