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Comunicati Stampa

Europa, USA, Russia: ma quale Pace?

Ciò che sta avvenendo è la spartizione territoriale dell’Ucraina tra Russia e Stati Uniti, dopo tre anni di sanguinoso conflitto, un milione di morti, danni materiali ed economici incalcolabili, sofferenze ed impoverimento generale. La Russia otterrà l’espansione regionale in Crimea e Donbass, gli Stati Uniti metteranno le mani sulle “terre rare”, mentre l’Europa sta a guardare e l’Ucraina ne esce commissariata.

Questo è il risultato della scelta militare fatta, che ha trasformato l’intera Europa in una regione ad economia di guerra, a traino della Nato. La retorica del “prima la Vittoria, poi la Pace” si è rivelata per quello che era davvero “prima la Guerra, poi la Sconfitta”. E a perderci, prima di tutti, è il popolo ucraino, che vede svanire la propria sovranità, dopo aver sacrificato un’intera generazione di giovani sull’altare del nazionalismo. L’Europa a 27 velocità, che ha accettato il ruolo di comparsa nell’Alleanza Atlantica, è indebolita e afona. Per “salvare il salvabile” si vorrebbe ancora una volta puntare tutto sulla politica di riarmo, la stessa che ha distrutto il sistema sociale della sanità e dell’istruzione nei nostri paesi. Errore fatale. L’Europa, per affrontare la questione Ucraina, ha bisogno di una politica comune di sicurezza, pace e cooperazione, non di una politica di potenza e difesa militare, e deve avere una propria visione democratica alternativa a quella oligarchica di Stati Uniti e autoritaria della Federazione Russa.

Cinque possibili passi necessari di strategia nonviolenta, per prevenire un’ulteriore escalation e per costruire una vera pace:

– creazione di una “linea di pace” sui confini tra Europa e Russia (Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Ucraina) con l’istituzione di una zona smilitarizzata, un corridoio (500 chilometri di larghezza) per tutto il confine (3000 chilometri di lunghezza). Questo lungo fronte di terra smilitarizzata, da una parte e dall’altra, non potrebbe essere attraversato da truppe militari della Russia o della Nato, o di altri eserciti europei: così si favorirebbe la distensione. La definizione e poi il controllo di questa zona russo/europea smilitarizzata (dal Mar Bianco al Mar Nero) prevede il negoziato e lo sviluppo di meccanismi di verifica efficaci; anziché concentrarsi sulla militarizzazione nazionale, ci si concentra su una zona di demilitarizzazione internazionale, pan europea, affidata a tutti i paesi coinvolti;

– avviare immediatamente una “moratoria nucleare” che coinvolga i paesi detentori di armi nucleari presenti sul continente europeo (Francia, Regno Unito, Russia, e Stati Uniti con ordigni presenti anche in Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi): impegno al non utilizzo, e apertura di negoziati per l’adesione concordata e multilaterale al TPNW (Trattato per la messa al bando delle armi nucleari);

– avviare un progetto esecutivo per la costituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo, per la gestione non militare della crisi. Tra non fare nulla e mandare truppe armate, c’è lo spazio per fare subito qualcosa di utile, nell’ambito della politica di sicurezza per intervenire a livello civile nei conflitti prima che questi sfocino in guerra vera e propria, come avvenuto il 24 febbraio 2022.

I Corpi di Pace vanno costituiti e finanziati come una brigata permanente dell’Unione Europea: la loro costituzione deve rientrare nelle competenze della Commissione Europea;

– dare la parola ai movimenti civili e democratici che in Russia, Ucraina e Bielorussia si sono opposti da subito alla guerra e hanno avanzato proposte di pace, a partire dal sostegno agli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva delle parti in conflitto. Convocare con loro, veri portatori di interessi comuni, un “tavolo delle trattative” in zona neutrale e simbolica (Città del Vaticano);

– convocare una Conferenza internazionale di pace (sotto egida ONU, con tutti gli attori internazionali coinvolti e disponibili) basata sul rispetto del Diritto internazionale vigente e sul concetto di sicurezza condivisa, che metta al sicuro la pace anche per il futuro.

