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Comunicati Stampa

Napoli: in Via Aquila un Polo sociale per le persone senza fissa dimora

Sorgerà in alcuni locali a ridosso della stazione, che Ferrovie dello Stato ha concesso in comodato d’uso al Comune, un grande Polo sociale che offrirà servizi alle persone senza fissa dimora.

Il progetto è finanziato con fondi PNRR e contribuirà a migliorare le condizioni di vita di cittadini e soggetti fragili che vivono nel quartiere.
Offrirà servizi di accompagnamento psicologico e legale, assistenza giuridica, saranno attivati laboratori e percorsi di avviamento al lavoro.

https://multimediale.comune.napoli.it/index.php?n=10401

Fonte: Comunicato stampa del Comune di Napoli

Redazione Napoli

Costituito il Comitato No Guerra Valdarno Superiore

Si è recentemente costituito il Comitato No Guerra Valdarno Superiore, ne riproduciamo il documento fondativo.

Premessa.

Dopo la tragedia dei due conflitti mondiali nel ‘900, sembrava appurato che l’unica strada percorribile per l’umanità fosse lo stare in Pace.

Purtroppo ci sono state tante altre guerre e da tre anni conflitti devastanti si sono riaffacciati alle porte dell’Europa.

Siamo giunti al fatto che, ci viene detto, dovremo armarci perché tutti siamo minacciati, da chi non è dato sapere!

La cultura del conflitto che qua in Europa sembrava sopita ha ripreso inspiegabilmente vigore e di questo dobbiamo rendercene conto!

E’ giunto il momento di prendere posizione!

Siamo un gruppo di persone che credono fermamente nello stato di diritto dettato dalla nostra Costituzione che “ripudia la guerra”.

Lanciamo un appello a prendere coscienza e iniziare anche con piccoli gesti a imprimere una svolta comportamentale, culturale.

Ci poniamo l’intento di dare vita ad una comunità di cittadini “pacifisti”.

Obiettivi:

Siamo convinti che una cultura rispettosa degli altri e dell’ambiente (il pacifismo in senso lato) necessita di processi lunghi e di azioni costanti. Lo sdegno in occasione di un conflitto alle porte di casa può coinvolgere emotivamente molti (e già questo sarebbe un segnale!) ma non crea una cultura pacifista diffusa.

Il Comitato No alla Guerra Valdarno Superiore è certamente il frutto di una esigenza a prendere posizione su una contingenza. L’obiettivo che vogliamo raggiungere però è più ambizioso: la promozione di una cultura di Pace radicata, come eredità dei nostri Padri Costituenti e di tutti coloro che con la resistenza hanno riconquistato la libertà e l’hanno trasmessa alle generazioni future.

La cultura di Pace necessita di tempo e di persone per realizzarsi, deve impregnare il tessuto sociale, coinvolgere tutte e tutti. La cultura di Pace deve essere presente nelle scuole ed essere promossa dalle associazioni del territorio: i circoli sociali e culturali, le Case del Popolo, le parrocchie, le associazioni sportive e ricreative.

Porre la Pace come:

  1. condizione primaria per il corretto esercizio democratico.

  2. argine, strumento per la risoluzione di controversie.

  3. cultura per superare il concetto di supremazia, di arroganza, di competizione per

fare in modo che le comunità “crescano” e si evolvano in modo omogeneo, concetto già suggerito nella nostra Carta Costituzionale e purtroppo negli anni disatteso, ma che rappresenta, ancora oggi, la fondamenta su cui strutturare una società democratica, civile, non violenta.

Azioni:

Come associazione da poco costituita abbiamo necessità di farci conoscere. Che i cittadini sappiano della nostra presenza, sappiano che è viva una cultura antimilitarista, antibellicista, pacifista. Sappiano che quella sensibilità ha dato origine ad un gruppo che intende promuovere azioni di contrasto alle logiche belliciste dominanti.

Vogliamo promuovere un referendum comunale per fare di Figline e Incisa Valdarno territorio di pace libero da armi. Proporre la nascita di un comitato comunale permanente di studio sugli sviluppi delle guerre e della Pace che tenga costantemente informati i cittadini.

Vogliamo organizzare banchini nelle piazze per distribuire materiale di conoscenza.

Vogliamo prendere contatto con le associazioni presenti sul territorio per cercare di fare rete. Capire lo statu quo (cultura dominante) per poter fare il punto su eventuali mosse ed iniziare un percorso di informazione che sensibilizzi le persone sul tema.

Vogliamo avere momenti di confronto e dialogo con le associazioni per conoscere disponibilità e sensibilità e individuare insieme i tipi di iniziative da promuovere nelle scuole e sul territorio per fare crescere una comunità ad “imprinting” pacifista.

