Salta al contenuto principale

contenuti originali

Turchia: finalmente assolta l’esperta di medicina legale Şebnem Korur Fincancı

Il 20 febbraio Şebnem Korur Fincancı, una delle massime autorità turche in materia di medicina legale e assai nota nella comunità scientifica internazionale, è stata finalmente assolta dall’accusa di aver “denigrato lo stato turco”, reato punito dall’articolo 301 del codice penale.

Dopo un primo periodo di carcere trascorso durante lo scorso decennio per “propaganda terrorista” solo per aver espresso solidarietà nei confronti di un organo di stampa che aveva una linea editoriale critica nei confronti del governo, era stata arrestata il 26 ottobre 2022 dopo che in un’intervista all’estero aveva sollecitato un’indagine indipendente sul possibile uso, da parte dell’esercito turco, di armi chimiche durante un’offensiva in Iraq contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan, noto con l’acronimo Pkk.

Sebnem Korur Fincancı, presidente fino al giugno 2024 dell’Associazione dei medici della Turchia, è nel Comitato esecutivo della Fondazione per i diritti umani della Turchia, fa parte del Gruppo di esperti in medicina legale dell’International Rehabilitation Council for Victims of Torture ed è consulente di Physicians for Human Rights.

Nel corso della sua esperienza, ha esumato fosse comuni in Bosnia per conto delle Nazioni Unite e ha condotto indagini di medicina legale in Turchia e all’estero. Ha inoltre contribuito al Protocollo di Istanbul, lo standard internazionale di riferimento per le indagini di medicina legale sulla tortura.

Per il suo impegno ha ricevuto il premio Hrant Dink nel 2014, il premio di Physicians for Human Rights nel 2017 e il premio Hessian per la pace nel 2018.

Riccardo Noury

Motori spaziali tra scienza e fantascienza?

Da quando l’Essere Umano ha sviluppato la tecnologia della movimentazione assistita, trasferendo la potenza del cavallo a sistemi meccanici indipendenti, la vita ha preso a scorrere più velocemente e la tecnologia ha fatto passi da gigante in maniera esponenziale.

Era “solo” il 1769 quando, grazie all’applicazione della macchina a vapore alla mobilità, il carro di Cugnot percorreva i primi metri.

In poco più di 200 anni stiamo ora percorrendo Unità Astronomiche (1.0 ua = 149.597.870.707 m) grazie a sistemi mobili impensabili all’epoca.

Mentre la mobilità terrestre di superficie sembra essere arrivata ormai al suo limite, ciò che accade sia in bassa atmosfera che, soprattutto, nello Spazio sta iniziando viceversa a cambiare nuovamente le prospettive espansionistiche del Genere Umano.

Ho già parlato, in un precedente articolo, delle nuove capacità esplorative ad appannaggio delle “Vele Solari”, ma anche altri sistemi di trasporto, equipaggiati da particolari ed innovativi sistemi propulsivi, spesso preannunciati dalla Fantascienza, si stanno concretizzando.

Motori a propulsione nucleare, al Plasma, agli ioni, elettrostatici sono all’orizzonte, sistemi che possono arrivare a “muovere” vere e proprie astronavi con una discreta efficienza una volta a regime.

Certo al momento non come quelle di Star Trek, ma potranno comunque garantire il trasporto di piccoli team di Astronauti per medie distanze.

Tra i vari lati positivi, vi sono tempistiche di percorrenza molto basse, per esempio si stima che con un motore al plasma si potrebbe arrivare a raggiungere Marte in circa 30 giorni di viaggio.
Siamo consapevoli che questo ridurrebbe le tempistiche, ma anche, cosa più importante, ridurrebbe ovviamente l’esposizione degli astronauti all’ambiente Cosmico molto dannoso alla salute Umana. 

Quindi solo vantaggi?

Assolutamente no… il lancio iniziale in orbita avverrà con razzi che possiedono motori tradizionali a propellente solido, liquido o a gas metano (questi ultimi come i Raptor di che equipaggiano Starship di SpaceX), che possono sprigionare la potenza necessaria alla messa in orbita dei sistemi finali o di parti di essi.

Successivamente, dopo il necessario assemblaggio, dispiegamento (in caso di Vele Spaziali) o messa in orbita iniziale, il o i propulsori, di nuova generazione, verranno attivati.

Le motivazioni di questa scelta sono diverse:

  • i nuovi motori al momento non sono così efficienti, da fornire la spinta necessaria a vincere la forza di Gravità ed a permettere la messa in orbita diretta, del Sistema Spaziale o di parti di esso, dalla base di lancio;
  • a causa del precedente punto, i motori di nuova generazione, in base al tipo di veicolo da muovere, potrebbero richiedere “array” (serie) composte di diverse unità propulsive per raggiungere la necessaria efficienza propulsiva. Questo si tradurrebbe in dimensioni e massa, del mezzo, rilevanti risultando troppo pesanti per essere lanciati dalla superficie terrestre direttamente venendo per esempio assemblati un orbita;
  • alcuni motori, quali quelli ad energia Nucleare ad esempio, potrebbero essere dannosi per gli esseri umani se utilizzati in atmosfera.

 

Questi sono solo alcuni degli esempi in attesa che il Motore a Curvatura, vagheggiato nella già menzionata saga Star Trek, possa in qualche modo vedere la luce.

Per quanto riguarda quest’ultimo, la sua caratteristica fantascientifica è quella di consentire, al possibile sistema spaziale, di viaggiare alla velocità della luce comprimendo lo spazio-tempo davanti alla nave e espandendolo sul retro della stessa (creando la cosiddetta “bolla di curvatura”).

Da una approfondita analisi eseguita da alcuni ricercatori in questi ultimi anni, non sembrerebbe essere comunque relegato alle pubblicazioni del genere letterario chiamato Sci-Fi (Fantascienza).

Un team, infatti, ha recentemente avanzato l’ipotesi che il salto alla velocità di curvatura possa essere effettuabile e senza dover violare le attuali leggi della fisica utilizzando, oltretutto, fonti energetiche conosciute e non “esoteriche”.  

Questo rappresenterebbe una svolta significativa rispetto a qualsiasi degli attuali motori tradizionali o di nuova generazione visti in precedenza.

E quindi non resta che dire:

“All right Scotty! Get our warp power up to full capacity!” 

(cit. capt. James T. Kirk – ‘Star Trek, The Original Series’).

    

Paolo Navone

La guerra dei bambini, disagi e traumi che aumentano la conflittualità

Si è svolto il 19 febbraio presso la Sala Capitale di Palazzo Vecchio, l’interessante incontro La guerra dei bambini, disagi e traumi che aumentano la conflittualità” organizzato in collaborazione fra il Comune di Firenze (Commissioni Consiliari 7 e 9), il Laboratorio Permanente per la Pace del Quartiere 5 e Auser.

Dopo l’introduzione della Presidente Commissione 7 Stefania Collesei, sono seguiti gli interventi del Prof. Mario Matteini, professore di didattica della storia, curatore del video “Testimonianze di vita attraverso sogni e disegni di bambini israeliani e palestinesi“, della  Presidente Commissione 9 Beatrice Barbieri,  dell’Insegnante Elisabetta Cavalero con i suoi alunni della Scuola Montagnola, della Dott.ssa Eleonora Boscolo e la  Dott.ssa Sandra Caciagli del Laboratorio Permanente per la Pace e della Dott.ssa Elisabetta Innocenti, neuropsichiatra infantile Ospedale Meyer. Presente l’Assessora alla Educazione, Formazione professionale, Cultura della memoria e della legalità, Pari opportunità Benedetta Albanese che ha portato il suo saluto istituzionale.