La Campagna di Obiezione alla guerra offre uno  strumento concreto per attuare il diritto umano fondamentale alla pace, che sul piano politico significa per gli Stati: obbligo di disarmare, obbligo di riformare in senso democratico e far funzionare i legittimi organismi internazionali di sicurezza collettiva a cominciare dalle Nazioni Unite, obbligo di conferire parte delle forze armate all’ONU come previsto dall’articolo 43 della Carta delle Nazioni Unite, obbligo di riconvertire e formare tali forze per l’esercizio di funzioni di polizia internazionale sotto comando sopranazionale, obbligo di sottoporsi alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Aderendo concretamente alla Campagna ognuno ha la possibilità personale di dichiarare formalmente la propria obiezione di coscienza e nel contempo sostenere concretamente i nonviolenti russi e ucraini che sono le uniche voci delle due parti che stanno già dialogando realmente tra di loro, che creano un ponte su cui può transitare la pace, grazie al coraggio e all’impegno di chi a Kyiv e Mosca, rischiando di persona, lavora per la crescita della nonviolenza organizzata.

Movimento Nonviolento

Movimento Nonviolento

Il Congo è ricco da morire

Solidarietà alla popolazione della Repubblica Democratica del Congo
Corteo a Palermo Sabato 22 febbraio con appuntamento alle ore 15.30 a piazza Crispi

15 febbraio 2024
La Repubblica Democratica del Congo è il secondo paese per estensione dell’Africa dopo l’Algeria, con una superficie di 2.345.410 kmq, circa otto volte l’Italia, con una popolazione di 91.994.000 abitanti all’incirca, secondo una stima del 2017.

La Repubblica Democratica del Congo sta attraversando una fase critica, caratterizzata da intensi conflitti armati, crisi umanitarie e instabilità politica, con l’occupazione della città di Goma e delle altre città da parte del Movimento 23 Marzo (M23), apertamente sostenuto dal Ruanda come si evidenzia da diversi rapporti delle Nazioni Unite.

In questo momento buio sorgono varie domande e perplessità, soprattutto, riguardo al mutismo elettivo dell’Occidente, particolarmente, dell’Unione Europea, la quale un anno fa, firmò un accordo con il regime di Kagame, detto “Memorandum of Understading”, volto a garantire la fornitura di minerali in grado di assicurare la doppia transizione verde e digitale, inoltre, essenziale per settori strategici come quello della difesa e l’aerospaziale.

Secondo la ONG Global Witness, il 90% del tantalio esportato dal Ruanda proviene in realtà dalla RDC. Non solo l’UE, quasi tutte le organizzazioni sia pubbliche che private sono consapevoli che, spesso, questi minerali provengono dall’estrazione illegale, dal commercio illecito, dal trasporto al di fuori dei canali ufficiali e dalla tassazione dei minerali prodotti.

Ultimamente il gruppo ribelle dell’M23, sostenuto dal Ruanda, ha intensificato le sue operazioni militari nell’est del Congo, causando oltre tremila vittime e migliaia di feriti solo nella città di Goma. Gli ospedali sono affollati e anche i campi profughi sono stati attaccati. L’incursione dei ribelli dell’M23 nel paese si è concentrata proprio su aree dense di miniere per l’estrazione di oro, coltan, stagno, tantalio e altri minerali e terre rare.

Ma i ribelli proseguono la loro offensiva verso la provincia del Sud Kivu ed attualmente hanno occupato alcuni dei suoi territori: l’aeroporto di Kavumo, il lago Kivu e la città di Bukavu, capoluogo della provincia. Ciò costituisce una totale violazione del Diritto Internazionale, dei Diritti Umani e del Diritto Internazionale umanitario.

Quello delle risorse minerarie e naturali è un punto dolente nell’attuale crisi sociopolitica della Repubblica Democratica del Congo. In effetti, non si può comprendere a pieno la storia della repubblica democratica del Congo e la situazione sociopolitica in cui si trova oggi, senza prestare attenzione all’esistenza di una grande diversità di ricche risorse minerarie e naturali che questo paese detiene.

La parte orientale del Congo – che è al centro dei conflitti armati – presenta una fascia ricca di risorse, mentre il Katanga (al sud) e il Kasai (in centro) contengono in particolare rame, diamanti, cobalto, uranio. Nel Kivu ed in Ituri si ricavano, soprattutto l’oro e il coltan, oltre al legname pregiato e al gas e petrolio che si trovano nei grandi laghi.