Vogliamo continuare sulla strada già intrapresa: proporre con regolarità filmati sul tema della guerra per dare una informazione libera e indipendente e che sia anche soprattutto un momento di confronto e dialogo.

Vogliamo aderire e supportare iniziative locali, nazionali, internazionali che chiedono la cessazione dei conflitti e l’invio di armamenti, che promuovono la via diplomatica per la risoluzione di controversie, la conversione delle industrie belliche.

Aderiamo alla iniziativa di “Centomila no per fermare le guerre” promossa da Disarma, mozione nazionale rivolta ai consigli comunali per il disarmo e contro l’invio di armi.

In conclusione, vogliamo individuare i giusti strumenti per coinvolgere le tante persone che sentono pressante la minaccia della guerra e si scoprono impotenti rispetto al rapido evolversi degli eventi.

Per contatti: noguerravaldarnosuperiore@gmail.com

Redazione Toscana

Comunicato stampa PRC – Sindaco di Trieste e segretario comunale di FDI contro l’accoglienza: parole e atti fuori posto

Leggiamo con indignazione le ennesime parole fuori posto del sindaco di Trieste, Dipiazza, e del segretario comunale di Fratelli d’Italia, Giacomelli. A commento-corollario di una notizia che poteva essere tragica (l’intossicazione di 8 profughi afghani nell’area di Porto vecchio, dopo aver inalato monossido di carbonio dormendo attorno a un falò per scaldarsi ma che, per fortuna, non rischiano la vita), il sindaco di Trieste non trova altro che minacciare l’ennesimo sgombero (non sa fare che questo, nella più totale incapacità politica, amministrativa e umana); mentre Giacomelli se la cava con una battutina sul centro di accoglienza di via Udine (se il vescovo “parla alle anime, noi ci rivolgiamo ai cittadini” – ed è vero, Giacomelli e il suo partito neo-trumpiano non si rivolge alle “persone” ma solo a quella sottocategoria che ne sono i “cittadini” – una piccola parte dei quali ha eletto la giunta che governa -malissimo- Trieste).

Per miseri calcoli elettoralistici Dipiazza e Giacomelli continuano a negare accoglienza a persone sofferenti. Essi non rappresentano Trieste, e Trieste non è rappresentata da questi figuri. E’ ora di mandarli via, con il voto, con una forte reazione democratica ai continui obbrobri che ci riservano. Rifondazione Comunista c’è, a fianco di lavoratrici e lavoratori (cioè di “cittadine/i”…), derubate/i del lavoro da imprenditori di pessimo livello e da una classe politica complice del furto, e a fianco delle persone migranti, con il sostegno concreto alle associazioni -laiche o religiose- che se ne occupano: è la stessa lotta.

Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

Giuristi Università di Brescia: “Una stagione preoccupante per la tenuta della democrazia costituzionale in Italia”

Come docenti di materie giuridiche in un’Università pubblica, riteniamo doveroso, sul piano etico e
professionale, evidenziare alcuni tratti dell’azione dell’attuale maggioranza governativa che consideriamo allarmanti e potenzialmente lesivi della tenuta dell’ordinamento democratico delineato dalla nostra Costituzione. Ci riferiamo in particolare a due provvedimenti in discussione alle Camere che, se approvati nell’attuale formulazione, rischiano di innescare una pericolosa involuzione autoritaria del nostro ordinamento giuridico.

Il primo testo su cui desideriamo richiamare l’attenzione è il disegno di legge costituzionale in materia di
giustizia e di separazione delle carriere dei magistrati. A prescindere dal merito della riforma – che presenta numerosi profili critici che qui non possiamo esaminare in dettaglio – l’aspetto più preoccupante è il contesto in cui questa proposta si inserisce e l’obiettivo ultimo che persegue, come dichiarato apertamente dal Ministro della Giustizia (il Guardasigilli), dalla Presidente del Consiglio, e da autorevoli esponenti dell’area di governo.

Da mesi, infatti, assistiamo ad attacchi quotidiani nei confronti di magistrati che emettono decisioni non in linea con le aspettative della maggioranza politica. L’ambito dell’immigrazione – in particolare la gestione degli arrivi via mare e i centri di detenzione aperti in Albania – è emblematico: di fronte a provvedimenti amministrativi ritenuti illegittimi, la prassi consolidata consiste nell’attacco personale ai giudici, subito etichettati come “politicizzati”, tacciati di voler ostacolare la maggioranza dal realizzare appieno il proprio “vittorioso” progetto elettorale, che viene esaltato come indiscutibile mandato popolare, secondo una visione regressiva della democrazia e della rappresentanza parlamentare. Negli ultimi giorni, l’attacco alla giurisdizione ha perfino oltrepassato i confini nazionali, arrivando a coinvolgere la Corte Penale Internazionale (CPI). Il Ministro della Giustizia, di fronte all’iniziativa di espellere dal nostro Paese il membro di una milizia (sostenuta dal governo libico) sospettato di crimini contro l’umanità, ha difeso il proprio operato accusando la Corte di presunte violazioni procedurali. Il vero problema, però, non sta nella denuncia di possibili irregolarità, bensì nel fatto che il Ministro delegittimi la Corte e la sua funzione, pretendendo di sostituire il proprio giudizio a quello dell’autorità competente. Questo atteggiamento è emerso in modo evidente anche nell’intervento ufficiale al Senato, dove il Guardasigilli ha rivendicato un potere di valutazione nel merito delle decisioni della CPI, del tutto sprovvisto di fondamento normativo.