Stefania Collesei ha rimarcato che lavorare con i bambini è importante, è la strada per dimostrare che un’altra strada è possibile, a partire proprio dai bambini. E’ per questo che il consiglio comunale ha preso diverse iniziative per incontrare realtà di gruppi e associazioni che insieme vogliono lavorare per abbattere il muro della guerra. Mentre in Italia da 80 anni abbiamo avuto la fortuna di non vivere direttamente l’esperienza della guerra, un periodo in cui i bambini sono nati e potuti crescere in tempo di pace, nel video sono stati presentati i momenti dei conflitti vissuti dai bambini palestinesi e israeliani, bambini che non hanno mai conosciuto la pace nella loro vita. Per questo sono importanti le iniziative di associazioni e gruppi informali che a Firenze hanno sviluppato in modo costante iniziative, anche in collaborazione con la commissione, per difendere il valore della pace e la difesa della vita a partire dai bambini, gridando l’orrore dei 17.000 bambini morti solo in Palestina a partire dal 7 ottobre dove sono morti bambini israeliani.

Beatrice Barbieri ha ricordato la sua presenza e rapporto con i ragazzi della scuola e la loro importanza in questo percorso in un momento in cui si è sempre di più sentito parlare della guerra, fino, alla paura di essere coinvolti anche da noi dalla guerra e, in certi momenti, ad assuefarsi a questa stessa parola. In un colloquio un alunno ha fatto la constatazione che “se non ci fosse la guerra non si parlerebbe nemmeno della pace”! Concludendo lui stesso che “una volta assaporata la bellezza della pace non ha senso andare a ricercare la guerra”! Per questo è necessario arricchirsi di cose belle! 

L’assessora Albanese ha ringraziato per l’organizzazione di questa iniziativa con i bambini, dei piccoli cittadini, ma i più importanti che possano abitare queste stanza, perché loro saranno gli adulti di domani, parte integrante di questo percorso di “costruttori di pace”, per il quale non esiste una ricetta, se non l’impegno attraverso le azioni, il pensiero, le parole.  Albanese ha sottolineato che In questo sogno, in questo percorso da fare assieme, il punto di vista e il contributo dei bambini è importante! 

Il Prof. Matteini ha presentato il video che fa parte del progetto “La vita e la storia” con l’obiettivo di favorire la conoscenza della storia a partire da testimonianze di vita. Il video rappresenta i sogni ed i disegni dei bambini israeliani e palestinesi, bambini che non hanno mai conosciuto la pace nella loro vita e ci aiuta a comprendere i conflitti vissuti da loro, ma anche da tutti quelli che vivono in situazioni di conflitto e di guerra. La prospettiva cerca di andare al di là delle ragioni e dei torti, non perché non ci siano responsabilità e si debba rinunciare ai propri giudizi e le proprie valutazioni, ma significa cercare quel terreno comune che eviti di cadere nelle tifoserie contrapposte che impediscono la conoscenza e la capacità di ascolto dell’altro.

Il focus del video è l’infanzia traumatizzata dalla guerra, un aspetto che è vissuta su tutti i fronti, ma che in certi casi non è tenuta nella giusta considerazione e viene quasi considerata un effetto collaterale al servizio di scopi politici. Così in questa disumanizzazione le prime vittime sono proprio i bambini. Per questo vanno considerati tutti i bambini, non solo per il numero dei morti, ma anche per l’impatto psicologico, la paura degli attentati e degli attacchi, le ferite e amputazioni subite, la perdita dei genitori o dei propri cari, la percezione della insicurezza degli adulti e della impossibilità di offrire loro protezione: tutti aspetti e traumi diretti e indiretti che incidono pesantemente sulla loro formazione e crescita. Questo non riguarda solo i bambini Palestinesi, Israeliani, ucraini: secondo un rapporto dell’Unicef i bambini che si trovano in aree di conflitto sono 473 milioni, quasi uno su cinque! Una percentuale quasi raddoppiata rispetto al 1990. I bambini siriani vissuti sotto i bombardamenti sono circa 6 milioni e per molti di loro il sogno era morire per poter andare in paradiso, per poter vivere una vita in pace e ritrovare i propri amici morti prima. Nel video è stato possibile vedere e ascoltare altri fattori che incidono pesante mente sulla vita e la crescita dei bambini, fattori che fanno parte della loro quotidianità. Uno di questi è il richiamo costante alla guerra che si presenta nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, questi richiami li vediamo nelle immagini dei bambini palestinesi dei campi profughi che per andare a scuola camminano attraverso i muri tappezzati con disegni dei martiri e dei morti, in altre foto bambini israeliani che si esercitano con le armi, a difendersi dall’arrivo dei missili, anche con l’utilizzo dei rifugi all’interno degli stessi campi giochi, oppure accompagnati da maestri e genitori armati.

Un ultimo fattore che incide pesantemente sulla crescita e formazione dei bambini è ovviamente l’istruzione su cui sia israeliani che palestinesi dedicano una grande attenzione e fanno scelte simili, a partire dai testi scolastici, negando l’esistenza dell’altro, attraverso meccanismi di distorsione della verità storica, con la sua cancellazione dalle mappe e dalle cartine aumentando ancora l’alimentazione dell’odio e della violenza. Così ai danni individuali causati dall’esperienza della guerra, si sommano questi effetti a lungo termine sulla coscienza e il modo di pensare dei bambini. Questa esperienza del passato e del presente influirà per decenni su intere generazioni che verranno spinti a immaginare così’ un futuro con la guerra al centro, facendo sì che sia più facile pensare alla guerra come soluzione che non la pace. Il radicamento di questo pensiero tenderà a entrare nella mentalità collettiva tanto da farci diventare incapaci di pensare e attivare la soluzione della pace. David Grossman già nel 2021 diceva “Un’intera generazione di bambini, a Gaza e a Ashkelon, presumibilmente crescerà e vivrà con il trauma dei missili, dei bombardamenti e delle sirene. A voi bambini, sulle cui coscienze questo conflitto ha inciso davvero, io sento il bisogno di chiedere scusa, perché non siamo stati capaci di creare per voi la realtà migliore e più sana a cui ogni bambino di questo mondo ha diritto.

Dopo gli interventi delle rappresentanti del Laboratorio permanente per la pace del Q5, Sandra Caciagli e Eleonora Boscolo e gli interessanti spunti e informazioni della Dott.ssa Elisabetta Innocenti, neuropsichiatra infantile dell’Ospedale Meyer, l’incontro si è poi concluso con il laboratorio dei bambini della Scuola primaria Montagnola che hanno disegnato le emozioni, le riflessioni e le proposte su quanto è loro arrivato dalle immagini e dalle parole del video ed alcuni di questi sono stati presentati da loro stessi alla fine.

Video che è stato proiettato all’incontro

Paolo Mazzinghi

Pedemontana. Un appello sale dalla Brianza che ama: “Fermarla è possibile!”

L’autostrada pedemontana è un progetto di cui si parla da ormai oltre sessant’anni. Un articolo dell’Eco di Bergamo del 20 dicembre 2017 ne riassume per sommi capi la storia: “La prima ipotesi di tracciato compare nei Piani territoriali del 1963, nel frattempo il tracciato è salito e sceso manco un folle elettrocardiogramma: da Bergamo a Biella, poi da Trezzo a Saronno, poi da Usmate a Saronno tagliando fuori la Bergamasca. Tutto a livello di ipotesi, perché solo nel 1982 l’Anas inserisce l’opera nel Piano decennale della viabilità di grande comunicazione: 19 anni solo per questo primo passo.

Nel 1985 si sfiora il risibile quando la Regione sposta tutto ancora più a Nord: da Dalmine a Como e Varese attraversando il lecchese con tanti saluti a Milano. Che la prende male e mette sul tavolo l’ipotesi della Gronda intermedia Castellanza-Saronno-Vimercate-Trezzo: in pratica dal nulla si passa a due autostrade a pochi chilometri di distanza. Sempre sulla carta, beninteso, ma tanto basta per far imbestialire ambientalisti e comitati vari.

Nel 1990 arriva il passaggio-chiave, l’assegnazione della concessione alla società Pedemontana, all’epoca divisa equamente tra Milano-Serravalle e società Autostrade: nel frattempo tra Pedemontana e Gronda intermedia si trova la soluzione ibrida un po’ di qua e un po’ di là, la si ribattezza Pedegronda e il tracciato ritorna più verso il milanese: da Dalmine a Vimercate e da qui a Legnano. Peccato che quest’ultima sia fuori dalla concessione, e allora nuovo cambio in corsa fino all’attuale Sistema Pedemontano. È il 1999 e sembra quasi fatta, ma per mettere d’accordo tutti (vabbè, quasi…) servirà ancora una decina d’anni.”