Da tempo, il Governo congolese e i funzionari degli organismi internazionali e delle Nazioni Unite puntano il dito contro il Ruanda, accusandolo di sostenere e supportare i ribelli dell’M23 per impadronirsi delle miniere e contrabbandare poi le materie prime. Per molti anni il Ruanda si è nascosto dietro le smentite. Nessuno osava mettere in dubbio la versione ruandese. Ma ormai una serie di rapporti degli esperti delle Nazioni Unite puntano il dito senza esitazioni contro il Ruanda.

L’amara costatazione è che la pace, nella RD del Congo, è costantemente confrontata alle minacce da parte di questi ribelli, apertamente sostenuti da Kigali, che li fornisce ogni tipo di supporto, affiancandoli, persino, con un nutrito numero di militari Ruandesi.

La sfida della pace richiede coraggio, impegno costante e una visione condivisa. Ma notiamo che nonostante il coinvolgimento diretto del Ruanda nelle atrocità commesse in Congo, l’Unione Europea continua a finanziare Kigali, rendendosi così complice di tali crimini, ovvero, della carneficina che si sta perpetrando nell’est della Repubblica Democratica del Congo.

È il tempo del coraggio; è tempo di difendere i diritti dei bambini e delle donne Congolesi; è tempo di agire a favore della giustizia e della pace. Anche i Congolesi hanno diritto ad autodeterminarsi. La Repubblica Democratica del Congo, infatti, conformemente alle norme di Diritto Internazionale, chiede il rispetto della propria sovranità e della sua integrità territoriale.

Chiediamo che tacciano le armi e che la Comunità Internazionale abbia il coraggio di emanare delle risoluzioni contro il Ruanda, il quale deliberatamente miete morte e sparge sangue in Congo.

Chiediamo, inoltre, che il Ruanda sia espulso tra gli Stati contribuenti dei peacekeepers, perché è inconcepibile che uno Stato impegnato in missioni di peacekeeping violi consapevolmente i Diritti umani, il Diritto Internazionale umanitario e il Diritto Internazionale che esso stesso è chiamato a difendere.

I promotori: CGIL Palermo, Donne di Benin City, Movimento Right 2B Sicilia, Altrico Ody, Mondo Africa, Associazione Africa Solidale Oltre il Mediterraneo, Diaspore per la Pace, Injs, Arci Palermo

Redazione Palermo

Amnesty International all’Unione Europea: “Rispetti il diritto internazionale. Basta sostenere il genocidio”

Lunedì 24 febbraio i ministri degli Esteri dell’Unione Europea accoglieranno a Bruxelles l’omologo israeliano Gideon Sa’ar in occasione del Consiglio di associazione Unione europea-Israele. È la prima volta nella storia dell’Unione europea che i suoi leader ricevono il rappresentante di uno stato il cui primo ministro e l’ex ministro della difesa sono destinatari di mandati di arresto della Corte penale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità e il cui esercito sta attivamente commettendo crimini di diritto internazionale, tra cui il genocidio.

“È inconcepibile che l’Unione europea stenda il tappeto rosso al ministro degli Esteri Sa’ar, il cui superiore, il primo ministro Netanyahu, è ricercato dalla Corte penale internazionale. Le discussioni sul futuro delle relazioni con Israele dovrebbero basarsi anzitutto sull’insistenza affinché Netanyahu e Gallant affrontino la giustizia per i crimini di cui sono accusati, oltre che sul rispetto del diritto internazionale da parte di Israele e sulla fine dell’apartheid. I leader dell’Unione europea devono dare priorità al loro impegno verso il diritto internazionale, i diritti umani e la Corte penale internazionale rispetto agli incontri diplomatici attentamente orchestrati con Israele”, ha dichiarato Eve Geddie, direttrice dell’Ufficio Istituzioni europee di Amnesty International.

“Il vergognoso silenzio seguito alle minacce alla Corte penale internazionale e l’assenza di misure concrete e urgenti che avrebbe già dovuto adottare dopo le oltraggiose sanzioni imposte dall’amministrazione Trump, danno l’impressione che l’Unione europea abbia dato priorità alle relazioni con un governo implicato nel commettere genocidio e crimini di guerra, piuttosto che al sostegno di un’istituzione che persegue l’accertamento delle responsabilità individuali per questi crimini. I leader dell’Unione europea dovrebbero decidere quali misure adottare per evitare di contribuire al genocidio, all’apartheid e all’occupazione illegale israeliani, invece di nascondere tutto sotto il tappeto per una stretta di mano diplomatica a Bruxelles”, ha concluso Geddie.