La premessa culturale dell’indirizzo politico che si intende perseguire appare molto chiara: si vuole far
credere all’opinione pubblica che il controllo di legalità operato dalla magistratura rappresenti un improprio ostacolo alla realizzazione dei progetti promossi dalla maggioranza uscita vincitrice dalle elezioni. In questa prospettiva, i/le magistrati/e vengono accusati/e di promuovere un proprio contro-obiettivo politico tutte le volte che ritengono illegittimo un provvedimento di derivazione politico-parlamentare, anziché limitarsi alla sua applicazione pedissequa. In questo schema argomentativo, piuttosto rozzo e semplificato, spariscono del tutto i previsti poteri di garanzia affidati alla Corte costituzionale alla quale invece i/le giudici, prima di applicarle, devono sottoporre le leggi che reputino in contrasto con la Costituzione. Analogamente si ignora – clamorosamente – l’ormai acquisita prevalenza, stabilita sul terreno costituzionale, del diritto europeo e internazionale sul diritto interno, che pacificamente non può trovare applicazione in sede giurisdizionale laddove contraddica norme di rango sovranazionale.

Ecco perché appare paradossale e distorsivo evocare la separazione delle carriere dei magistrati ordinari
addirittura come salvifico correttivo dell’ordinamento, ogniqualvolta un/a magistrato/a assuma una
decisione sgradita agli esponenti di governo: così connotando di un chiaro intento punitivo la riforma
costituzionale, che viene presentata come la soluzione ad una patologica ingerenza di una parte influente
della magistratura nel campo della politica. In qualità di studiosi/e di discipline giuridiche, un tale disegno ci appare in tutta la sua chiara pretestuosità e ci sembra pericoloso poiché in grado di veicolare, camuffandola, una oramai superata visione ottocentesca e pre-costituzionale dei rapporti tra poteri dello Stato, nella quale l’attività legislativa e, in generale, la regolamentazione della societas è concepita come libera da vincoli sovraordinati, segnatamente di natura costituzionale. E invece l’elemento essenziale degli ordinamenti democratici moderni è proprio quello di garantire, attraverso norme costituzionali rigide, la separazione del controllo giurisdizionale dall’esercizio del potere politico, al fine di meglio favorire, in concreto, il rispetto dei diritti fondamentali della persona che non sono più nella disponibilità di chi, pur legittimamente, detiene lo “scettro del comando”.

Il secondo provvedimento che reputiamo incompatibile con i principi di uno Stato costituzionale di diritto è il cd. disegno di legge Sicurezza, già approvato in prima lettura al Senato. Anche in questo caso non abbiamo qui lo spazio per entrare nel merito delle singole misure proposte, che hanno come cifra identificativa l’inasprimento degli strumenti di repressione del dissenso, sino al punto di arrivare a punire con la sanzione penale forme di protesta non violenta, come i blocchi stradali, o addirittura la resistenza passiva, nei casi di proteste all’interno delle carceri o dei luoghi di detenzione per stranieri. Per quanto poi riguarda direttamente il mondo dell’Università, desta gravissima preoccupazione il disposto dell’art. 31 del d.d.l, secondo cui i servizi di informazione, a tutela della “sicurezza nazionale”, potranno chiedere informazioni sulle attività di studenti e docenti, in deroga alla normativa a tutela della privacy e della protezione dei dati sensibili.

Da un lato, quindi, con le continue aggressioni mediatiche ai magistrati che assumono decisioni non gradite e con il progetto di separazione delle carriere, che mira a disgregare l’unità della magistratura ordinaria (in realtà ci si preoccupa solo della giustizia penale), si vuole polemicamente e primariamente punire la magistratura inquirente, impedendole di esercitare un controllo di legalità a tutto campo, inclusa la verifica sulla possibile commissione di reati ministeriali da parte degli esponenti del Governo; dall’altro lato, con le norme che reprimono il dissenso, si vogliono intimorire coloro che si oppongono a tali misure, rafforzando come mai prima nella storia della Repubblica gli strumenti repressivi dei movimenti di protesta.