Come ricorda l’Eco di Bergamo, il 6 febbraio 2010 nel paese natale di Umberto Bossi, Cassano Magnago, viene posata la prima pietra dell’opera. Previsto anche un cronoprogramma ormai superato senza esito: “agosto 2013 i primi lotti, dicembre 2014 l’opera intera, tutto in prospettiva Expo 2015. Che è abbondantemente passato”.

Il progetto è composto da cinque tratte, di cui le prime due, da Varese a Lentate sul Seveso, alle porte della Brianza monzese, sono già realizzate. Per quel che riguarda le restanti tratte, le problematiche sono numerose, e tanti sono i comitati locali che da decenni ormai cercano di fare informazione e di opporsi alla devastazione del territorio. Qui i lavori veri e propri non sono avviati, ma alcuni cantieri propedeutici hanno presto il via destando preoccupazione e sdegno nella cittadinanza.

La tratta B2 cade tutta nella provincia di Monza e Brianza e andrà a convertire un tratto della attuale Milano-Meda, una superstrada gratuita, in autostrada a pagamento. Già così la cosa non sembra andare incontro alle esigenze delle persone che abitano il territorio; occorre anche aggiungere che lungo questo tracciato, sepolta dalla terra e dagli anni, giace la diossina del disastro dell’ICMESA del 1976. Nel 2012, quasi per caso, alcune analisi portarono a constatare che i terreni sono ancora altamente compromessi e inquinati dalla diossina, così è stato dato mandato a Pedemontana di procedere alla bonifica prima di avviare i lavori. A novembre 2024 sono iniziati i lavori propedeutici alla bonifica secondo una logica di “gestione del rischio” che genera inquietudine. I comitati locali a gran voce stanno dicendo da tempo che “se non è a rischio zero non è bonifica”. Sabato 22 febbraio 2025 si terrà proprio a Seveso una “passeggiata della vergogna” per reclamare il rischio zero (in allegato la locandina dell’iniziativa).

Nel frattempo, sulla tratta C, che attraverserà il cuore della Brianza, da Desio a Vimercate impattando su Macherio, Lissone, Lesmo, Arcore, con l’obiettivo di raggiungere (ma non ricongiungersi con) la tangenziale est, tra la Velasca e Usmate Velate, si possono osservare ampie distese verdi tutte cintate con la rete rossa di cantierizzazione, uno spettacolo desolante.

Il giorno di San Valentino Fridays for future ha lanciato qui una campagna per dichiarare il proprio amore per la Brianza con un’azione semplice e alla portata di chiunque: dotarsi un piccolo lucchetto su cui scrivere il proprio messaggio d’amore per poi apporlo sulla rete dei cantieri (foto allegate – qui i link alle pagine social che promuovono l’azione: https://www.facebook.com/share/p/16791uoPfL/ ; https://www.instagram.com/p/DGDrbGkt_Qu/?igsh=MWZ0cWg3dzhqb253dA==). Lo slogan dell’azione è “I love Brianza – Al vostro progetto mettiamo il lucchetto”. Fridays for future invita a emulare il gesto per esprimere il proprio dissenso contro questa immensa colata di cemento che andrà a coprire le già ridotte e per questo preziosissime aree verdi della zona.

Nel frattempo, nella zona di Arcore – località che sappiamo essere ben nota per altre ragioni – le ruspe sono già al lavoro su un’area boschiva del parco dei Colli Briantei dove (chissà se e tra quanto) l’autostrada dovrebbe passare. Circa una cinquantina di alberi di mezzo secolo di vita sono già stati abbattuti. Sono molte le persone della zona che conoscono e amano questi boschi, vedere questo scempio ha scosso gli animi, generando dolore e frustrazione nei più, e anche qualche tentativo di azione diretta e di interposizione pacifica che è riuscita in un caso a interrompere i lavori e a silenziare le ruspe, seppur solo temporaneamente (https://www.mbnews.it/2025/02/attivista-ferma-ruspe-pedemontana-boschi-bernate-arcore/).

La tratta D-breve è l’ultima arrivata. Non ancora approvata né finanziata. Dal 2021 Regione Lombardia lavorava all’insaputa di tutti alla modifica del progetto, amministrazioni comunali interessate incluse. Al posto della D-lunga (18 km), che avrebbe dovuto andare fino a Dalmine, spunta la D-breve (9 km). Arrivata la tratta C a Vimercate l’autostrada devierebbe verso sud per raggiungere Agrate e congiungersi con la TEEM. Otto corsie di autostrada che correrà parallela alla A51 (tangenziale est), gratuita, mentre Pedemontana avrà tariffe da capogiro: da Lentate ad Agrate, un percorso di circa 30 km, si spenderebbero 20 euro di pedaggio.

Il nuovo tracciato non è una variante ma una nuova opera che nulla ha a che fare con l’originale collegamento est-ovest di Pedemontana. I motivi del cambio: i costi troppo elevati che portano a ripiegare su questo tracciato D-breve, più corto, e la difficoltà a passare in territori fortemente urbanizzati come quelli della provincia di Bergamo (questa la versione ufficiale…).

La tratta D-breve invaderà per oltre il 76% il Parco P.A.N.E., un grande Plis nella Brianza est, di 4.065 ettari, che coinvolge 23 comuni. Verrebbe consumato suolo per un totale di 442.580 mq (l’equivalente di 62 campi da calcio). All’interno un bosco di pregio (il bosco della Bruciata), tantissime specie animali e vegetali, alcune delle quali protette, e tre ordini di terrazzi delle tre fasi glaciali che sono il risultato delle diverse ere geologiche. Insomma, un vero e proprio museo geologico e naturalistico a cielo aperto.

In questa parte della Brianza un intero territorio si è unito per opporsi allo scempio. Oltre a una grande opera di sensibilizzazione da parte dei cittadini, qui l’azione istituzionale è ancora possibile e così dieci comuni del vimercatese, con amministrazioni di opposte appartenenze politiche, hanno avviato un’azione legale contro quegli enti che continuano a sostenere il progetto e che stanno violando tra le altre cose, il leale principio di collaborazione tra enti. L’ultimo atto giuridico è una diffida nel proseguire con la realizzazione della tratta D-breve inviata a gennaio dai dieci comuni a Regione Lombardia, CIPESS, Ministero delle Infrastrutture, Ministero dell’Ambiente, Cal e Apl (tutta la documentazione disponibile sul sito del Comune di Agrate e di Vimercate).

L’obiettivo dei movimenti e dei comitati lungo tutto il tracciato di Pedemontana è di intercettare il dissenso e dare fiducia nelle concrete possibilità di intervento praticando azione diretta. Non è facile né scontato, perché molte persone hanno tendenza a sentirsi impotenti di fronte ai cantieri all’opera. Molte ma non tutte: per alcune persone infatti il gioco è tutto da giocare, finché ci sono alberi e parchi da difendere.

Come qualcuno ha detto: “Dire che l’opera è disastrosa ma ormai non c’è più nulla da fare, sarebbe come se, a suo tempo, qualcuno avesse detto ‘eh ormai i lager sono costruiti cosa fai, non li usi?’”

Laddove la politica istituzionale si muove in direzione opposta rispetto al bene comune, c’è sempre margine per intervenire come singole persone, cittadine e cittadini, desiderose di allearsi con la natura e difenderla.

Fridays for Future Brianza

Fridays For Future

Senza tremori anche con Mr PK

Da dicembre dell’anno scorso è iniziata una collaborazione tra Movimento Lento, associazione che promuove il viaggio a piedi e in bicicletta e APB, ovvero gli Amici Parkinsoniani Biellesi.

Potrebbe sembrare una strana collaborazione, ma non lo è.