Ulteriori informazioni

Nonostante la Corte internazionale di giustizia abbia chiaramente delineato la responsabilità degli stati terzi di prevenire scambi commerciali e investimenti che contribuiscano al mantenimento dell’occupazione illegale, l’Unione europea continua a commerciare e investire negli insediamenti israeliani nel Territorio palestinese occupato.

Per maggiori informazioni, si vedano l’appello di Amnesty International all’Unione europea, firmato da oltre 160 organizzazioni della società civile, e la lettera del 10 febbraio, in cui si esorta i leader dell’Unione europea a utilizzare questo incontro per presentare a Israele richieste chiare affinché ponga fine alle gravi violazioni del diritto internazionale e garantisca giustizia e riparazione per i crimini commessi, evidenziando al contempo le conseguenze nelle relazioni tra Unione europea e Israele in caso di mancanza d’azione dell’organismo europeo.

Amnesty International

Cosa ci dicono i fatti di Gradisca, tra violenza e rimozione politica

Il grave episodio di violenza avvenuto nel centro storico di Gradisca d’Isonzo domenica 16 febbraio, che ha visto coinvolti tre giovani italiani, impone una riflessione, soprattutto alla politica locale, troppo spesso incline a semplificazioni pericolose e strumentali.

C’è da chiedersi se tra i soliti agitatori d’odio qualcuno non resti deluso dal fatto che, questa volta, sia l’aggressore che le vittime siano italiane e non straniere. Nessuno parlerà di “cultura del coltello”, né verrà chiesta l’istituzione di zone rosse per proteggere il centro storico. La vicenda, priva di un capro espiatorio comodo, rischia di essere rapidamente rimossa.

Eppure, questo episodio porta alla luce problemi che la politica continua a ignorare: il crescente disagio giovanile, senza alcun piano di intervento né per italiani né per stranieri; la diffusione di messaggi culturali violenti, alimentati dal razzismo e dalla discriminazione; l’assenza di strategie per contrastare una cultura del possesso e della sopraffazione, che soffoca i valori dell’accoglienza e della solidarietà.

Sono queste le vere emergenze, sistematicamente escluse dall’agenda politica, che invece dovrebbero essere al centro dell’azione di governo dei territori.

Redazione Friuli Venezia Giulia

Migrazione Rospi 2025, come ogni anno parte l’iniziativa di volontariato

Come ogni anno , tra metà febbraio e fine aprile, tra Clusane d’Iseo e Paratico (sul Lago d’Iseo) avviene la migrazione del Rospo Comune (Bufo Bufo), che rientra fra le specie protette dalla Convenzione di Berna del 1979 e dalla Legge Regionale n. 10 del 31 marzo 2008.

A causa della strada che separa il bosco dal canneto a lago e che impedisce ai rospi di poter migrare tranquillamente senza rischiare la propria vita, da quattordici anni un nutrito gruppo di volontari del WWF guidati da Alberto Gatti si ritrova all’imbrunire ogni sera con torcia, secchio, guanti in nitrile e giubbino catarifrangente per “raccogliere” letteralmente i rospi e per portarli dall’altro lato della strada.

Nulla li può fermare, nemmeno la pioggia!

Per chi volesse aiutare, il punto di ritrovo è vicino al distributore tra Clusane D’Iseo e Paratico (vicino al distributore).

Per ulteriori informazioni contattare Alberto Gatti dell’Associazione Monte Alto di Corte Franca e Francesco Econimo, coordinatore del progetto per le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) della Comunità Montana del Sebino

Redazione Sebino Franciacorta

Ferrara, Manifestazione Nazionale di Animal Liberation e LIMAV per la liberazione dei macachi reclusi nell’Università

La vicenda coinvolge Clarabella, Archimede, Cleopatra, Eddi, Cesare e Orazio, i nomi dei sei macachi reclusi negli stabulari dell’Università di Ferrara a scopi di vivisezione.