La Storia (anche quella meno risalente) ci insegna che è proprio a partire dal contrasto alla magistratura e alla libera espressione del dissenso che prendono avvio le svolte in senso autoritario. Come cittadini/e, ma soprattutto come giuristi/e che incrociano e formano studenti/esse universitari/e, sentiamo il dovere di segnalare all’opinione pubblica la gravità del progetto che sta iniziando a prendere consistenza e di mettere le nostre competenze tecniche a disposizione delle associazioni e dei movimenti che intendano opporsi, innanzitutto sul piano culturale, a questa dilagante regressione giuridica, restando sempre disponibili a ragionare nel merito delle proposte avanzate da qualsiasi parte politica, ma anche saldamente ancorati al costituzionalismo democratico occidentale e alle sue conquiste culturali, che è nostro dovere non rinnegare né per moda né per paura di dispiacere il contingente potere politico.

Brescia, 15.2.2025

Un gruppo di docenti di materie giuridiche dell’Università di Brescia (29 firmatari su 62)
Proff.

Antonio D’Andrea, diritto costituzionale
Luca Masera, diritto penale                                                                                                                                              Cristina Alessi, diritto del lavoro
Adriana Apostoli, diritto costituzionale
Rosanna Breda, diritto privato
Margherita Brunori, diritto agrario
Arianna Carminati, diritto costituzionale
Daniele Casanova, diritto costituzionale
Chiara Di Stasio, diritto internazionale
Matteo Frau, diritto pubblico comparato
Elisabetta Fusar Poli, storia del diritto
Mario Gorlani, diritto costituzionale
Massimiliano Granieri, diritto privato comparato
Giulio Itzcovich, filosofia del diritto
Stefano Liva, diritto romano
Nadia Maccabiani, diritto costituzionale
Francesca Malzani, diritto del lavoro
Loredana Mura, diritto internazionale
Federica Paletti, storia del diritto

Paola Parolari, filosofia del diritto
Luca Passanante, diritto processuale civile
Andrea Perin, diritto penale
Marco Podetta, diritto costituzionale
Susanna Pozzolo, filosofia del diritto
Luisa Ravagnani, criminologia
Fabio Ravelli, diritto del lavoro
Carlo Alberto Romano, criminologia
Giovanni Turelli, diritto romano
Laura Zoboli, diritto commerciale

Redazione Sebino Franciacorta

Partito Comunista Venezuelano: “Parteciperemo alle elezioni del 25 maggio a fianco della Rivoluzione Bolivariana”

La direzione nazionale del Partito Comunista Venezuelano  smentisce categoricamente che la nostra organizzazione politica non parteciperà alle prossime elezioni del 25 maggio, in cui verranno eletti i deputati dell’Assemblea nazionale, dei governatorati e dei consigli legislativi.

Condanniamo il fatto che coloro che svolgono la funzione di leader della nostra organizzazione, il cui capo visibile è Oscar Figuera, utilizzino i simboli della nostra organizzazione per dire al popolo venezuelano e al mondo “che il Partito Comunista del Venezuela non parteciperà al prossimo processo elettorale”. Questo gruppo guidato da Oscar Figuera e dai suoi complici è stato espulso per essersi allineato all’estrema destra venezuelana e per aver condiviso il discorso dell’imperialismo nordamericano -USA-, nell’obiettivo di rovesciare il governo rivoluzionario del compagno operaio Nicolás Maduro.

Oggi più che mai, i comunisti di questa Patria di Bolívar e Chavez, ribadiamo il nostro impegno con la Rivoluzione Bolivariana e Chavista e saremo uniti in un unico blocco unitario attraverso il Grande Polo Patriottico Simon Bolivar nella ricerca di una Vittoria perfetta il 25 maggio, per continuare a garantire con i legislatori rivoluzionari, la costruzione delle leggi necessarie per la trasformazione della nostra Patria, per continuare a creare le condizioni per una Società Socialista, che garantisca al nostro popolo e in particolare alla classe operaia e contadina, la maggior somma possibile di felicità.

Mettiamo in guardia il movimento rivoluzionario dell’America Latina e del mondo dal farsi ingannare da coloro che oggi camminano mano nella mano con i settori fascisti in Venezuela. La storia ha dato ragione a coloro che hanno deciso di salvare il nostro glorioso Partito Comunista.

Oggi il nostro Partito è dove è sempre dovuto essere, accanto alla Rivoluzione Bolivariana, accanto al nostro popolo chavista.

Venezuela 20 febbraio 2025

DIREZIONE NAZIONALE DEL P.C.V.
ENRICO PARRA – PRESIDENTE DEL P.C.V.

