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Diritti Umani

Amnesty International: “Al confine tra Usa e Messico il diritto d’asilo è inesistente”

In una ricerca intitolata “Vite in un limbo: il devastante impatto delle politiche di Trump in materia di asilo e immigrazione”, Amnesty International ha denunciato che il diritto d’asilo al confine tra Stati Uniti d’America e Messico è inesistente, in violazione degli obblighi nazionali e internazionali degli Usa in materia di diritti umani.

La ricerca si basa su interviste alla frontiera, realizzate tra il 3 e il 9 febbraio, a persone che cercavano salvezza negli Usa. Le allarmanti conclusioni cui Amnesty International è giunta sono il frutto dei decreti esecutivi del presidente Trump e dell’aumento della militarizzazione della frontiera da parte del governo del Messico.A seguito della totale demolizione del diritto d’asilo da parte dell’amministrazione Usa al confine col Messico, le persone in cerca di salvezza non hanno praticamente alcun modo di ottenerla tramite una procedura legale. Secondo le norme statunitensi in materia d’immigrazione, le persone possono chiedere asilo indipendentemente dalla modalità di ingresso e possono presentare domanda solo una volta entrate negli Stati Uniti.

Sebbene l’uso obbligatorio dell’app Cpb One per le richieste d’asilo fosse illegale, la fine del suo impiego ha abbandonato al loro destino in Messico decine di migliaia di persone, tra le quali minorenni non accompagnati, senza un luogo dove andare e senza un modo per cercare salvezza.

In assenza degli appuntamenti fissati tramite Cpb One, le persone restano intrappolate in situazioni precarie e pericolose sul lato meridionale della frontiera, che è particolarmente rischioso per le persone messicane richiedenti asilo. Decine di persone hanno descritto ad Amnesty International l’impatto delle nuove politiche.

L’amministrazione Trump ha ordinato azioni mirate dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia federale responsabile della sicurezza delle frontiere), ha smantellato il Programma di ammissione delle persone rifugiate, ha abolito diritti costituzionali come la cittadinanza alla nascita e ha dato seguito ad azioni già annunciate che affondano le loro radici nel razzismo e nel suprematismo bianco.“L’amministrazione Trump ha fatto della frontiera tra Usa e Messico un luogo apertamente ostile ai diritti umani e ha mostrato un profondo disprezzo per l’umanità e la dignità delle persone in cammino. Il diritto di chiedere asilo semplicemente non esiste più e persone vulnerabili sono abbandonate a loro stesse mentre le associazioni che si prendono cura di loro ora rischiano rappresaglie e criminalizzazione e stanno cercando disperatamente d’impedire un disastro umanitario di dimensioni ancora maggiori”, ha dichiarato Amy Fischer, direttrice del programma Diritti delle persone migranti e rifugiate di Amnesty International Usa.

La ricerca di Amnesty International è stata pubblicata proprio mentre l’amministrazione Trump ha privato di fondi le organizzazioni umanitarie che svolgono un lavoro cruciale alla frontiera e che beneficiavano di aiuti provenienti da Usaid e da altri programmi governativi.Lungo la frontiera, le organizzazioni che offrono rifugi, orientamento legale e assistenza umanitaria ora sono in crisi, dato che molte di loro non hanno più mezzi economici per continuare a operare.

“I rifugi lungo la frontiera sono obbligati a lasciare fuori le bambine e i bambini. Molti di loro a malapena si rendono conto di cosa stia accadendo e quelli che lo capiscono si trovano di fronte a una decisione impossibile da prendere: o tornare nel luogo da dove sono fuggiti sapendo che potranno non sopravvivere o mettere le loro vite nelle mani dei trafficanti”, ha commentato Mary Kapron, ricercatrice di Amnesty International.

Il governo del Messico ha inasprito la militarizzazione alla frontiera, inviando altri 10.000 soldati e alimentando un clima di paura tra le persone in cerca di salvezza che ha causato arresti di massa ed espulsioni.“Il fatto che ora sia impossibile chiedere asilo alla frontiera mette in pericolo soprattutto le persone messicane in cerca di salvezza. A differenza delle persone di altre nazionalità, loro fuggono dalla persecuzione che subiscono nel proprio paese e ora non hanno alcun modo di chiedere protezione internazionale agli Usa”, ha sottolineato Mónica Oehler Toca, ricercatrice di Amnesty International.

Amnesty International continua a sollecitare gli Usa a trovare urgentemente soluzioni rispettose dei loro obblighi internazionali e di smetterla di fare politica e seminare paura sulla pelle delle persone attraverso politiche in materia di asilo e immigrazione sempre più dure che violano i diritti umani di chi cerca salvezza, alimentano la violenza contro le persone afrodiscendenti, latine e native ed esacerbano il malfunzionamento di un sistema migratorio già in difficoltà.

L’organizzazione per i diritti umani chiede al governo messicano di non collaborare più alle dannose politiche statunitensi in materia di immigrazione e di attuare immediatamente misure che assicurino la salvezza e la sicurezza delle persone richiedenti asilo che transitano lungo il Messico.

Amnesty International continuerà a documentare le violazioni dei diritti umani, a chiedere diritti per tutte le persone migranti e in cerca di salvezza negli Usa e a pretendere che le autorità di governo degli Usa e del Messico rispondano del loro operato.

Amnesty International

Egitto, giustizia per l’attivista Alaa Abd El Fattah

Da quando c’è Al-Sisi al potere, finire in carcere in Egitto è fin troppo semplice se non si segue la linea dettata dalle autorità. Così, come è successo anche a Patrick Zaki, in prigione è finito Alaa Abd El Fattah, blogger e attivista egiziano-britannico, tra i punti di riferimento delle proteste di piazza Tahrir del 2011.

Negli ultimi 10 anni, Alaa ha fatto dentro e fuori dal carcere per via del suo impegno politico. Nel 2019 è stato nuovamente arrestato, lasciato per due anni in detenzione preventiva e nel 2021 condannato a cinque anni di carcere con l’assurda accusa di terrorismo e diffusione di notizie false. Per protestare contro questa ingiusta detenzione, nel 2022 Alaa ha messo in atto uno sciopero della fame, ma ha dovuto interromperlo quando, a causa del grave stato di deperimento, ha perso i sensi sotto la doccia.

In carcere ha continuato a scrivere e, tramite una rete di editor e giornalisti, i suoi messaggi sono stati raccolti in un libro uscito anche in Italia col titolo “Non siete stati ancora sconfitti”. Per la qualità e i contenuti dei suoi testi è chiamato “il Gramsci d’Egitto”.

Avrebbe dovuto essere rimesso in libertà lo scorso settembre, ma le autorità egiziane non hanno tenuto conto dei due anni passati in detenzione preventiva. Così Alaa si trova ancora in carcere, oltre il tempo dovuto e  senza una colpa.