La condizione di quelli che convivono con Mr PK, ovvero con la malattia di Parkinson è quella di “trovarsi a compiere un viaggio con una persona imprevista e – colmo della sfortuna – anche assolutamente di non piacevole compagnia perché invadente (si prende senza ritegno roba mia) , recidiva (continua a farlo anche se ho tentato di spigarle che la cosa non mi garba affatto), impunita (nessuno riesce a togliermela definitivamente dai piedi!)”. Così descrisse, con precisione e ironia, Mr Pk Don Giorgio Chatrian, fondatore dell’APB in qualità di persona affetta dalla malattia di Parkinson.

Nelle righe successive del suo libro, edito 10 anni fa da Sensibili alle foglie, non esita a definire Mr PK un lestofante, anzi una ladra in quanto per Don Giorgio si trattava di una femmina, esattamente di Lady Park.

Personalmente associo di più la malattia di Parkinson al maschile. L’invadenza, la recidività e l’impunità sono molto più comuni tra noi dotati di cromosoma X che nel gentil sesso. Per non parlare della pratica del furto. Basti dire, a riprova, che il 95,8% delle persone detenute in Italia è di sesso maschile.

Ma di che furto stiamo parlando?

Quelle che vengono a mancare quando sei affetto dal Parkinson sono le cellule nervose del sistema dopaminergico.

Per semplificare diciamo che Mr Pk si frega la nostra dopamina.

La dopamina è un neurotrasmettitore del sistema nervoso che regola molte cose; tra queste il piacere, il movimento e il sonno. Insomma chi convive con Mr Pk non ha vita semplice.

E’ possibile guarire?

Risposta: no. E’ una malattia degenerativa, ovvero che progredisce con maggiore o minore intensità a secondo dei casi, ma non c’è guarigione.

Arriviamo così alla collaborazione tra APB e Movimento Lento, perché quello che è possibile fare con Mr Pk è rallentarlo. E movimento e convivialità sono due antidoti.

Addirittura quando ci si muove sparisce una delle sintomatologie tipiche di Mr Pk: il tremore. Questo, infatti, è presente in molte persone che hanno il Parkinson ma si manifesta solo da fermi.

Se, putacaso, cammini e usi anche i bastoncini da trekking il tremolio sparisce. E non solo, eserciti anche il coordinamento, la postura e l’equilibrio.

Senza tremori è un’esperienza, sostenuta da Fondazione Cassa di Risparmio Biella e Vercelli, che prevede, da dicembre 2024 a ottobre 2025, un programma di camminate per persone derubate da Mr Pk, ma non solo. I luoghi dove queste esperienze avvengono sono i sentieri del Biellese, luoghi che riconciliano con la bellezza dei paesaggi. Li nomino al plurale perché il nostro territorio è molto variegato, dalla pianura alla montagna, dal lago al torrente.

Altro elemento essenziale di questo progetto, anzi preferirei definirla esperienza, è la convivialità. Di volta in volta, nei diversi luoghi, avvengono incontri, occasioni di scambio, a volte anche mettendo le gambe sotto il tavolo, a volte no.

Sabato scorso c’è stata la sesta uscita del gruppo. In diciassette, alcuni di noi con Mr Pk e altri no, siamo andati in passeggiata al Roc della Regina, masso erratico molto significativo che si trova nel territorio di Roppolo.

Sul ritorno alcuni roppolesi hanno accolto i camminatori nella frazione di Peverano, accendendo il forno comunitario e preparando focacce e altre prelibatezze per i convenuti.

E’ stato un atto di generosa accoglienza da parte di quattro amici: Mariangela, Fabio, Arianna e Enrico. Altri ce ne sono stati nelle passeggiate precedenti e, altri ne avverranno in futuro.

Da adesso in poi sarà mio compito tenervi aggiornati e informati. Fino ad adesso ho taciuto per dar tempo al gruppo di conoscersi e costituirsi.

Il gruppo ora è formato ma siamo aperti a nuove partecipazioni. Se siete interessati, con o senza Mr Pk, scrivetemi all’indirizzo ettore.macchieraldo@pressenza.com

Articolo pubblicato su https://www.movimentolento.it/

Ettore Macchieraldo

Cacciato per il cartello sulla pace: presentato esposto alla Procura della Repubblica

Quale componente del Comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento ho presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Sulmona su quanto avvenuto lo scorso 29 gennaio in occasione della premiazione del concorso letterario, per studenti degli Istituti superiori di istruzione della Valle Peligna e dell’Alto Sangro, promosso dall’Unuci (Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia). Per aver mostrato in silenzio, in un incontro pubblico, un cartello con la scritta “Educare i giovani alla pace non alla guerra”, funzionari di Carabinieri e Polizia presenti nella sala mi hanno dapprima circondato e poi sospinto a forza verso l’uscita.

Con l’esposto ho chiesto alla Procura di accertare se il comportamento tenuto dai rappresentanti delle forze dell’ordine, lesivo di fondamentali principi costituzionali, configuri il reato di abuso dei poteri loro assegnati dalle leggi e dai regolamenti vigenti, minando in tal modo la fiducia della comunità nelle istituzioni democratiche del nostro Stato.

La libera manifestazione del pensiero è un diritto tutelato dalla nostra Costituzione (art.21) e il “ripudio” della guerra è anch’esso sancito dalla Costituzione (art.11). Non solo, ma lo stesso ordinamento del nostro sistema nazionale di istruzione ha tra i suoi fondamenti l’educazione alla pace. Infatti, la Legge n. 107 del 2015, all’articolo 1, include tra gli obiettivi formativi considerati prioritari lo “sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica attraverso la valorizzazione dell’educazione interculturale e alla pace”.

Nell’esposto si richiama l’insegnamento della grande pedagogista Maria Montessori, il cui metodo educativo è stato adottato in molti Paesi del mondo e che ha pubblicato un libro intitolato proprio “Educazione e pace”. In esso la Montessori ha scritto, tra l’altro: “Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione”; e ancora: “Due sono i mezzi che conducono a questa unione pacificatrice: uno è lo sforzo immediato di risolvere senza violenza i conflitti, vale a dire di eludere le guerre; l’altro è lo sforzo prolungato di costruire stabilmente la pace tra gli uomini. Ora, evitare i conflitti è opera della politica; costruire la pace è opera dell’educazione”.

Si richiamano anche le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, nel discorso di fine anno del 31 dicembre 2023, ha detto tra l’altro: “La guerra, ogni guerra, genera odio. L’odio durerà moltiplicato per molto tempo dopo la fine dei conflitti (…). La guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. Così diffuse. Così letali. Fonte di enormi guadagni. E’ indispensabile dare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità della pace”.

E quelle di Papa Francesco che, nell’Angelus di domenica 14 gennaio 2024, ha tra l’altro affermato: “non dimentichiamo questo: la guerra è in sé stessa un crimine contro l’umanità. I popoli hanno bisogno di pace! Il mondo ha bisogno di pace! (…). Dobbiamo educare alla pace. Si vede che non siamo ancora – l’umanità intera – con un’educazione tale da fermare ogni guerra. Preghiamo sempre per questa grazia: educare alla pace”.

Alla luce dei principi della nostra Carta costituzionale, degli obiettivi dell’ordinamento scolastico nazionale, nonché delle esortazioni delle massime autorità in campo pedagogico, istituzionale e religioso, cosa può giustificare l’intervento delle forze dell’ordine? Quale norma autorizza ad usare la forza ed espellere da un consesso pubblico un pensiero, non solo non offensivo, ma largamente condiviso nella nostra società? E’ mai possibile che, in uno Stato democratico, una semplice frase, che ricorda la necessità inderogabile di educare le nuove generazioni alla pace e non alla guerra, possa essere considerata “disturbante” se non addirittura “eversiva”?