(da Dario Rosso, inviato a Caracas del Comitato Italia-Venezuela Bolivariano)

Redazione Italia

La minaccia radioattiva incombe ancora sulla testa dei Sardi

Contro il pericolo Scorie Nucleari in Sardegna
LA MINACCIA RADIOATTIVA INCOMBE ANCORA SULLA TESTA DEI SARDI

Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin tiene ancora la spada di Damocle, reattiva, sulla Sardegna. La fase di scoping, quella fase che secondo il ministro serve per imbonire gli indigeni sardi e convincerli che le ingannevoli perline date in cambio sono un compenso adeguato per permettere che la Sardegna diventi la pattumiera radioattiva dell’Italia, scadrà il 27 febbraio 2025. Era stata rinviata di ulteriori 30 giorni. La prima scadenza fissata per il 26 dicembre 2024 era stata spostata di 30 giorni e doveva scadere il 26 gennaio 2025 ma con la nuova proroga la scadenza sarà a fine febbraio.

Questa azione coloniale si aggiunge all’atto d’imperio del 2023, contenuto nell’ Art.11 – Comma 6bis – DECRETO-LEGGE 9 dicembre 2023, n. 181 «6-bis. ( Misure urgenti in materia di infrastrutture per il decommissioning e la gestione dei rifiuti radioattivi).

Alla scadenza della fase di scoping, il 27 febbraio, nella quale i comuni interessati e le regioni potevano fare osservazioni in merito alla valutazione ambientale strategica, VAS, la Sogin S.p.A. avrebbe dovuto avviare con le regioni e gli enti locali delle aree incluse nella CNAA medesima, nonché’ con il Ministero della difesa in relazione alle strutture militari, trattative bilaterali finalizzate all’insediamento del Parco tecnologico.

Tale atto era chiaramente dettato dalla volontà di imporre le scorie radioattive alla Sardegna che abbonda di servitù militari e dunque di possibili siti per il Deposito Unico delle Scorie.

Siccome nessun comune sardo, individuato come sito idoneo per il deposito dei vostri veleni, si è autocandidato o lo farà entro la scadenza, manderanno all’aria, tutte le carte della Sogin, le lunghe consultazioni, gli anni di palleggio finto scientifico e giocheranno la carta delle servitù militari pretendendo da loro l’autocandidatura ad ospitare gli escrementi radioattivi della follia nucleare tricolore?

Abbiamo capito il vostro scellerato ragionamento, caro ministro e cara Sogin, quegli escrementi vanno allontanati dalla vostra bella Italia, non intonano con la Cappella Sistina e con la cupola del Bernini, vanno portati nella discarica coloniale dello stato, lì dove avete smaltito i fumi di acciaieria, l’amianto della Riversa, li dove lasciate l’uranio impoverito delle vostre simulazioni di guerra e dove scrivete il destino di morte di coloro che ucciderete con le bombe che con il ricatto occupazionale fabbricate in Sardegna.

Sappiate che così non sarà, quelle vostre scorie in Sardegna non entreranno perché, SIAMO PRONTI A TUTTO, i sardi hanno detto no, sono andati alle urne per dirlo in modo più chiaro e forte, e non permetteranno che il loro territorio sia compromesso, per sempre, dalle scorie delle vostre scellerate scelte radioattive come non permetteranno di essere bardanati dagli speculatori dell’energia eolica e solare ai quali avete aperto le porte della nostra terra.

AJO’, BARDIANIA

Il Comitato è pronto a riproporre le NONUCLE-DIE nelle piazze, nei porti e negli aeroporti della Sardegna
chiama il popolo sardo ad una prima mobilitazione in difesa di quanto ha già deciso, del proprio territorio, del proprio destino e del futuro dei propri figli.

SIT-IN il 7 marzo 2025 alle ore 10.30

Portici sede Consiglio Regionale della Sardegna, Via Roma 25, Cagliari

Coordinamento NONUCLE-NOSCORIE – Tel. 3487815084 – 3477255895
Email nonuclenoscorie@gmail.com                                                                      Sardigna 24/02/2025

 

Redazione Sardigna

Dissenso del MIR per l’incontro di orientamento con l’esercito italiano al Liceo S. Pizzi di Capua

In relazione all’“incontro di orientamento formativo con Esercito Italiano”, cui sono  state chiamate a partecipare 14 classi quinte del Liceo Statale ‘Salvatore Pizzi’ di Capua (CE),  Ermete Ferraro, Presidente nazionale e Responsabile per Napoli del Movimento Internazionale della Riconciliazione ha inviato una nota al Dirigente Scolastico prof. Enrico Carafa, esprimendo dissenso per questo genere di attività, che rientra in una crescente iniziativa di militarizzazione della scuola italiana, contro cui il MIR, insieme a Pax Christi Italia, già dal 2020 aveva promosso la Campagna nazionale “Scuole Smilitarizzate”. e di cui continua ad occuparsi attivamente l’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’università,

“Pur riconoscendo che nella ‘convocazione’ delle quinte classi del Liceo ‘Pizzi’ il linguaggio utilizzato è insolitamente più diretto ed esplicito, affermando senza tanti giri di parole e retoriche affermazioni che si tratta di “percorsi guidati per l’arruolamento” – dichiara Ferraro  siamo sconcertati e preoccupati per l’improprio utilizzo degli istituti scolastici della Repubblica che “ripudia la guerra” per propagandare le forze armate e indirizzare i giovani ad un possibile inserimento occupazionale al loro interno”.