Già nel 2014 le associazioni animaliste avevano chiesto di chiarire se le condizioni di detenzione degli animali fossero idonee e compatibili con la loro etologia e il loro benessere. Successivamente, dopo alcune archiviazioni, l’inchiesta aveva poi ripreso vigore nel 2021, grazie a un nuovo esposto firmato dalle associazioni Animal Liberation e LIMAV Italia, la Lega Internazionale dei Medici per l’Abolizione della Vivisezione.

Numerose associazioni, infatti, lottano da molti anni per fermare tutti gli esperimenti in atto sui primati non-umani in Italia, chiedendo di liberare immediatamente i macachi per affidarli a strutture e rifugi dove possano vivere il resto della loro vita in condizioni migliori.

Secondo gli animalisti, i sei macachi dell’Università vivono isolati e perennemente rinchiusi all’interno di gabbie molto piccole, alloggiate in stanze prive di luce naturale.

Nel 2023 tra gli indagati iscritti nel fascicolo vi erano l’ex rettore Giorgio Zauli, il direttore del centro di sperimentazione Luciano Fadiga, il medico veterinario Ludovico Scenna e l’attuale rettrice dell’Università degli Studi di Ferrara, Laura Ramaciotti, la quale è stata ascoltata in procura dal Pubblico Ministero Andrea Maggioni per fornire spiegazioni in merito all’inchiesta in corso che ha l’intento di chiarire le condizioni in cui vengono tenuti sei macachi all’interno dei laboratori dell’università.

L’ipotesi di reato inizialmente era quella di maltrattamento di animali, ma è stata poi derubricata e cambiata in abbandono, poiché i primati non sono attualmente sottoposti ad alcuna sperimentazione scientifica.

In questi mesi la situazione si è ulteriormente aggravata e il macaco ORAZIO, sottoposto a esperimenti, è morto proprio a causa dei trattamenti subiti. Gli altri aspettano la stessa sorte, vivendo nel frattempo una continua dolorosa condizione di non-vita, isolati, imprigionati ognuno in un’angusta gabbia che impedisce i movimenti tipici della specie, senza vedere mai la luce del sole, costretti a stare perennemente su una rete metallica, mentre i macachi sono animali sociali che in natura cooperano.
ANIMAL LIBERATION E LIMAV, assistiti dall’avvocato David Zanforlini, hanno denunciato per maltrattamento di animali e per custodia in condizioni incompatibili con la specie, l’attuale rettrice dall’Università di Ferrara Laura Ramaciotti, il precedente rettore Giorgio Zauli, il direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Luciano Fadiga e il responsabile del benessere animale Ludovico Scenna.

I macachi devono essere sottratti alla vivisezione e a condizioni di vita che sono un maltrattamento continuo!

PER RECLAMARE IL SEQUESTRO DEI MACACHI, ANIMAL LIBERATION E LIMAV  HANNO LANCIATO LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE  sabato 22 febbraio a Ferrara, dalle 10,45 alle 14, in piazza Cattedrale e corteo fino all’Università.

Con la compattezza e forza dell’ANIMALISMO ITALIANO, hanno aderito tantissime associazioni:

Animal Defenfers, Animalisti Italiani, Animal Voices United, A Coda Alta, AsolAnimale, AVI Associazione Vegani Internazionale, BolognAnimale, CAART Coordinamento Associazioni Animaliste Toscane, CADAPA, Città Visibili Bologna, Cruelty Free, CRCSSA Centro Ricerca Cancro Senza Sperimentazione Animale, Il Vagabondo, LAC Emilia Romagna, LAER, LAV, LEAL, LIDA Firenze, LNDC Animal Protection, META, Movimento Antispecista, NOmattatoio Milano, OIPA, Progetto Vivere Vegan, Rete dei Santuari di Animali Liberi, Salviamo gli Orsi della Luna, SOS Angels, Vita da Cani.

https://www.kodami.it/inchiesta-sui-macachi-alluniversita-di-ferrara-ascoltata-in-procura-la-rettrice/

https://www.lanuovaferrara.it/ferrara/cronaca/2023/11/13/news/ferrara-la-rettrice-di-unife-e-altri-tre-sotto-indagine-per-i-macachi-1.100420475

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/14/macachi-in-gabbia-indagata-anche-la-rettrice-delluniversita-di-ferrara-la-replica-piena-osservanza-della-legge/7352944/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/02/16/macachi-laboratorio-universita-ferrara-liberazione/7878245/

In Italia la sperimentazione con animali di laboratorio è richiesta per legge per l’approvazione di farmaci e altri trattamenti, prima di quella clinica direttamente con gli esseri umani. Per quanto le attività siano regolate da norme molto severe che stabiliscono le modalità di stabulazione e i ricercatori siano obbligati a rispettare le leggi e i regolamenti che proteggono gli animali usati nella ricerca secondo le leggi nazionali e gli standard internazionali, queste norme non tutelano gli animali e il loro benessere ma anzi di fatto legalizzano una forma di violenza sistematica sugli animali ad esclusivo uso e consumo umano considerando la sperimentazione animale “inevitabile”.