Mario Pizzola

Le proposte di Legambiente a misura di gatto

La violenza contro gli animali non si ferma. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Ecomafia, le forze di polizia hanno registrato in tema di abbandono, maltrattamento e uccisione a danno degli animali domestici (in particolare cani e gatti) ben 1.400 reati, 3.708 illeciti amministrativi e 815 persone denunciate. I gatti, in particolare, come ha denunciato Legambiente in occasione della recente Giornata nazionale del gatto (17 febbraio) “sono ancora alla ricerca di identità e tutela.” E proprio ai gatti Legambiente ha dedicato un focus, A-Mici in città, che rivela un quadro poco confortante, evidenziando come l’amore degli italiani per i felini sia messo a dura prova dalla permanente insufficienza dei servizi di gestione e assistenza promossi dai Comuni e dalle Asl e come gli oltre 96 mila volontari che curano più di 1 milione di gatti nelle colonie feline e gli oltre 10 milioni di felini che sono stati censiti nelle case degli italiani (XVII rapporto Assalco-Zoomark: https://www.assalco.it/archivio10_documento-generico_0_1570_29_5.html) siano costretti a far fronte a grandi lacune.

Nel 2023, su un campione di 771 Comuni, solo il 39% dichiara di avere colonie feline presenti sul proprio territorio e il 33,5% di sapere quanti gatti le popolino. Rispetto alle sterilizzazioni, l’8,3% dei Comuni sostiene di averle effettuate su più del 90% dei gatti presenti nelle colonie di competenza, il 7,1% dice di aver fatto almeno una campagna di microchippatura, il 16,1% di sterilizzazione e il 12,7% di aver realizzato progetti informativi per l’adozione di gatti in cerca di casa. Appena l’8,8% dei Comuni dichiara poi di avere gattili sanitari e solo il 4,1% di possedere oasi feline. Delle 46 aziende sanitarie parte del campione di A-Mici in Città il 93,5% dichiara invece di avere colonie feline presenti sul proprio territorio e l’80,4% conosce il numero di gatti che ne fanno parte. Il 71,7% ha incaricato cittadini per la gestione delle colonie urbane, solo il 10,9% sostiene di aver anagrafato i gatti presenti in esse e il 23,9% di aver sterilizzato più del 90% dei piccoli felini che le popolano. Solo il 17,4% ha realizzato almeno una campagna di microchippatura, il 47,8% di sterilizzazione e il 56,5% di aver organizzato iniziative per l’adozione di gatti. Infine, il 60,9% dichiara la presenza di gattili sanitari e il 41,3% di avere oasi feline. (anno di riferimento 2023).

Non mancano, per fortuna, città che – come evidenziano i dati di “A-Mici in Città 2025” – nel 2023 si sono distinte per la gestione e cura degli amici felini. Con la presenza di due gattili sanitari ciascuna, Modena, Sassari, Latina e Alba (CN) figurano tra le città più virtuose in tema di accoglienza. Per quanto riguarda il numero di adozioni emergono Vicenza (680 adozioni nel 2023), Ivrea – TO (277), Modena e Mantova con 251 gatti ciascuna che hanno trovato casa. Ben 17 oasi feline sorgono ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, otto a Bologna e tre a Verona. Mentre Napoli (2.459), Milano (1.400) e Padova (1.028) si distinguono per il maggior numero di colonie feline registrate sul proprio territorio. Napoli e Milano, inoltre, rispettivamente con 2.095 e 1.400 volontari incaricati nelle colonie feline, spiccano insieme a Torino (1.000) per essere le città con il più alto numero di cittadini dediti alla cura e assistenza dei gatti presenti nelle colonie territoriali registrate. Infine, sul versante delle sterilizzazioni, ritroviamo Napoli con 2.510 gatti sterilizzati al 2023, preceduta da Verona (3.236) e, in ultimo, Modena con 2.392 interventi di sterilizzazione felina effettuati.

Legambiente formula alcune precise proposte: piena operatività del Sistema Informativo Nazionale degli Animali da Compagnia per conoscere le effettive presenze e i bisogni degli animali d’affezione; patti di comunità tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati per gestire insieme la tutela e la cura degli animali da compagnia e selvatici nei contesti urbani; una sanità di prossimità più capillare attraverso la presenza in servizio di 6.000 veterinari pubblici e l’attivazione di 1.000 strutture veterinarie pubbliche, quali canili e gattili (uno ogni 50-100 mila cittadini) e ospedali veterinari (uno ogni 300-400 mila cittadini); formazione di 10.000 guardie ambientali e zoofile volontarie per rafforzare il sistema di controlli pubblico-privato per il rispetto delle norme a tutela degli animali da compagnia; e infine l’inasprimento nel Codice penale della reclusione da tre a sei anni per i reati contro gli animali non solo come misura repressiva ma soprattutto come strumento di prevenzione grazie all’attivazione degli strumenti investigativi adeguati.

Qui il focus: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/A-Mici-2025.pdf.

Giovanni Caprio

Petizione Novara-Pellai: “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”.

Il pedagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai, il 10 settembre 2024, hanno lanciato nei sulla piattaforma Change.org una raccolta firme molto importante dal titolo “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”. La motivazione, secondo i promotori, è che la popolazione si sta avviando sempre più verso un uso precoce se non precocissimo all’uso dello smartphone e dei social. “Essere sempre connessi – secondo i promotori – danneggia il sonno, i rapporti sociali, l’attenzione, e può dare dipendenza”. Come ha dichiarato Pellai (che sull’argomento ha scritto più di un libro, l’ultimo è “Allenare alla vita”) in un’intervista a La Repubblica :«Non possiamo più rimanere in silenzio. Nessuno ha niente contro la tecnologia, il tema è l’autogestione del minore. I dati ci dicono che non ha l’abilità per difendersi dalla tecnologia, torniamo ai vecchi cellulari usati solo per comunicare» – aggiungendo «Tra gli 11 e i 14 anni, il funzionamento della parte emotiva del cervello di un adolescente è potentissimo. Si vede bene nel film Inside out 2: si schiaccia il bottone della pubertà e il cervello emotivo diventa esplosivo. È affamato di divertimento, di eccitazione, di dopamina. Tra i dieci e i 14 anni si ha la massima vulnerabilità nei confronti dell’ingaggio dopaminergico, che è tanto presente nell’online. Il cervello cognitivo matura più tardi». Sui social «Non vengono proposti soltanto documentari, ma una serie di esperienze. E da un’architettura che non parla al cervello che pensa, ma a quello che sente» – incalcava Pellai – «A partire dal 2012, gli indicatori di salute mentale in età evolutiva sono sempre andati peggiorando proprio quando i cellulari sono diventati smartphone. Prima avevamo uno strumento di comunicazione», mentre ora abbiamo avuto in mano strumenti di connessione che ci tengono attivi tutto il giorno. Nella vita online vengono fortemente sviluppati quattro aspetti: la deprivazione di sonno, la deprivazione sociale, la frammentazione dell’attenzione, la stimolazione a fare sempre più cose nella vita virtuale senza riuscire a smettere. Questo è un male nell’età evolutiva perché il cervello per svilupparsi e strutturarsi ha bisogno di stare di più nella vita reale.
Nella petizione si chiede di proibire i social media prima dei 16 anni poiché, prima di questa età, sviluppa un’ansia performativa, una riduzione dell’autostima e un senso di inadeguatezza rispetto alla propria immagine. Affermava Pellai: «Non possiamo più non dire che i social media non rappresentano un fattore di rischio per la salute degli adolescenti. Non è un’opinione». Per questi motivi, vista la poca risonanza mediatica che continua ad avere questa petizione, ci sembra giusto rilanciarla affinchè raggiunga più adesioni possibile. Riportiamo qui di seguito il testo:

Se è vero che spesso le tecnologie migliorano la qualità della vita, questo non accade quando si parla di educazione nella prima infanzia e nella scuola primaria. I bambini e le bambine che utilizzano strumenti tecnologici e interagiscono con gli schermi subiscono due danni:
– Uno diretto, legato alla dipendenza.
– Uno indiretto, perché l’interazione con gli schermi impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita.
È ormai chiaro che prima dei 14 anni avere uno smartphone personale possa essere molto dannoso così come aprire, prima dei 16 anni, un proprio profilo personale sui social media.
La nostra non è una presa di posizione anti-tecnologica ma l’accoglimento di ciò che le neuroscienze hanno ormai dimostrato: ci sono aree del cervello, fondamentali per l’apprendimento cognitivo, che non si sviluppano pienamente se il minore porta nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe invece vivere nel mondo reale.
Simili comportamenti in età prescolare portano ad alterazioni della materia bianca in quelle aree cerebrali fondamentali per sostenere l’apprendimento della letto-scrittura.
I fatti lo dimostrano: nelle scuole dove lo smartphone non è ammesso, gli studenti socializzano e apprendono meglio. Prima dei 14-15 anni, il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile all’ingaggio dopaminergico dei social media e dei videogiochi.
Anche nelle scuole bisogna essere coerenti con quello che ci dicono le neuroscienze. Smartphone e tablet devono essere usati solo dai docenti per arricchire le proposte didattiche senza prevedere, in classe o a casa e almeno fino ai 15 anni, alcun uso autonomo degli studenti.