In uno spirito costruttivo, comunque, il M.I.R. si è dichiarato disponibile a un intervento formativo con alcune classi coinvolte in questo ‘incontro ravvicinato’ con l’Esercito, ma anche con i loro docenti, per offrire loro una prospettiva alternativa, nonviolenta e fondata sulla difesa civile.

 

MIR Italia - Movimento Internazionale della Riconciliazione

Naufragio di Cutro, dichiarazione congiunta di dieci Ong del soccorso in mare

Non possiamo dimenticare le 94 vittime del naufragio di Steccato di Cutro, né che quella strage avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 si sarebbe potuta evitare.

Quella notte non venne attivato nessun piano di ricerca e soccorso, ma il caso del caicco Summer Love fu trattato come un’operazione di polizia per la protezione delle frontiere. Un evento in linea con le politiche sull’immigrazione del governo italiano in questi due anni, tese a ostacolare l’impegno nelle attività di ricerca e soccorso in mare della flotta civile e a criminalizzare sia le persone in movimento che le Ong.

Tra prassi dell’assegnazione di porti distanti e sanzioni più stringenti introdotte dal Decreto Flussi, l’attacco alle Ong viene ulteriormente rafforzato. Intanto nel Mediterraneo dal 2014 a oggi sono scomparse oltre 31mila persone. Per loro e per tutte le persone in movimento che tenteranno la traversata in futuro, ribadiamo la necessità di una missione Sar europea insieme a un allargamento delle vie legali e sicure di accesso in Europa e chiediamo la fine degli accordi con Paesi Terzi che non rispettano i diritti umani, come Libia e Tunisia.

È quanto si legge in una nota congiunta di Alarm Phone, EMERGENCY, Medici Senza Frontiere, Mediterranea Saving Humans, Open Arms, Resq, SOS Humanity, Sea-Watch, TOM-Tutti gli Occhi sul Mediterraneo e SOS MEDITERRANEE Italia, tutte organizzazioni che si occupano di ricerca e soccorso in mare e di diritti delle persone in movimento.

 

Redazione Italia

Sardegna: nuove adesioni a Sa Manifestada contra a su colonialismu energèticu

Il prossimo 1° marzo si terrà a Quartu Sant’Elena (CA) una Manifestada contra a su colonialismu energèticu (Manifestazione contro il colonialismo energetico), che si inserisce all’interno delle mobilitazioni che da oltre due anni contrastano il piano di speculazione energetica imposto dal governo Draghi e proseguito dal governo Meloni senza consenso popolare: la costruzione di un maxi condotto elettrico affidato a Terna – il Thyrrenian Link – ai fini di collegare Sardegna e Sicilia al continente per il trasporto dell’energia prodotta sulle isole e l’occupazione di ettari ed ettari di terreni per l’installazione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici.

Ma gli speculatori e sciacalli della transizione energetica promossa dagli imperialisti UE in barba alla maggioranza della popolazione sarda, non hanno tenuto conto della resistenza popolare. Un’isola vessata da decenni dall’occupazione militare (un quarto del territorio soggetto a servitù militare) già inquinato dalle esercitazioni a fuoco dei paesi Nato, dallo smantellamento della sanità pubblica, dal degrado di intere aree industriali dismesse e abbandonate e, in particolare nel Sulcis e nella zona di Porto Torres, il pesante inquinamento ambientale dovuto alle ex miniere mai bonificate e al petrolchimico, non può più tollerare l’abuso della propria terra e lo sfruttamento dei propri lavoratori.

Le mobilitazioni che hanno infiammato la Sardegna, dall’ampio protagonismo popolare nella raccolta firme per la legge di iniziativa popolare “Pratobello24” fino ai blocchi stradali per impedire il trasporto delle pale eoliche, ai presidi di occupazione delle terre soggette a esproprio così le decine di altre iniziative popolari che hanno attraversato la Sardegna (solidarietà al popolo Palestinese, lotta contro l’occupazione militare, lotta contro lo smantellamento della sanità pubblica e del tessuto produttivo), dimostrano che una grossa fetta delle masse popolari sarde vuole un cambiamento radicale.