Da cinque mesi sua mamma Leila è in sciopero della fame per chiedere che suo figlio venga scarcerato il prima possibile e riceva tutte le cure di cui ha bisogno.

 

Unisciti al coro di voci che chiede la libertà per Alaa:

https://www.amnesty.it/appelli/egitto-attivisti-condannati-dal-tribunale-di-emergenza/?utm_source=DEM&utm_medium=Email&utm_campaign=DEM11035

Amnesty International

UNICEF/UCRAINA: un bambino su cinque ha perso un familiare o un amico dall’escalation della guerra tre anni fa.

  •  Il numero di vittime tra i bambini nel 2024 è aumentato di oltre il 50% rispetto al 2023.
  • Più di 2.520 bambini sono stati uccisi o feriti dal febbraio 2022.
  • Più di 1.600 strutture scolastiche e quasi 790 strutture sanitarie sono state danneggiate o distrutte negli ultimi tre anni.
  • I bambini di tre anni in Ucraina hanno conosciuto solo la guerra.
  • Quasi un terzo degli adolescenti ha dichiarato di sentirsi così triste o senza speranza da smettere di svolgere le proprie attività abituali.
  • Quasi il 40% dei bambini studia solo online o attraverso un mix di lezioni in presenza e onlineValutata una perdita media nell’apprendimento di due anni in lettura e di un anno in matematica.
  • La metà dei bambini in età scolare che si trovano nei Paesi che ospitano i rifugiati non è iscritta ai sistemi educativi nazionali.

21 febbraio 2025 – Secondo i dati di un sondaggio pubblicato oggi dall’UNICEF, un bambino su cinque in Ucraina ha perso un familiare stretto o un amico  dall’escalation della guerra di tre anni fa.“Per troppo tempo, morte e distruzione sono rimaste una costante nella vita dei bambini in Ucraina”, ha dichiarato Catherine Russell, Direttrice generale dell’UNICEF. “Questo livello di violenza causa immensa paura e sofferenza e sconvolge ogni aspetto della vita di un bambino”.Il terzo anno di guerra totale in Ucraina è stato ancora più letale per i bambini rispetto all’anno precedente.Il numero di vittime tra i bambini nel 2024 è aumentato di oltre il 50% rispetto al 2023. Più di 2.520 bambini sono stati uccisi o feriti dal febbraio 2022. Il numero reale è probabilmente molto più alto, poiché queste cifre tengono conto solo delle vittime tra i bambini verificate dalle Nazioni Unite. Più di 1.600 strutture scolastiche e quasi 790 strutture sanitarie sono state danneggiate o distrutte negli ultimi tre anni.
La guerra ha lasciato i bambini e gli adolescenti di fronte a profonde perdite e privazioni, che hanno influenzato il loro sviluppo e il loro benessere, in fasi critiche della loro vita.
Le esperienze vissute nei primi tre anni di vita influenzano la salute e l’apprendimento dei bambini per tutta la vita. Tuttavia, i bambini di tre anni in Ucraina hanno conosciuto solo la guerra.I genitori riferiscono di sentirsi fisicamente ed emotivamente esausti, con conseguenze sulla vita familiare. Anche i servizi essenziali su cui i bambini e i loro genitori fanno affidamento sono stati interrotti dalla guerra.
Anche l’adolescenza è un periodo particolarmente difficile per i bambini in Ucraina. Quasi un terzo degli adolescenti ha dichiarato di sentirsi così triste o senza speranza da smettere di svolgere le proprie attività abituali. Questi sentimenti sono più comuni tra le ragazze.
Le sfide per la salute mentale dei bambini e dei giovani in Ucraina stanno peggiorando a causa dell’isolamento. Molti bambini passano ore e ore rifugiati in cantine, perdendo così l’opportunità di socializzare e imparare. Quasi il 40% dei bambini studia solo online o attraverso un mix di lezioni  in presenza e a distanza. L’impatto sull’apprendimento è stato profondo, con una perdita media di due anni in lettura e di un anno in matematica.
L’UNICEF collabora con i suoi partner in tutta l’Ucraina per fornire ai bambini lungo le zone di frontiera un sostegno fondamentale che comprende l’accesso all’assistenza sanitaria, all’acqua potabile, all’assistenza in denaro, all’istruzione e ai servizi di protezione dell’infanzia. Insieme, ripariamo e riabilitiamo le reti idriche e igienico-sanitarie e garantiamo alle famiglie con bambini l’accesso al carburante e ai vestiti per tenerli al caldo durante i rigidi inverni.
Allo stesso tempo, l’UNICEF collabora con il Governo e i partner per sostenere la ripresa e lo sviluppo a lungo termine e promuovere la coesione sociale, rafforzando i sistemi al servizio dei bambini e delle loro famiglie. Ciò significa garantire che i sistemi di protezione sociale e dell’infanzia, la sanità e l’istruzione siano in grado di fornire assistenza, cure e opportunità tempestive e di qualità ai bambini.
Attualmente sono 6,86 milioni i rifugiati ucraini registrati nel mondo, di cui quasi un milione vive in Polonia.Per i bambini rifugiati, l’accesso alla scuola rimane una sfida:la metà dei bambini in età scolare nei Paesi che ospitano i rifugiati non è iscritta ai sistemi educativi nazionali, il che influisce sulla loro possibilità di imparare e interagire con i loro coetanei, nonché di sviluppare competenze essenziali che saranno fondamentali per la ripresa dell’Ucraina. L’UNICEF continua a collaborare con i Governi, le municipalità e i partner locali per rafforzare i sistemi che forniscono ai bambini rifugiati un’istruzione di qualità, assistenza sanitaria e servizi di protezione.
“I bambini devono essere sempre protetti dalle conseguenze della guerra, in conformità con il diritto internazionale umanitario e dei diritti umani”, ha dichiarato Russell. “Più di ogni altra cosa, i bambini in Ucraina hanno bisogno di una pace duratura e della possibilità di realizzare il loro pieno potenziale”.
VIDEO: 3 anni di guerra totale in UcrainaFOTO E VIDEO: https://weshare.unicef.org/Package/2AM408MSXRY0
Sull’emergenza in Ucraina è possibile intervistare il Portavoce dell’UNICEF Italia Andrea Iacomini, che ha recentemente effettuato una missione nel paese; contatti: 348/2375452.

UNICEF

UNICEF/UCRAINA: devastante impatto della guerra sui bambini ucraini

• A tre anni dall’inizio della guerra su larga scala, più di 2.520 bambini sono stati uccisi o feriti.
• Nessun luogo è sicuro. Scuole, reparti di maternità e ospedali pediatrici sono stati tutti colpiti da attacchi.
• Drammatici i risultati del sondaggio condotto dall’UNICEF su oltre 23.000 bambini.

Dichiarazione di Toby Fricker, Responsabile Advocacy e Comunicazione UNICEF Ucraina.