APPELLO
Chiediamo quindi al Governo italiano di impegnarsi per far sì che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16. Aiutiamo le nuove generazioni.

Possibilità di sottoscrivere il testo al seguente link: https://www.change.org/p/stop-smartphone-e-social-sotto-i-14-e-16-anni-ogni-tecnologia-ha-il-suo-giusto-tempo

Primi Firmatari
Daniele Novara, pedagogista e counselor – direttore del CPPP
Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta
Manuela Andretta, magistrato Corte d’Appello di Milano
Laura Beltrami, pedagogista, formatrice e counselor
Lorella Boccalini, pedagogista, formatrice e counselor
Anna Boeri, formatrice, counselor, psicodrammatista
Silvia Bonino, psicologa e psicoterapeuta
Francesco Cappa, pedagogista, università Bicocca-Milano
Lorenza Comi, pedagogista, formatrice e counselor
Emanuela Cusimano, pedagogista e counselor
Cristina Dell’Acqua Grecista, grecista e insegnante
Teresa De Pascale, magistrato della Corte d’appello di Milano
Idor De Simone, medico optometrista
Roberto Farnè, pedagogista, università Bologna
Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva , università La Sapienza, Roma
Brunella Fiore, Università Bicocca-Milano
Michele Gagliano, educatore e formatore
Secondo Giacobbi, psicoanalista
Antonella Gorrino, pedagogista e formatrice
Giovanni Grandi, filosofia morale, università di Trieste
Luca Grion, filosofia morale, università di Udine
Ivano Giuseppe Gamelli, pedagogista, università Bicocca-Milano
Natalia Imarisio, magistrato della Corte d’Appello di Milano
Simone Lanza, insegnante
Fabrizio Lertora, esperto di processi organizzativi e collaborativi
Ivo Lizzola, pedagogista, università Bicocca-Milano
Federica Lucchesini, direttrice rivista “Gli Asini”
Massimo Lussignoli, pedagogista, formatore e counselor
Luigi Luzi, magistrato della Procura della Repubblica di Milano
Raffaele Mantegazza, pedagogista università Bicocca-Milano
Luca Milani, magistrato del Tribunale di Milano
Monica Minciu, università di Torino
Diego Miscioscia, psicologo e psicoterapeuta
Pietro Moscianese, magistrato della Procura della Repubblica per i minori di Milano
Paola Nicolini, psicologa dello sviluppo e dell’educazione, università di Macerata
Alberto Oliverio, neurobiologo, università La Sapienza, Roma
Paolo Orio, Associazione italiana elettrosensibili
Vanja Paltrinieri, pedagogista, formatrice e counselor
Francesca Parola, magistrato della Procura della Repubblica di Busto Arsizio
Elena Passerini, formatrice e psicogrammista
Eva Pattis, analista junghiana
Elisabetta Romoli, insegnante
Maria Teresa Pepe, pedagogista, formatrice e counselor
Laura Petrini, formatrice e consulente educativa
Filippo Sani, formatore, sociologo, pedagogista e counselor
Donatella Savio, pedagogista
Barbara Tamborini, psicopedagogista
Bruno Tognolini, scrittore
Sergio Tramma, pedagogista, università Bicocca-Milano
Silvia Vegetti Finzi, psicologa e scrittrice, università di Pavia
Marta Versiglia, pedagogista
Michele Zappella, neuropsichiatra infantile
Luigi Zoja, psicoanalista

UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Stefano Accorsi, attore *
Silvia Avallone, scrittrice e poetessa
Marco Bonini, attore *
Valeria Bruni Tedeschi, attrice e regista *
Francesca De Martino, attrice *
Paolo Calabresi, attore e conduttore *
Maria Pia Calzone, attrice *
Paola Cortellesi, attrice e regista *
Pierfrancesco Favino, attore *
Anna Foglietta, attrice *
Claudia Gerini, attrice *
Valeria Golino, attrice e regista *
Edoardo Leo, attore e regista *
Valentina Lodovini, attrice *
Giorgio Marchesi, attore *
Vinicio Marchioni, attore *
Paola Minaccioni, attrice e conduttrice radiofonica *
Carlotta Natoli, attrice *
Claudia Pandolfi, attrice *
Vittoria Puccini, attrice *
Luisa Ranieri, attrice e conduttrice televisiva *
Alba Rohrwacher, attrice *
Francesco Bolo Rossini, attore e regista *
Fabrizia Sacchi, attrice *
Vanessa Scalerà, attrice *
Greta Scarano, attrice *
Stefano Scherini, attore *
Francesco Scianna, attore *
Pietro Sermonti, attore *
Tiberio Timperi, giornalista e conduttore
Thomas Trabacchi, attore *
Luca Zingaretti, attore *

(*) Fanno parte di UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Presentazione dell’appello dei pedagogisti – smartphone fuori legge prima dei 14 anni https://www.youtube.com/live/P2n6bTcR6mA
Presentazione in Senato della petizione “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni” https://www.youtube.com/watch?v=K59SYPgS5Fg

Ulteriori approfondimenti
https://www.orizzontescuola.it/stop-ai-cellulari-in-classe-mercoledi-al-senato-la-presentazione-della-petizione-con-novara-e-pellai/
https://www.agensir.it/italia/2024/09/13/no-smartphone-agli-under-14-alberto-pellai-puo-diventare-una-trappola-che-crea-dipendenza/

 

Redazione Italia

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio”

Benvenuti alla quarta parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Cosa è la Palestina oggi? Da cosa viene soffocata e come sopravvive?

La domanda può essere approcciata da diverse angolazioni.
Da un lato potremmo dire che la Palestina, o meglio, tutto il quadro degli eventi a cui stiamo assistendo oggi in Palestina, rappresenta il tragico paradigma della contemporaneità: l’avidità senza freno dei potenti da un lato, la nostra assuefazione all’ingiustizia, dall’altro.
Ogni giorno tutti noi siamo vittime di piccole e grandi arroganze da parte dei poteri. Talmente abituati a essere bombardati dalle prevaricazioni che spesso neanche più ci ribelliamo, accettando ogni volta la nuova asticella, il nuovo limite, la nuova legge, la nuova tassa, il nuovo divieto come parte integrante dell’essere ingranaggi di una società incentrata sul potere di pochi.

L’altra faccia della medaglia però è che, non ribellandoci, noi accettiamo (centimetro dopo centimetro) che i governi, le multinazionali, le lobby ci tolgano ancora maggiori fette di libertà, diritti, indipendenza, stritolandoci sempre più tra le spire della loro pantagruelica avidità. Le democrazie sono in crisi, le ideologie sono scomparse, il lavoro ha perso la sua componente nobilitativa. Tutta la società contemporanea risulta oggi impostata in funzione delle necessità dei potenti: farci produrre, farci consumare, arricchirsi sulle nostre fatiche.

Diventa dunque imperativo iniziare a domandarci quale limite noi, il popolo, siamo disposti a sopportare prima di ribellarci. All’interno di questo quesito rivoluzionario, si innesta ciò che vediamo succedere in Palestina: siamo noi disposti ad accettare che il potere arrivi perfino a genocidare un intero popolo per 365 miseri chilometri quadrati di terra?