Cambio radicale promesso dalla stessa giunta regionale presieduta da Alessandra Todde e dalla “campo largo” M5S-PD che però, decisa a proseguire i programmi previsti dall’agenda Draghi in Sardegna, sputa letteralmente in faccia alle decine di migliaia di sardi che l’hanno votata, non accettando la vittoria politica che le oltre 210.000 firme raccolte per presentare la legge Pratobello24 hanno dimostrato: la giunta regionale “del cambiamento” o si rimette alla volontà e le indicazioni delle masse popolari oppure è lo zerbino del governo Meloni, degli speculatori che vogliono fare della Sardegna un banchetto con cui ingrassarsi, degli imperialisti Usa, dei sionisti, della Nato e della Ue. È negli interessi di questi padroni che sono imposte le grandi opere e le scorribande di speculatori e affaristi in Sardegna, nostrani o stranieri, non di quelli delle masse popolari sarde.

Allo stesso tempo, le 210.000 firme raccolte con la campagna Pratobello24 dimostra che solo le masse popolari organizzate possono fermare la fiera delle speculazioni e degli affari e che la Sardegna non ha bisogno di governanti zerbini delle autorità italiane e delle multinazionali.

La mobilitazione contro la speculazione energetica deve alzare di tono tutte le mobilitazioni in corso in Sardegna, unirle sotto la parola d’ordine di cacciare la giunta Todde dal consiglio regionale e lo stuolo di partiti e individui che per anni hanno banchettato sulle spalle dei lavoratori sardi promettendo “autonomia” dallo Stato centrale ma asservendo sempre di più la Sardegna agli interessi delle multinazionali.

La mobilitazione contro la speculazione energetica deve unire le mobilitazioni in corso in Sardegna per imporre la costituzione di una giunta regionale di tipo nuovo che approfitta della crisi di governo e dello scontro interno al Consiglio regionale, composta da quegli organismi e individui che nel corso degli ultimi anni non hanno mai piegato la testa contro le autorità dello Stato italiano e contro gli interessi degli speculatori, che nella lotta hanno dimostrato di essere coerenti e di voler difendere e affermare i diritti delle masse popolari sarde.

Serve un nuovo governo della Regione Sardegna, che fa saltare il banco del gioco sporco con cui le multinazionali della “green economy” vogliono occupare la Sardegna e che metta mano a tutti gli altri problemi che l’Isola vive: dallo smantellamento del tessuto produttivo e dallo spopolamento ad esso collegato, all’occupazione militare e all’inquinamento da poligono, fino allo smantellamento della sanità pubblica.

Ma tutto ciò vuol dire innanzitutto combattere sfiducia, disfattismo e superare lo spirito di concorrenza fra partiti e organizzazioni politiche e sindacali in favore dell’unità d’azione, della concatenazione delle mobilitazioni e del coordinamento degli organismi che le promuovono. Solo unendo le forze di tutti verso un obiettivo comune è possibile sbarrare la strada alla classe dominante e cambiare la rotta.

Si tratta di applicare il principio per cui è legittimo tutto quello che va negli interessi delle masse popolari anche se è illegale: rendere ordinaria la violazione dei divieti e delle censure con cui le autorità borghesi cercano di impedire lo sviluppo della mobilitazione (ogni divieto è efficace solo se qualcuno lo rispetta). Far decadere il principio per cui le opere speculative proseguono sotto la giustificazione degli accordi già presi (ma da chi? Per quali interessi?) o per sbrigare “gli affari correnti”: gli accordi così come sono stati firmati possono essere stracciati!

Si tratta, infine, di superare la convinzione che l’unico ruolo che le masse popolari organizzate possono assumere verso il governo è quello di rivendicare, in un contesto e in una fase in cui, invece, l’unica alternativa realistica al marasma in cui siamo immersi è che le organizzazioni operaie e popolari si occupino direttamente di politica, di governo dei territori e di governo del paese: che assumano il ruolo di nuova classe dirigente, indipendentemente dalle tornate elettorali. Il presupposto per l’autodeterminazione delle masse popolari sarde passa attraverso la mobilitazione per la sovranità nazionale e popolare, per la costituzione di un nuovo governo dell’isola che risponda del suo operato direttamente agli organismi operai e popolari.

Redazione Sardigna

Il Congo è ricco da morire

Solidarietà alla popolazione della Repubblica Democratica del Congo
Corteo a Palermo Sabato 22 febbraio con appuntamento alle ore 15.30 a piazza Crispi

15 febbraio 2024
La Repubblica Democratica del Congo è il secondo paese per estensione dell’Africa dopo l’Algeria, con una superficie di 2.345.410 kmq, circa otto volte l’Italia, con una popolazione di 91.994.000 abitanti all’incirca, secondo una stima del 2017.

La Repubblica Democratica del Congo sta attraversando una fase critica, caratterizzata da intensi conflitti armati, crisi umanitarie e instabilità politica, con l’occupazione della città di Goma e delle altre città da parte del Movimento 23 Marzo (M23), apertamente sostenuto dal Ruanda come si evidenzia da diversi rapporti delle Nazioni Unite.