21 febbraio 2025 – “Un bambino su cinque in Ucraina ha dichiarato di aver perso un parente o un amico stretto dall’escalation della guerra di tre anni fa. Un bambino su tre ha riferito di sentirsi così disperato e triste da non poter svolgere le proprie attività abituali. Queste sono le risposte di oltre 23.000 bambini che hanno preso parte a un sondaggio condotto dall’UNICEF e pubblicato oggi, e ricordano senza mezzi termini la perdita e il dolore che pervadono l’infanzia in Ucraina.

A tre anni dall’inizio della guerra su larga scala, più di 2.520 bambini sono stati uccisi o feriti, secondo i dati verificati dalle Nazioni Unite – il numero reale è probabilmente molto più alto. La situazione sta peggiorando. Nel 2024 c’è stato un aumento del 50% delle vittime tra i bambini rispetto al 2023.
Nessun luogo è sicuro. Scuole, reparti di maternità e ospedali pediatrici sono stati tutti colpiti da attacchi. Complessivamente, secondo i dati verificati dalle Nazioni Unite, sono state danneggiate o distrutte circa 780 strutture sanitarie e più di 1.600 scuole.

A Odessa, questa settimana, una clinica che fornisce assistenza a 40.000 bambini e un asilo che serve 250 bambini sono stati gravemente danneggiati in un attacco.

Quando un ospedale pediatrico viene colpito, una scuola bombardata o una rete elettrica distrutta, i bambini soffrono anche quando sopravvivono. Il loro benessere e il loro sviluppo ne risentono ancora una volta. Le scuole sono luoghi di apprendimento per i bambini e sono un’ancora di salvezza che fornisce un senso di sicurezza, normalità e speranza per il futuro. Eppure, quasi il 40% dei bambini in Ucraina studia solo online o attraverso un misto di lezioni in presenza e a distanza.

L’impatto sull’istruzione è stato immenso: Le valutazioni registrano una perdita media di apprendimento di due anni in alcune materie.

L’UNICEF ha sostenuto la riabilitazione dei rifugi per renderli il più sicuri possibile. Abbiamo formato gli insegnanti e istituito classi di recupero per aiutare i bambini a recuperare le perdite di apprendimento il più rapidamente possibile.

L’impatto sullo sviluppo e sulla salute mentale dei bambini è altrettanto preoccupante. Non dimentichiamo che i bambini e i giovani di tutto l’Est (del paese) hanno vissuto quasi 11 anni di guerra.
E ci sono ancora 3,7 milioni di sfollati interni e più di 6,8 milioni di persone che vivono fuori dal Paese. Nei Paesi ospitanti vicini, la metà dei bambini ucraini in età scolare non è iscritta ai sistemi scolastici nazionali.

Mentre i bambini e i giovani di tutte le età sono a rischio, quelli nati quando è iniziata l’escalation della guerra hanno ormai compiuto tre anni. Hanno trascorso i loro primi anni – quando il cervello si sviluppa più rapidamente e si gettano le basi per la vita – in mezzo a stress e perdite estreme. Questo li espone a un rischio maggiore di disturbi psicologici e a una salute fisica più cagionevole per la vita.

Le conseguenze possono essere anche intergenerazionali. Ecco perché un intervento tempestivo è così fondamentale. Come ad esempio, le squadre mobili sostenute dall’UNICEF che includono operatori che rispondono immediatamente dopo gli attacchi, e le visite a domicilio da parte di infermieri in prima linea e in altre aree del Paese, che forniscono assistenza sanitaria e olistica di vitale importanza, compresa l’identificazione delle sfide dello sviluppo e indicazioni per i genitori.

Stiamo collaborando con loro non solo per la nostra risposta umanitaria, ma anche per gli sforzi di sviluppo.

Sappiamo che quando si investe nella salute e nello sviluppo della prima infanzia, il ritorno dell’investimento a lungo termine è di 9 a 1. Migliorare l’accesso e la qualità dei servizi per la prima infanzia è un’ottima cosa. Migliorare l’accesso e la qualità di questi servizi contribuirà a creare un ambiente in cui le persone vorranno tornare.

Abbiamo visto come, nonostante le sfide estreme, i bambini, i giovani e le famiglie dell’Ucraina, così come gli straordinari operatori sociali, gli insegnanti e i tecnici dell’acqua, abbiano dimostrato un’incredibile determinazione. Stiamo lavorando insieme a loro non solo per la nostra risposta umanitaria, ma anche attraverso gli sforzi di sviluppo.

Il programma di formazione ‘Better Care’ – per garantire che ogni bambino cresca in una famiglia e non in un istituto – non si sta realizzando solo nell’Ucraina occidentale, ma anche qui, nelle zone di prima linea.

Investire nei bambini e nei giovani in Ucraina non è negoziabile, non solo perché è la cosa giusta da fare per la loro protezione e il loro benessere, ma anche per il futuro dell’Ucraina. Ciò che serve, in ultima analisi, è una pace reale e duratura in cui ogni bambino possa realizzare i propri diritti.

FOTO E VIDEO: https://weshare.unicef.org/Package/2AM4080FDL1J

UNICEF

Petizione Novara-Pellai: “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”.

Il pedagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai, il 10 settembre 2024, hanno lanciato nei sulla piattaforma Change.org una raccolta firme molto importante dal titolo “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”. La motivazione, secondo i promotori, è che la popolazione si sta avviando sempre più verso un uso precoce se non precocissimo all’uso dello smartphone e dei social. “Essere sempre connessi – secondo i promotori – danneggia il sonno, i rapporti sociali, l’attenzione, e può dare dipendenza”. Come ha dichiarato Pellai (che sull’argomento ha scritto più di un libro, l’ultimo è “Allenare alla vita”) in un’intervista a La Repubblica :«Non possiamo più rimanere in silenzio. Nessuno ha niente contro la tecnologia, il tema è l’autogestione del minore. I dati ci dicono che non ha l’abilità per difendersi dalla tecnologia, torniamo ai vecchi cellulari usati solo per comunicare» – aggiungendo «Tra gli 11 e i 14 anni, il funzionamento della parte emotiva del cervello di un adolescente è potentissimo. Si vede bene nel film Inside out 2: si schiaccia il bottone della pubertà e il cervello emotivo diventa esplosivo. È affamato di divertimento, di eccitazione, di dopamina. Tra i dieci e i 14 anni si ha la massima vulnerabilità nei confronti dell’ingaggio dopaminergico, che è tanto presente nell’online. Il cervello cognitivo matura più tardi». Sui social «Non vengono proposti soltanto documentari, ma una serie di esperienze. E da un’architettura che non parla al cervello che pensa, ma a quello che sente» – incalcava Pellai – «A partire dal 2012, gli indicatori di salute mentale in età evolutiva sono sempre andati peggiorando proprio quando i cellulari sono diventati smartphone. Prima avevamo uno strumento di comunicazione», mentre ora abbiamo avuto in mano strumenti di connessione che ci tengono attivi tutto il giorno. Nella vita online vengono fortemente sviluppati quattro aspetti: la deprivazione di sonno, la deprivazione sociale, la frammentazione dell’attenzione, la stimolazione a fare sempre più cose nella vita virtuale senza riuscire a smettere. Questo è un male nell’età evolutiva perché il cervello per svilupparsi e strutturarsi ha bisogno di stare di più nella vita reale.
Nella petizione si chiede di proibire i social media prima dei 16 anni poiché, prima di questa età, sviluppa un’ansia performativa, una riduzione dell’autostima e un senso di inadeguatezza rispetto alla propria immagine. Affermava Pellai: «Non possiamo più non dire che i social media non rappresentano un fattore di rischio per la salute degli adolescenti. Non è un’opinione». Per questi motivi, vista la poca risonanza mediatica che continua ad avere questa petizione, ci sembra giusto rilanciarla affinchè raggiunga più adesioni possibile. Riportiamo qui di seguito il testo:

Se è vero che spesso le tecnologie migliorano la qualità della vita, questo non accade quando si parla di educazione nella prima infanzia e nella scuola primaria. I bambini e le bambine che utilizzano strumenti tecnologici e interagiscono con gli schermi subiscono due danni:
– Uno diretto, legato alla dipendenza.
– Uno indiretto, perché l’interazione con gli schermi impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita.
È ormai chiaro che prima dei 14 anni avere uno smartphone personale possa essere molto dannoso così come aprire, prima dei 16 anni, un proprio profilo personale sui social media.
La nostra non è una presa di posizione anti-tecnologica ma l’accoglimento di ciò che le neuroscienze hanno ormai dimostrato: ci sono aree del cervello, fondamentali per l’apprendimento cognitivo, che non si sviluppano pienamente se il minore porta nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe invece vivere nel mondo reale.
Simili comportamenti in età prescolare portano ad alterazioni della materia bianca in quelle aree cerebrali fondamentali per sostenere l’apprendimento della letto-scrittura.
I fatti lo dimostrano: nelle scuole dove lo smartphone non è ammesso, gli studenti socializzano e apprendono meglio. Prima dei 14-15 anni, il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile all’ingaggio dopaminergico dei social media e dei videogiochi.
Anche nelle scuole bisogna essere coerenti con quello che ci dicono le neuroscienze. Smartphone e tablet devono essere usati solo dai docenti per arricchire le proposte didattiche senza prevedere, in classe o a casa e almeno fino ai 15 anni, alcun uso autonomo degli studenti.

APPELLO
Chiediamo quindi al Governo italiano di impegnarsi per far sì che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16. Aiutiamo le nuove generazioni.

Possibilità di sottoscrivere il testo al seguente link: https://www.change.org/p/stop-smartphone-e-social-sotto-i-14-e-16-anni-ogni-tecnologia-ha-il-suo-giusto-tempo

Primi Firmatari
Daniele Novara, pedagogista e counselor – direttore del CPPP
Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta
Manuela Andretta, magistrato Corte d’Appello di Milano
Laura Beltrami, pedagogista, formatrice e counselor
Lorella Boccalini, pedagogista, formatrice e counselor
Anna Boeri, formatrice, counselor, psicodrammatista
Silvia Bonino, psicologa e psicoterapeuta
Francesco Cappa, pedagogista, università Bicocca-Milano
Lorenza Comi, pedagogista, formatrice e counselor
Emanuela Cusimano, pedagogista e counselor
Cristina Dell’Acqua Grecista, grecista e insegnante
Teresa De Pascale, magistrato della Corte d’appello di Milano
Idor De Simone, medico optometrista
Roberto Farnè, pedagogista, università Bologna
Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva , università La Sapienza, Roma
Brunella Fiore, Università Bicocca-Milano
Michele Gagliano, educatore e formatore
Secondo Giacobbi, psicoanalista
Antonella Gorrino, pedagogista e formatrice
Giovanni Grandi, filosofia morale, università di Trieste
Luca Grion, filosofia morale, università di Udine
Ivano Giuseppe Gamelli, pedagogista, università Bicocca-Milano
Natalia Imarisio, magistrato della Corte d’Appello di Milano
Simone Lanza, insegnante
Fabrizio Lertora, esperto di processi organizzativi e collaborativi
Ivo Lizzola, pedagogista, università Bicocca-Milano
Federica Lucchesini, direttrice rivista “Gli Asini”
Massimo Lussignoli, pedagogista, formatore e counselor
Luigi Luzi, magistrato della Procura della Repubblica di Milano
Raffaele Mantegazza, pedagogista università Bicocca-Milano
Luca Milani, magistrato del Tribunale di Milano
Monica Minciu, università di Torino
Diego Miscioscia, psicologo e psicoterapeuta
Pietro Moscianese, magistrato della Procura della Repubblica per i minori di Milano
Paola Nicolini, psicologa dello sviluppo e dell’educazione, università di Macerata
Alberto Oliverio, neurobiologo, università La Sapienza, Roma
Paolo Orio, Associazione italiana elettrosensibili
Vanja Paltrinieri, pedagogista, formatrice e counselor
Francesca Parola, magistrato della Procura della Repubblica di Busto Arsizio
Elena Passerini, formatrice e psicogrammista
Eva Pattis, analista junghiana
Elisabetta Romoli, insegnante
Maria Teresa Pepe, pedagogista, formatrice e counselor
Laura Petrini, formatrice e consulente educativa
Filippo Sani, formatore, sociologo, pedagogista e counselor
Donatella Savio, pedagogista
Barbara Tamborini, psicopedagogista
Bruno Tognolini, scrittore
Sergio Tramma, pedagogista, università Bicocca-Milano
Silvia Vegetti Finzi, psicologa e scrittrice, università di Pavia
Marta Versiglia, pedagogista
Michele Zappella, neuropsichiatra infantile
Luigi Zoja, psicoanalista

UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Stefano Accorsi, attore *
Silvia Avallone, scrittrice e poetessa
Marco Bonini, attore *
Valeria Bruni Tedeschi, attrice e regista *
Francesca De Martino, attrice *
Paolo Calabresi, attore e conduttore *
Maria Pia Calzone, attrice *
Paola Cortellesi, attrice e regista *
Pierfrancesco Favino, attore *
Anna Foglietta, attrice *
Claudia Gerini, attrice *
Valeria Golino, attrice e regista *
Edoardo Leo, attore e regista *
Valentina Lodovini, attrice *
Giorgio Marchesi, attore *
Vinicio Marchioni, attore *
Paola Minaccioni, attrice e conduttrice radiofonica *
Carlotta Natoli, attrice *
Claudia Pandolfi, attrice *
Vittoria Puccini, attrice *
Luisa Ranieri, attrice e conduttrice televisiva *
Alba Rohrwacher, attrice *
Francesco Bolo Rossini, attore e regista *
Fabrizia Sacchi, attrice *
Vanessa Scalerà, attrice *
Greta Scarano, attrice *
Stefano Scherini, attore *
Francesco Scianna, attore *
Pietro Sermonti, attore *
Tiberio Timperi, giornalista e conduttore
Thomas Trabacchi, attore *
Luca Zingaretti, attore *