Dunque, una prima risposta alla tua domanda potrebbe essere che la Palestina è un simbolo: il paradigma della ferocia di un potere avido, inumano e violento che pensa di possedere tutto, finanche le anime delle persone. Ma è anche una sollecitazione alla nostra capacità di fissarci dei limiti oltre i quali la nostra umanità deve gridare “BASTA”.

Un’altra prospettiva su cui riflettere, nel rispondere alla tua domanda, è quella di inquadrare la Palestina come una creatura in via di estinzione. E come tutto ciò che rischia di evaporare nell’oblio, provare a tutelarla. Mi spiego meglio: la voracità dello Stato di Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio. Colonia dopo colonia, l’estensione di ciò che oggi si può chiamare “Palestina” sulla mappa geografica si è tragicamente assottigliata.

La cosa risulta ancora più inquietante se si pensa che una manciata di decadi fa, il giorno prima del 14 maggio 1948, quando Ben Gurion autoproclamò la nascita dello stato di Israele, tutta la regione geografica compresa tra il Mediterraneo e il fiume Giordano era marcata nelle mappe geografiche come “Palestina”; non un nome coniato dai nemici del sionismo, ma risalente addirittura al XII secolo a. C. su volontà degli antichi egiziani (da Peleset, il nome dato ai Filistei), oppure quel Palaistine (Παλαιστινοί) utilizzato nel V secolo a.C. da Erodoto o, ancora, “Syria Palestina” secondo Adriano (135 d.C.).

E fa impressione, in questo grottesco teatro dell’assurdo in cui il sionismo pelecida fa a gara a spararla sempre più grossa, leggere frasi negazioniste come: “«Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un ‘popolo palestinese’ […] è una finzione» elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista” (B. Smotrich)

In questa sorta di “terrapiattismo” in chiave geopolitica, i sostenitori di questa sgangherata tesi ignorano perfino i contenuti dei documenti redatti dai sionisti per gli stessi sionisti.
La Dichiarazione Balfour, ad esempio, ovvero la lettera che l’omonimo ministro inviò a Lord Rothschild nel 1917 per auspicare “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
O, ancora lo stesso Theodor Herzl, padre fondatore del sionismo, che nel suo “A Jewish State” chiedeva espressamente al suo lettore “shall we choose Palestine or Argentine?”.

Di quel vasto territorio chiamato Palestina, ed evocato come terra promessa perfino dai sionisti nel secolo scorso, cosa rimane oggi? A ovest, una striscia di terra ormai ridotta a fossa comune difficilmente abitabile. A est, una Cisgiordania ormai maculata dalla colonizzazione illegale, squassata dalla violenza, simile a una carcassa su cui si avventa ogni avvoltoio con doppio passaporto e la voglia di rubarsi un pezzo di terra a condizioni fiscali agevolate. Dunque, sì: una Palestina a rischio di estinzione.
Vengono quasi in mente gli antichi romani quando, negli spazi bianchi delle mappe, scrivevano “hic sunt leones”. I pelecidi di oggi ci scriveranno “hic non sunt amplius Palæstini”.

Sulla tua seconda domanda, ovvero da cosa viene soffocata la Palestina, la risposta sarebbe articolata ma la condenserei sul simbolo per eccellenza dell’oppressione: le mura perimetrali realizzate da Israele a partire dagli anni 2000 attorno alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania.
A mio avviso, quelle recinzioni sono le fondamenta pragmatiche sopra cui è edificata tutta l’ideologia sionista dell’apartheid.

Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ne fornì un giudizio inequivocabile: “l’edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l’interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale”. Ma Israele aveva una strategia e, nonostante la sollecitazione della Corte a smantellarlo, lo mantenne in piedi.

Per capire il principio soggiacente quella strategia vanno qui riportate le parole di Michael Fakhri, relatore speciale del Consiglio per i diritti umani (ONU) quando a ottobre 2024 spiegava il report sulla denutrizione a Gaza, puntando l’indice accusatore proprio sul muro: “affamarli (i palestinesi n.d.r.) è il risultato di scelte compiute da decadi. […] bisogna andare indietro al 2000, quando Israele ha iniziato il suo blocco contro Gaza. […] Come un rubinetto che (Israele n.d.r.) può aprire o chiudere […] Contando le calorie e misurando cosa era permesso far entrare a Gaza ed essere sicuri che ciascuno rimanesse affamato, ma non così tanto da sollevare campanelli di allarme nel mondo. Così, il 6 di ottobre (il giorno prima degli attentati n.d.r.) metà della popolazione di Gaza presentava criticità alimentari e l’80% dipendeva dagli aiuti umanitari”.

Tutto quindi passa attraverso il muro: ciò che entra e ciò che esce; cose e persone.
Ad esempio, le imposte e i dazi doganali sui prodotti che varcano le mura e su cui solo Israele si arroga il diritto di commercio. Questi soldi servono, tra le altre cose, a pagare gli stipendi degli impiegati pubblici che, secondo i dati 2018 del Palestinian Central Bureau of Statistics, rappresentano un terzo dei lavoratori palestinesi. A cadenza periodica Israele decide di trattenerli: migliaia di famiglie palestinesi rimangono senza stipendio.

Oppure gli assalti ai pescherecci palestinesi per limitarne il territorio di pesca del 40% rispetto agli accordi di Oslo (fonte Euro-Med Human Rights Monitor) così da far calare il numero di pescatori registrati a Gaza da 10.000 a 4.000 unità in soli 20 anni.

Non va meglio sul fronte dell’agricoltura dove “durante tutto l’anno, gli aerei israeliani spruzzano ripetutamente erbicidi sulle terre palestinesi lungo i confini, causando danni alle colture agricole” (fonte EMHRM). A questo si aggiunga il divieto per i contadini ad avvicinarsi alla recinzione entro i 1.000 – 1.500 metri per aggiungere un’ulteriore deprivazione del 35% di territorio coltivabile.

E potremmo parlare del giacimento di Meged, il cui petrolio scorre anche sotto la Cisgiordania ma che Israele rifiuta di condividere o il Gaza Marine, un giacimento di gas a 20 miglia dalla costa di Gaza il quale, “se sfruttato adeguatamente, […] potrebbe coprire l’intero fabbisogno palestinese di gas e consentirebbe anche di effettuare esportazioni.” (fonte Geopop).

I palestinesi dunque sopravvivono in larga parte grazie agli aiuti umanitari distribuiti dall’UNRWA. Una distribuzione che non sottostando al controllo israeliano diventa disfunzionale alla politica pelecida. E così, con la scusa della manciata di lavoratori favorevoli a Hamas, su 30.000 impiegati, ecco spiegato il principale motivo della messa al bando e del susseguente tentativo di Israele di sostituirla con un’altra istituzione “rubinetto”, da poter chiudere su necessità politica.

Ma forse, alla tua domanda “cosa soffoca oggi il popolo palestinese”, la risposta più atavica e ciclica alla base dei genocidi è sempre la stessa: l’indifferenza del mondo.
L’indifferenza, complicità, propaganda, interessi economici dei potenti.
Quella stessa indifferenza che permise lo sterminio degli ebrei, nell’Europa nazista, oggi si ripresenta. E fra qualche decennio si ripresenteranno anche i ciclici memoriali, le cicliche giornate della memoria, le cicliche lacrime postume.

Chissà, forse fra venti anni ci sarà una bella stele in marmo a Gaza Riviere, luongo un Palestine Boulevard (magnanimamente concesso in terra d’Israele).
Di fronte al grattacielo edificato sopra una delle tante fosse comuni e, al largo, lo yacht dell’oligarca stipato di modelle e champagne. Nulla che la storia non abbia già visto.