In questo momento buio sorgono varie domande e perplessità, soprattutto, riguardo al mutismo elettivo dell’Occidente, particolarmente, dell’Unione Europea, la quale un anno fa, firmò un accordo con il regime di Kagame, detto “Memorandum of Understading”, volto a garantire la fornitura di minerali in grado di assicurare la doppia transizione verde e digitale, inoltre, essenziale per settori strategici come quello della difesa e l’aerospaziale.

Secondo la ONG Global Witness, il 90% del tantalio esportato dal Ruanda proviene in realtà dalla RDC. Non solo l’UE, quasi tutte le organizzazioni sia pubbliche che private sono consapevoli che, spesso, questi minerali provengono dall’estrazione illegale, dal commercio illecito, dal trasporto al di fuori dei canali ufficiali e dalla tassazione dei minerali prodotti.

Ultimamente il gruppo ribelle dell’M23, sostenuto dal Ruanda, ha intensificato le sue operazioni militari nell’est del Congo, causando oltre tremila vittime e migliaia di feriti solo nella città di Goma. Gli ospedali sono affollati e anche i campi profughi sono stati attaccati. L’incursione dei ribelli dell’M23 nel paese si è concentrata proprio su aree dense di miniere per l’estrazione di oro, coltan, stagno, tantalio e altri minerali e terre rare.

Ma i ribelli proseguono la loro offensiva verso la provincia del Sud Kivu ed attualmente hanno occupato alcuni dei suoi territori: l’aeroporto di Kavumo, il lago Kivu e la città di Bukavu, capoluogo della provincia. Ciò costituisce una totale violazione del Diritto Internazionale, dei Diritti Umani e del Diritto Internazionale umanitario.

Quello delle risorse minerarie e naturali è un punto dolente nell’attuale crisi sociopolitica della Repubblica Democratica del Congo. In effetti, non si può comprendere a pieno la storia della repubblica democratica del Congo e la situazione sociopolitica in cui si trova oggi, senza prestare attenzione all’esistenza di una grande diversità di ricche risorse minerarie e naturali che questo paese detiene.

La parte orientale del Congo – che è al centro dei conflitti armati – presenta una fascia ricca di risorse, mentre il Katanga (al sud) e il Kasai (in centro) contengono in particolare rame, diamanti, cobalto, uranio. Nel Kivu ed in Ituri si ricavano, soprattutto l’oro e il coltan, oltre al legname pregiato e al gas e petrolio che si trovano nei grandi laghi.

Da tempo, il Governo congolese e i funzionari degli organismi internazionali e delle Nazioni Unite puntano il dito contro il Ruanda, accusandolo di sostenere e supportare i ribelli dell’M23 per impadronirsi delle miniere e contrabbandare poi le materie prime. Per molti anni il Ruanda si è nascosto dietro le smentite. Nessuno osava mettere in dubbio la versione ruandese. Ma ormai una serie di rapporti degli esperti delle Nazioni Unite puntano il dito senza esitazioni contro il Ruanda.

L’amara costatazione è che la pace, nella RD del Congo, è costantemente confrontata alle minacce da parte di questi ribelli, apertamente sostenuti da Kigali, che li fornisce ogni tipo di supporto, affiancandoli, persino, con un nutrito numero di militari Ruandesi.

La sfida della pace richiede coraggio, impegno costante e una visione condivisa. Ma notiamo che nonostante il coinvolgimento diretto del Ruanda nelle atrocità commesse in Congo, l’Unione Europea continua a finanziare Kigali, rendendosi così complice di tali crimini, ovvero, della carneficina che si sta perpetrando nell’est della Repubblica Democratica del Congo.

È il tempo del coraggio; è tempo di difendere i diritti dei bambini e delle donne Congolesi; è tempo di agire a favore della giustizia e della pace. Anche i Congolesi hanno diritto ad autodeterminarsi. La Repubblica Democratica del Congo, infatti, conformemente alle norme di Diritto Internazionale, chiede il rispetto della propria sovranità e della sua integrità territoriale.

Chiediamo che tacciano le armi e che la Comunità Internazionale abbia il coraggio di emanare delle risoluzioni contro il Ruanda, il quale deliberatamente miete morte e sparge sangue in Congo.

Chiediamo, inoltre, che il Ruanda sia espulso tra gli Stati contribuenti dei peacekeepers, perché è inconcepibile che uno Stato impegnato in missioni di peacekeeping violi consapevolmente i Diritti umani, il Diritto Internazionale umanitario e il Diritto Internazionale che esso stesso è chiamato a difendere.

I promotori: CGIL Palermo, Donne di Benin City, Movimento Right 2B Sicilia, Altrico Ody, Mondo Africa, Associazione Africa Solidale Oltre il Mediterraneo, Diaspore per la Pace, Injs, Arci Palermo

Redazione Palermo