(*) Fanno parte di UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Presentazione dell’appello dei pedagogisti – smartphone fuori legge prima dei 14 anni https://www.youtube.com/live/P2n6bTcR6mA
Presentazione in Senato della petizione “Stop smartphone e social sotto i 16 e 14 anni” https://www.youtube.com/watch?v=K59SYPgS5Fg

Ulteriori approfondimenti
https://www.orizzontescuola.it/stop-ai-cellulari-in-classe-mercoledi-al-senato-la-presentazione-della-petizione-con-novara-e-pellai/
https://www.agensir.it/italia/2024/09/13/no-smartphone-agli-under-14-alberto-pellai-puo-diventare-una-trappola-che-crea-dipendenza/

 

Redazione Italia

Contro il Pelecidio, Luca Sciacchitano: “Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio”

Benvenuti alla quarta parte della rubrica “Contro il Pelecidio” che consiste nella pubblicazione, una volta a settimana, di una mini-intervista allo scrittore Luca Sciacchitano sui temi del suo ultimo interessantissimo saggio intitolato “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”  – edito da Multimage La casa editrice dei diritti umani – che senza filtri, con cognizione di causa ed una certa parresia, mette sotto accusa quello che è il colonialismo israeliano, il sionismo, l’occupazione belligerante di Israele in terre palestinese, i crimini di guerra, il terrificante sistema d’apartheid razzista e il “genocidio incrementale” messo in atto da ormai più di 70 anni, svelando apertamente le strategie colpevolizzanti della hasbara israeliana e della strumentalizzazione sionista della Shoah.

Cosa è la Palestina oggi? Da cosa viene soffocata e come sopravvive?

La domanda può essere approcciata da diverse angolazioni.
Da un lato potremmo dire che la Palestina, o meglio, tutto il quadro degli eventi a cui stiamo assistendo oggi in Palestina, rappresenta il tragico paradigma della contemporaneità: l’avidità senza freno dei potenti da un lato, la nostra assuefazione all’ingiustizia, dall’altro.
Ogni giorno tutti noi siamo vittime di piccole e grandi arroganze da parte dei poteri. Talmente abituati a essere bombardati dalle prevaricazioni che spesso neanche più ci ribelliamo, accettando ogni volta la nuova asticella, il nuovo limite, la nuova legge, la nuova tassa, il nuovo divieto come parte integrante dell’essere ingranaggi di una società incentrata sul potere di pochi.

L’altra faccia della medaglia però è che, non ribellandoci, noi accettiamo (centimetro dopo centimetro) che i governi, le multinazionali, le lobby ci tolgano ancora maggiori fette di libertà, diritti, indipendenza, stritolandoci sempre più tra le spire della loro pantagruelica avidità. Le democrazie sono in crisi, le ideologie sono scomparse, il lavoro ha perso la sua componente nobilitativa. Tutta la società contemporanea risulta oggi impostata in funzione delle necessità dei potenti: farci produrre, farci consumare, arricchirsi sulle nostre fatiche.

Diventa dunque imperativo iniziare a domandarci quale limite noi, il popolo, siamo disposti a sopportare prima di ribellarci. All’interno di questo quesito rivoluzionario, si innesta ciò che vediamo succedere in Palestina: siamo noi disposti ad accettare che il potere arrivi perfino a genocidare un intero popolo per 365 miseri chilometri quadrati di terra?

Dunque, una prima risposta alla tua domanda potrebbe essere che la Palestina è un simbolo: il paradigma della ferocia di un potere avido, inumano e violento che pensa di possedere tutto, finanche le anime delle persone. Ma è anche una sollecitazione alla nostra capacità di fissarci dei limiti oltre i quali la nostra umanità deve gridare “BASTA”.

Un’altra prospettiva su cui riflettere, nel rispondere alla tua domanda, è quella di inquadrare la Palestina come una creatura in via di estinzione. E come tutto ciò che rischia di evaporare nell’oblio, provare a tutelarla. Mi spiego meglio: la voracità dello Stato di Israele da decenni ingloba porzioni sempre più vaste di territorio. Colonia dopo colonia, l’estensione di ciò che oggi si può chiamare “Palestina” sulla mappa geografica si è tragicamente assottigliata.

La cosa risulta ancora più inquietante se si pensa che una manciata di decadi fa, il giorno prima del 14 maggio 1948, quando Ben Gurion autoproclamò la nascita dello stato di Israele, tutta la regione geografica compresa tra il Mediterraneo e il fiume Giordano era marcata nelle mappe geografiche come “Palestina”; non un nome coniato dai nemici del sionismo, ma risalente addirittura al XII secolo a. C. su volontà degli antichi egiziani (da Peleset, il nome dato ai Filistei), oppure quel Palaistine (Παλαιστινοί) utilizzato nel V secolo a.C. da Erodoto o, ancora, “Syria Palestina” secondo Adriano (135 d.C.).

E fa impressione, in questo grottesco teatro dell’assurdo in cui il sionismo pelecida fa a gara a spararla sempre più grossa, leggere frasi negazioniste come: “«Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un ‘popolo palestinese’ […] è una finzione» elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista” (B. Smotrich)

In questa sorta di “terrapiattismo” in chiave geopolitica, i sostenitori di questa sgangherata tesi ignorano perfino i contenuti dei documenti redatti dai sionisti per gli stessi sionisti.
La Dichiarazione Balfour, ad esempio, ovvero la lettera che l’omonimo ministro inviò a Lord Rothschild nel 1917 per auspicare “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
O, ancora lo stesso Theodor Herzl, padre fondatore del sionismo, che nel suo “A Jewish State” chiedeva espressamente al suo lettore “shall we choose Palestine or Argentine?”.

Di quel vasto territorio chiamato Palestina, ed evocato come terra promessa perfino dai sionisti nel secolo scorso, cosa rimane oggi? A ovest, una striscia di terra ormai ridotta a fossa comune difficilmente abitabile. A est, una Cisgiordania ormai maculata dalla colonizzazione illegale, squassata dalla violenza, simile a una carcassa su cui si avventa ogni avvoltoio con doppio passaporto e la voglia di rubarsi un pezzo di terra a condizioni fiscali agevolate. Dunque, sì: una Palestina a rischio di estinzione.
Vengono quasi in mente gli antichi romani quando, negli spazi bianchi delle mappe, scrivevano “hic sunt leones”. I pelecidi di oggi ci scriveranno “hic non sunt amplius Palæstini”.

Sulla tua seconda domanda, ovvero da cosa viene soffocata la Palestina, la risposta sarebbe articolata ma la condenserei sul simbolo per eccellenza dell’oppressione: le mura perimetrali realizzate da Israele a partire dagli anni 2000 attorno alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania.
A mio avviso, quelle recinzioni sono le fondamenta pragmatiche sopra cui è edificata tutta l’ideologia sionista dell’apartheid.

Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ne fornì un giudizio inequivocabile: “l’edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l’interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale”. Ma Israele aveva una strategia e, nonostante la sollecitazione della Corte a smantellarlo, lo mantenne in piedi.

Per capire il principio soggiacente quella strategia vanno qui riportate le parole di Michael Fakhri, relatore speciale del Consiglio per i diritti umani (ONU) quando a ottobre 2024 spiegava il report sulla denutrizione a Gaza, puntando l’indice accusatore proprio sul muro: “affamarli (i palestinesi n.d.r.) è il risultato di scelte compiute da decadi. […] bisogna andare indietro al 2000, quando Israele ha iniziato il suo blocco contro Gaza. […] Come un rubinetto che (Israele n.d.r.) può aprire o chiudere […] Contando le calorie e misurando cosa era permesso far entrare a Gaza ed essere sicuri che ciascuno rimanesse affamato, ma non così tanto da sollevare campanelli di allarme nel mondo. Così, il 6 di ottobre (il giorno prima degli attentati n.d.r.) metà della popolazione di Gaza presentava criticità alimentari e l’80% dipendeva dagli aiuti umanitari”.

Tutto quindi passa attraverso il muro: ciò che entra e ciò che esce; cose e persone.
Ad esempio, le imposte e i dazi doganali sui prodotti che varcano le mura e su cui solo Israele si arroga il diritto di commercio. Questi soldi servono, tra le altre cose, a pagare gli stipendi degli impiegati pubblici che, secondo i dati 2018 del Palestinian Central Bureau of Statistics, rappresentano un terzo dei lavoratori palestinesi. A cadenza periodica Israele decide di trattenerli: migliaia di famiglie palestinesi rimangono senza stipendio.

Oppure gli assalti ai pescherecci palestinesi per limitarne il territorio di pesca del 40% rispetto agli accordi di Oslo (fonte Euro-Med Human Rights Monitor) così da far calare il numero di pescatori registrati a Gaza da 10.000 a 4.000 unità in soli 20 anni.

Non va meglio sul fronte dell’agricoltura dove “durante tutto l’anno, gli aerei israeliani spruzzano ripetutamente erbicidi sulle terre palestinesi lungo i confini, causando danni alle colture agricole” (fonte EMHRM). A questo si aggiunga il divieto per i contadini ad avvicinarsi alla recinzione entro i 1.000 – 1.500 metri per aggiungere un’ulteriore deprivazione del 35% di territorio coltivabile.

E potremmo parlare del giacimento di Meged, il cui petrolio scorre anche sotto la Cisgiordania ma che Israele rifiuta di condividere o il Gaza Marine, un giacimento di gas a 20 miglia dalla costa di Gaza il quale, “se sfruttato adeguatamente, […] potrebbe coprire l’intero fabbisogno palestinese di gas e consentirebbe anche di effettuare esportazioni.” (fonte Geopop).

I palestinesi dunque sopravvivono in larga parte grazie agli aiuti umanitari distribuiti dall’UNRWA. Una distribuzione che non sottostando al controllo israeliano diventa disfunzionale alla politica pelecida. E così, con la scusa della manciata di lavoratori favorevoli a Hamas, su 30.000 impiegati, ecco spiegato il principale motivo della messa al bando e del susseguente tentativo di Israele di sostituirla con un’altra istituzione “rubinetto”, da poter chiudere su necessità politica.

Ma forse, alla tua domanda “cosa soffoca oggi il popolo palestinese”, la risposta più atavica e ciclica alla base dei genocidi è sempre la stessa: l’indifferenza del mondo.
L’indifferenza, complicità, propaganda, interessi economici dei potenti.
Quella stessa indifferenza che permise lo sterminio degli ebrei, nell’Europa nazista, oggi si ripresenta. E fra qualche decennio si ripresenteranno anche i ciclici memoriali, le cicliche giornate della memoria, le cicliche lacrime postume.

Chissà, forse fra venti anni ci sarà una bella stele in marmo a Gaza Riviere, luongo un Palestine Boulevard (magnanimamente concesso in terra d’Israele).
Di fronte al grattacielo edificato sopra una delle tante fosse comuni e, al largo, lo yacht dell’oligarca stipato di modelle e champagne. Nulla che la storia non abbia già visto.

Link alle prime 50 pagine in pdf del libro “Pelecidio, perchè è moralmente giusto criticare Israele”: https://www.first-web.it/pelecidio1-50.pdf

Lorenzo Poli

Ultima Generazione, Roma: sei processi in due giorni

Roma, 21 febbraio 2025 – Continuano i processi ad Ultima Generazione. Ieri e oggi si sono tenute presso il Tribunale di Roma udienze per i seguenti processi:

  • Blocco stradale e sgombero casa, udienza predibattimentale, capi di impuzione: art. 639 c. 2 c.p., 110 e 112, n.1 c.p., 340 cc. 1,2 cp, art.76 comma 3 d.lgs 159/2011; persone coinvolte 10. Rinviata per difetto di notifica al 2 ottobre 2025.
  • Azione fontana Quattro Fiumiudienza predibattimentale, capi di imputazione: 110, 112, c.p., 518 duodecies co 2 c.p.; persone coinvolte 4. Il giudice ha deciso per il proseguimento del processo fissando la nuova udienza al 18 marzo 2025.
  • Azione vetrina Eniudienza predibattimentale, capi di imputazione: art. 635, comma 3 c.p., 110 e 112, n.1 c.p., all’art. 4 c. 2 e 5 L. n. 110/1975, art. 76 comma 3 d.lgs 159/2011; persone coinvolte 5. Il giudice ha deciso per il proseguimento del processo in data che verrà comunicata.
  • Blocco stradale insieme a GKN, udienza predibattimentale, capi di imputazione: art. 110, 112 comma 1 n.1 cp, art. 340 commi 1, 2 cp; persone coinvolte 12. Il giudice ha deciso per il proseguimento del processo predibattimentale fissando la nuova udienza al 19 giugno 2025.
  • Azione fango al Senato, udienza predibattimentale, capi di imputazione: 110, 112, c.p., 518 duodecies co 2 c.p.; persone coinvolte 8. Rinviata per difetto di notifica al 19 giugno 2025.
  • Blocco stradale davanti al Colosseo,capi di imputazione: art. 110 art. 112 c.1 n.1, art. 340 c.1 e c.2 c.p., art. 76 c.3 relativo all’art. 2 del d.lgs. 159/2011. Persone coinvolte 5. L’udienza è stata aggiornata al 25 marzo 25 marzo 2025.