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

Treni ad idrogeno e greenwashing, Europa Verde: «Resta un progetto insostenibile»

Rovato. «Il futuro dei trasporti su rotaia della nostra Regione e dell’intero Paese passa attraverso lo sviluppo della combustione a idrogeno. Si tratta di un progetto ambizioso che da tempo la Lega sta seguendo e che adesso diventa realtà. Il primo treno a idrogeno italiano è stato sperimentato giovedì mattina in provincia di Brescia, a Rovato». Così ha dichiarato pochi giorni fa il consigliere regionale leghista Floriano Massardi, presidente della commissione Agricoltura, montagna e foreste, aggiungendo «Grazie alla lungimiranza del ministro Salvini, che ha messo a disposizione ingenti risorse economiche del Governo, e di Regione Lombardia, da tempo impegnata in una vera e fattiva transizione ecologica verso la produzione di idrogeno verde, il nuovo treno è già realtà». «L’aspetto interessante», prosegue il consigliere del Carroccio, «è che il ricorso al combustibile elettrico presenta due grandi vantaggi: non impatta sull’ambiente ma anzi lo preserva e soprattutto non necessita di particolari infrastrutture, consentendo di mantenere operative quelle già esistenti. L’indotto economico che questa scelta produrrà sull’economia locale e nell’ambito turistico sarà consistente».

Secondo Massardi: «Questo è il vero ambientalismo, e non il discutibile e finto ecologismo di certa parte politica e dell’Unione Europea. Negli ultimi anni la nostra Regione ha investito 1,7 miliardi di euro per 214 nuovi treni che daranno forte slancio al settore ed entro il prossimo anno la Lombardia potrà contare su una flotta totalmente rinnovata. Regione Lombardia a guida Fontana e la Lega al Governo ancora una volta si muovono con fatti concreti, esclusivamente nella tutela dell’ambiente, dei nostri territori e dei nostri cittadini», conclude Massardi.

Eppure i dati dicono ben altro e non si capisce con quale cognizione di causa si possa definire “sostenibile” il treno ad idrogeno. Secondo l’ex sindaco di Brescia Emilio Del Bono – ora vicepresidente del Consiglio Regionale Lombardo – il progetto prevede spese da capogiro senza aumentare la frequenza dei convogli. “Un treno all’ora nella fascia di punta, i fondi andavano usati per migliorare il servizio”. La critica principale è il mancato incremento della frequenza dei treni, a fronte di un investimento di 400 milioni di euro, ma non solo: “il costo di esercizio oggi è di 3 milioni di euro all’anno, ma salirà a 24,4 milioni all’anno. Questi numeri non sono ragionevoli e soprattutto non spostano i pendolari dall’auto al trasporto pubblico”, commentano dalla sede del Pd provinciale a ridosso dell’inaugurazione. “Il treno a idrogeno è il più grande investimento effettuato dalla Regione, ma la linea resta incredibilmente sottoutilizzata”.

Vi è inoltre un problema economico e pratico. «L’arrivo dei convogli a idrogeno al deposito di Rovato è stato accolto con incomprensibile giubilo e festa da parte delle autorità locali, ma i cittadini bresciani hanno ben poco da festeggiare» – ha afferma Paola Pollini, consigliera regionale M5s: «E’ importante che si sappia che i convogli non sono arrivati perché siano messi in servizio a breve ma sono arrivati solo per essere parcheggiati per quasi un anno e mezzo, visto che la messa in funzione è prevista per giugno 2026, come da delibera regionale, e considerando le possibili quanto certe problematiche che puntualmente si verificano su appalti di questo genere, l’attesa non può far altro che aumentare». «Oggi – evidenzia Pollini – si festeggia per tenere fermi, per almeno un anno e mezzo, dei convogli che, oltre a essere costati 180 milioni di euro per la precisione, non miglioreranno in alcun modo il servizio già oggi presente. Questo è in realtà il motivo principale per il quale l’arrivo di questi treni deve essere visto come una sciagura per il lago d’Iseo e la val Camonica e non certo un vanto perché lo sperpero di denari pubblici è ormai compiuto e difficilmente arrestabile».
«E’ ormai certificato che con l’arrivo dei treni ad idrogeno non aumenterà il numero delle corse, non migliorerà la puntualità e non aumenterà il numero di utenti trasportati. – sottolinea la consigliera pentastellata  – Nulla di tutto questo è previsto a fronte di un investimento complessivo che sfonderà i 360 milioni di euro. Chi ne gioverà? Non certo i pendolari che ogni giorno sono costretti a subire disservizi e disagi per una rete ferroviaria anteguerra. La sperimentazione del treno a idrogeno in val Camonica è solo una costosissima scommessa giocata sulla pelle dei cittadini i quali ne usciranno sempre e comunque perdenti. Eppure la soluzione alternativa ai treni diesel e all’idrogeno c’era ed è la soluzione che in gergo si chiama ad “isole di catenaria” con alimentazione mista batteria/elettrico».

Vi è poi il problema ambientale. Il Progetto H2iseO è nato con il fine di rendere la Valcamonica “la prima Hydrogen Valley d’Italia”, prevedendo non solo l’introduzione dei treni a idrogeno lungo la linea non elettrificata Brescia-Iseo-Edolo, ma anche la realizzazione di tre impianti di produzione, stoccaggio e distribuzione di idrogeno a Brescia, Iseo ed Edolo. Con l’obiettivo di contribuire alla decarbonizzazione del trasporto pubblico locale, l’iniziativa – secondo i promotori – segnerebbe un passo fondamentale verso la trasformazione energetica del territorio e lo sviluppo di una filiera industriale dell’idrogeno in Lombardia. Ma a quanto pare questa è semplicemente l’ennesima operazione di marketing della “green economy” che nulla ha di sostenibile se non a parole, inaugurando l’ennesima operazione di greenwashing.

«L’ennesima presentazione del treno ad Idrogeno da parte di Regione Lombardia, di Fnm, di Trenord e di Alstom serve per gettare nuovo fumo negli occhi all’opinione pubblica. Il tentativo è quello di far apparire la “pomposa” decarbonizzazione della Valle Camonica come un miglioramento delle condizioni dell’aria».

Lo afferma Dario Balotta referente Europa Verde Brescia. «Il 4 ottobre 2023 il treno ad Idrogeno era già stato presentato in pompa magna all’interno di Expo Ferroviaria a Milano. Da allora, in più occasioni, è stato annunciato il suo arrivo ma non ne sono mai stati descritti i vantaggi perchè il costo dell’energia prodotta dall’idrogeno è quattro volte superiore a quella dell’energia idro-elettrica. Non solo l’idrogeno prodotto non sarà “verde” ma “grigio” perchè verrà prodotto con l’inquinante combustione di metano o biometano si Snam e A2A e una minore efficienza energetica. Le preoccupazioni delle popolazione di Edolo, Iseo e Brescia, vicine ai centri di produzione dell’idrogeno, non sono ancora state fugate da nessuno, visto che il tema della sicurezza non è ancora stato normato dal Ministero dei Trasporti e dell’Interno».

«Attualmente – continua Balotta – corrono le spese e i disagi e Trenord è al collasso tecnico date le soppressioni e i continui e numerosi ritardi dei treni. La linea verrà chiusa per lavori di sistemazione delle gallerie da Marone a Edolo, per 6 mesi. FNM aveva escluso la più economica e più ragionevole elettrificazione della linea, adducendo che l’intervento avrebbe comportato lunghi lavori sulla linea. Un pretesto che si sta rivelando non vero. Anzichè elettrificare la tratta, dove l’energia idro-elettrica abbonda, si preferisce produrre l’idrogeno (grigio) con il metano di Snam e A2A. Resta anche da spiegare come mai si spendano quasi 400 milioni di euro tra treni e potenziamenti della linea per avere gli stessi tempi di percorrenza e lo stesso numero di treni giornalieri e purtroppo gli stessi ritardi se non cambia il metodo di gestione».

Rovato, presentato il primo treno ad idrogeno. In funzione nel 2026

Rovato, primo treno a idrogeno italiano: parte il progetto H2iseO

Treni ad idrogeno, Massardi (Lega): «Il futuro dei trasporti su rotaia passa dalla provincia di Brescia»

Treno a idrogeno, Del Bono: “Investimento da 400 milioni, costi 8 volte più alti”

«Treni ad idrogeno a Rovato: c’è ben poco da festeggiare»

Treni ad idrogeno, Europa Verde: «Resta un progetto insostenibile»

 

 

Redazione Sebino Franciacorta