AL VIA LA CAMPAGNA “IL GIUSTO PREZZO”

L’Italia sta affrontando una crisi agricola senza precedenti. Il prezzo dell’olio, della frutta e di altri generi alimentari di base è raddoppiato negli ultimi dieci anni. Dietro questi aumenti ci sono fenomeni climatici estremi come siccità, alluvioni e grandinate, che stanno mettendo in ginocchio l’agricoltura italiana. Ma la crisi non colpisce solo i consumatori: anche gli agricoltori si trovano in difficoltà, schiacciati tra la crisi climatica e le logiche della grande distribuzione organizzata, che li costringe a vendere i loro prodotti a prezzi irrisori. Oggi su 100 euro di spesa solo 7 ritornano al produttore: serve un’alleanza di produttori e consumatori, entrambi vittime dell’inflazione climatica. Per affrontare questa emergenza e costruire un’alleanza tra agricoltori e famiglie italiane preoccupate per il futuro, abbiamo lanciato martedì 19 febbraio la nostra nuova campagna: “Il Giusto Prezzo”.

COSA CHIEDIAMO?

PROTEGGERE I RACCOLTI: L’agricoltura italiana sta affrontando una crisi senza precedenti. Siccità, ondate di calore, grandinate e alluvioni devastano i campi, compromettendo raccolti e coltivazioni. Dobbiamo proteggere i raccolti e, per farlo, è necessario promuovere una transizione verso un nuovo sistema agricolo che sia resiliente e sostenibile economicamente ed ecologicamente.

AGGIUSTARE I PREZZI: Il costo degli alimenti nei supermercati sta diventando insostenibile, mentre ai produttori arriva solo una minima parte del prezzo finale. Chiediamo alle Istituzioni di intervenire immediatamente per garantire un giusto prezzo al cibo, equo per chi compra e per chi produce.

FAR PAGARE I RESPONSABILI: Chi rompe paga. Vogliamo che a finanziare questa transizione verso un sistema agricolo più sostenibile non siano le nostre tasse ma siano, piuttosto, gli extraprofitti dei reali responsabili della crisi attuale – la finanza, la GDO, i top manager delle multinazionali del cibo e l’industria del fossile.

PRESENTAZIONE ONLINE

Per approfondire il tema e discutere insieme le prossime azioni, ti invitiamo a partecipare al nostro incontro pubblico online il 23 febbraio. Sarà un’occasione per confrontarci, ascoltare esperti e costruire insieme un piano d’azione concreto.

Cartella stampa su tutte le azioni organizzate da dicembre 2021 qui

PROSSIMI INCONTRI:

●       Prossimo incontro online è il 23 alle ore 21 – iscrizione a questo link: http://vai.ug/e/250223?cs

●       Milano: 4 marzo ore 20.30: Cinema Mexico, cineforum di Berlinguer insieme al regista Andrea Segre e Ultima Generazione

●       Roma: 11 marzo ore 21.00: Cinema Giulio Cesare, cineforum di Berlinguer insieme al regista Andrea Segre e Ultima Generazione

PROSSIMI PROCESSI:

●       Milano – 25 febbraio ore 9.45: Blocco stradale viale don Sturzo

I NOSTRI CANALI

Aggiornamenti in tempo reale saranno disponibili sui nostri social e nel sito web:

●       Sito web:https://ultima-generazione.com

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●       Instagram@ultima.generazione

●       Twitter@UltimaGenerazi1

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Ultima Generazione è una coalizione di cittadini ed è membro del network A22.

Ultima Generazione

Dopo oltre tre anni il Marocco ha scarcerato un attivista uiguro ricercato dalla Cina

“Mi hanno portato in prigione, glielo hanno chiesto i cinesi. Fate presto perché vogliono mandarmi in Cina”.

Sono le uniche parole che Idris Hasan, un ingegnere informatico uiguro di 34 anni e padre di tre figli, riuscì a dire alla moglie Zaynura in una brevissima telefonata dalla prigione di Tiflet, in Marocco, dove era stato portato il 19 luglio 2021.

Hasan aveva lasciato la Repubblica autonoma uigura dello Xinjiang dieci anni prima e viveva in esilio in Turchia, dove aveva ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Per rispondere a quel grido disperato, “fate presto”, è stato necessario attendere 43 mesi. Tanti ce ne sono voluti – nonostante addirittura l’Interpol avesse già nell’agosto del 2021 annullato il mandato di cattura – prima che le organizzazioni per i diritti umani, Amnesty International in testa, riuscissero a convincere le autorità marocchine a rinunciare a estradare Hasan in Cina, dove l’equazione uiguro=terrorista avrebbe significato una persecuzione certa.

Il 14 febbraio 2025, dopo essere stato rimesso in libertà, Hasan è volato negli Usa.

Riccardo Noury

Richiesta di esonero da attività scolastiche che prevedono la partecipazione delle Forze Armate

Considerata la sempre più invasiva presenza delle Forze Armate e di Polizia all’interno delle scuole che l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università monitora e denuncia quotidianamente come inaccettabile invasione di campo in un clima generale caratterizzato da una crescente propaganda militare e da una folle corsa agli armamenti, proponiamo ai genitori e alle genitrici che come noi ripudiano la guerra un agile strumento da presentare alle scuole all’atto di iscrizione dei propri figli e delle proprie figlie o in qualsiasi altro momento dell’anno si ritenga opportuno al fine di contribuire ad arginare quella che noi consideriamo una pericolosa frana culturale.

Non è attraverso l’idea di una “cultura della difesa” che si può tutelare l’educazione delle giovani generazioni e il loro percorso educativo che deve essere improntato alle idee di pace e convivenza tra i popoli.

Invitiamo inoltre genitori e genitrici a segnalare episodi di militarizzazione delle scuole al seguente indirizzo mail (osservatorionomili@gmail.com) e a informarsi sulle nostre attività sul sito dell’Osservatorio (https://osservatorionomilscuola.com/).

Clicca qui per scaricare la versione editabile della richiesta di esonero per i/le propri/e figli/e.

OGGETTO: RICHIESTA DI ESONERO DA ATTIVITÀ SCOLASTICHE CHE PREVEDANO LA PARTECIPAZIONE DIRETTA O INDIRETTA DI POLIZIA DI STATO, ARMA DEI CARABINIERI, GUARDIA DI FINANZA, POLIZIA PENITENZIARIA, POLIZIA LOCALE, FORZE ARMATE ITALIANE E/O DI ALTRE NAZIONI.

Al/lla Dirigente Scolastico/a
Al Consiglio d’Istituto
Uff. protocollo dell’Istituto…………………………

Gentile Dirigente, Gentili membri del Consiglio di Istituto,
con la presente, io/noi sottoscritt……. genit…… esercenti la potestà genitoriale dell’alunno/a ……………………….. iscritto/a alla classe …..……… presso il Vostro Istituto, presentiamo la seguente dichiarazione.

CONSIDERATI

– la nota MIUR, prot. n. 4469 del 14 settembre 2017, che fornisce linee guida per l’educazione alla pace e alla cittadinanza glocale;

–  l’art.1 comma 7 lettera d della Legge 107/2015, che indica tra gli obiettivi prioritari delle scuole lo sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica attraverso l’educazione interculturale e alla pace;

– la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176 in particolare il preambolo dove si afferma: «In considerazione del fatto che occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà»; l’art. 3: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»; l’art. 29: «Gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità: b) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite»;

CONSIDERATO INOLTRE CHE

– L’educazione familiare impartita a nostra/o figlia/o è fortemente improntata alla pace e alla cultura di pace;

– l’educazione alla pace è, a mio/nostro avviso, incompatibile con attività scolastiche che prevedano il coinvolgimento diretto o indiretto della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia Penitenziaria, della Polizia Locale, delle Forze Armate italiane, delle forze armate di altre nazioni e di corpi o istituzioni europee e internazionali che svolgono attività militari così come di enti e soggetti ad essi collegati;

– sono/siamo fortemente contrari/o/a all’esposizione e alla diffusione nella scuola di mio/a/nostro/a figlio/a di materiale promozionale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia Penitenziaria, della Polizia Locale, delle Forze Armate italiane e di altre nazioni e di organizzazioni internazionali, e di qualsiasi materiale finalizzato a propagandare le attività belliche e militari, l’arruolamento e la vita militare (anche al fine di orientare e condizionare le future scelte professionali di mio/a/nostro/a figlio/a);

– sono/siamo fortemente contrari/o/a alla partecipazione di mio/a/nostro/a figlio/a a manifestazioni militari, all’organizzazione di visite guidate, a percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO), a iniziative di orientamento, presso strutture militari (quali basi militari, sedi di forze militari nazionali e non, caserme, ecc..) siano esse italiane o appartenenti ad altre nazioni e organismi internazionali (ad esempio basi statunitensi o basi NATO);

–  sono/siamo fortemente contrari/a/o alla realizzazione nella scuola di mio/a/nostro/a figlio/a di progetti in partenariato con strutture militari o aziende (italiane e non) coinvolte nella produzione di materiale bellico; esprimo/iamo contrarietà anche per quelle iniziative che, prevedendo obiettivi formativi fondamentali come la prevenzione della violenza di genere, delle varie forme di dipendenza, o la semplice divulgazione della cultura scientifica in vari ambiti o l’approfondimento di periodi o fatti storici o sociali, siano svolte da esponenti delle FF.AA. o di P.S., in quanto la loro trattazione in chiave pedagogica ed educativa è di stretta competenza delle istituzioni e del personale scolastico;

– sono/siamo fortemente contrari/o/a alla partecipazione di mio/a/nostro/a figlio/a ad attività di PCTO e orientamento che prevedano la presenza di personale militare o di aziende (italiane e non) coinvolte nella produzione di materiale bellico;

Tutte tali attività sono, a mio/nostro avviso, in palese conflitto con la funzione istituzionale e costituzionale della scuola;

TUTTO CIO’ PREMESSO

Io/noi sottoscritto/i CHIEDIAMO all’Istituzione Scolastica e al/alla Dirigente Scolastico/a, in qualità di rappresentante legale della scuola, che per la durata dell’intero percorso scolastico mio/a/nostro/a figlio/a sia esentato da ogni genere di attività che preveda il coinvolgimento di forze armate o di polizia o connesse con il mondo militare anche con riguardo al settore industriale delle armi, non ravvisandone alcuna le finalità educativa;


DIFFIDIAMO

dal discriminare mio/a/nostro/a figlio/a in base a questa scelta autonoma operata dai genitori in quanto suoi rappresentanti legali;

e CHIEDIAMO

l’organizzazione di proposte alternative qualora la scuola preveda le attività di cui sopra.

Ci riserviamo, infine, di promuovere tutte le opportune azioni, anche legali, a tutela dei nostri diritti e di quelli di mio/a/nostro/a figlio/a.

Restiamo in attesa di una tempestiva risposta da parte dell’Istituzione Scolastica.

Cordiali saluti,

Luogo ……………………………. Data ……………..

Firme…………………………………………….

………………………………………

N.B.: (parte da non inviare) Tale allegato va protocollato alla segreteria della scuola o inviato tramite PEC, all’atto dell’iscrizione o successivamente. Si chiede, cortesemente, di dare informativa dell’invio a osservatorionomili@gmail.com

Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

Perché i neologismi “Pelecida” e “Pelecidio”?

A seguito del lancio di “Call to Action per la Palestina. Appello all’Accademia della Crusca” , finalizzata all’inserimento del lemma “Pelecidio” all’interno del vocabolario della lingua italiana, alcuni attivisti hanno sollevato legittimi dubbi relativamente all’utilizzo della parola ebraica תשלפ (Peleshet) quale radice del neologismo.

A ben considerare, si sarebbe potuto utilizzare il termine egiziano pꜣ-r-s-t (Peleset), diffuso durante tutto il XII secolo a.C. e rinvenuto in diverse iscrizioni coeve per quanto, l’utilizzo del termine egizio, non avrebbe modificato il conio del neologismo, data l’affinità fonologica tra i due termini, giustappunto insistenti entrambi in aree e periodi storici sovrapponibili.

Dunque, che si utilizzi la radice ebraica o quella egizia, il neologismo “pelecidio” non varia.
Fatta questa doverosa premessa, riteniamo tuttavia che l’utilizzo del termine ebraico, piuttosto che dell’equivalente egizio, dia ulteriore valore aggiunto e una più profonda stratificazione semantica.
Innanzitutto perchè sconfessa tutta la falsa retorica del “Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un popolo palestinese” per cui, secondo questo negazionismo storico, il popolo palestinese sarebbe “una finzione” elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista. (B. Smotrich, G. Meir e altri).

Quale migliore risposta a questi falsari storici se non farli sbugiardare direttamente dalla loro stessa lingua, dal loro stesso libro rivelato che, 3 millenni fa, certificava l’esistenza in Palestina del pre-esistente popolo dei תשלפ?

In seconda battuta, l’utilizzo di un termine ebraico per definire il genocidio del popolo palestinese lega indissolubilmente, dal punto di vista linguistico, l’oppressore all’atto genocidale da lui compiuto: ebraica è la radice della parola perché ebraica è la lingua parlata da coloro che (per lo meno, nella loro componente “pelecida” appunto) hanno la responsabilità di questi massacri.

Un abbraccio linguistico che sfida dunque il tempo e, anche fra secoli, continuerà ad agganciare attori e azioni.

A tal proposito rilanciamo la nostra campagna di segnalazioni sul sito dell’Accademia della Crusca, rimandando le istruzioni al seguente link: https://www.pressenza.com/it/2025/02/call-to-action-per-la-palestina-appello-allaccademia-della-crusca/

 

Luca Sciacchitano, Lorenzo Poli, Silvia Nocera, Veronica Tarozzi, Grazia Parolari, Paola Giordana Di Nardo, Simone Casu

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