In realtà ad oggi sappiamo che le pratiche della sperimentazione animale e della vivisezione non sono convalidate scientificamente e sono superate dai nuovi metodi sostitutivi di sperimentazione su modelli human-based. Secondo l’FDA, il 92% dei farmaci che superano la sperimentazione animale non superano la sperimentazione umana e il 51% dei farmaci negli USA presentano gravi reazioni avverse non scoperte prima dell’approvazione della commercializzazione (1)

(1) Moore T.J. e altri. Time to act on drug safety. JAMA, vol. 279: pp. 1571-1573, 1998

Redazione Romagna

Regione Emilia Romagna dice No alla Autonomia differenziata

Il 19 febbraio l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha approvato una Risoluzione con la quale impegna la Giunta a “manifestare formalmente il venir meno del consenso della Regione E-R alla prosecuzione di qualunque procedimento attuativo dell’art.116 c. 3 Cost.” e “a comunicare formalmente al Governo la volontà di revocare il proprio consenso all’accordo preliminare in merito all’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e le regioni Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia del 28 febbraio 2018”.

È esattamente quello che chiedevano i/le 3000 sottoscrittori/ici in una petizione popolare del 2020 – arbitrariamente mai discussa – e i/le 6000 sottoscrittori/ici di una proposta di legge regionale di iniziativa popolare del 2023, che chiedeva alla regione di recedere dalle preintese firmate dal presidente Bonaccini con il governo Gentiloni nel 2018, che istituzionalizzarono la richiesta dell’ER di ben 16 delle 23 materie disponibili alla potestà legislativa esclusiva regionale; iniziative promosse entrambe dal Comitato emiliano-romagnolo Per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata. Alla Lip è stato fatto esplicito riferimento sia nel dibattito che nella risoluzione approvata.

Una grande vittoria ed una grande soddisfazione per tutte tutti noi; e per questo vogliamo ringraziare e complimentarci vivamente con tutti/e coloro che vi hanno contribuito, con il loro impegno e il lavoro costante sul territorio.

La tenacia e l’abnegazione del Comitato per il ritiro di ogni autonomia differenziata dell’Emilia-Romagna e la risposta della Regione – circostanziata, puntuale, inequivocabile, e dunque degna di una istituzione repubblicana – dimostrano che non tutto è perduto sul fronte del dialogo tra cittadino/a e chi esercita il potere decisionale. Inoltre, che – nonostante la bocciatura da parte della Corte Costituzionale del quesito referendario e la conseguente impossibilità di celebrare un referendum contro l’autonomia differenziata, per il quale erano state raccolte 1 milione 300 mila firme – la nostra lotta deve continuare.  

Attraverso un lavoro inesausto e appassionato di formazione, informazione, vigilanza e mobilitazione – in continuità con un percorso che abbiamo inaugurato più di sei anni fa – auspichiamo e cercheremo di far sì che anche altre Regioni che hanno intrapreso o intendano intraprendere iniziative volte ad acquisire autonomia differenziata abbiano la capacità di ripensare il percorso – i cui limiti sono stati chiaramente inquadrati nelle dichiarazioni della regione Emilia Romagna – interrompendolo, e contribuendo a liquidare definitivamente un’idea di regionalismo egoista, rapace, appropriativo, sordo ai principi di uguaglianza e solidarietà e alla garanzia per tutti/e, e in egual misura, dei diritti sociali e civili.

L’Esecutivo nazionale dei Comitati per il Ritiro di ogni Autonomia differenziata, l’unità della Repubblica,  l’uguaglianza dei diritti

Redazione Romagna

Ennesimo caso di malasanità all’ASL Napoli 3 Sud, condito da malagiustizia: Giovanna Bifulco morta per errori medici, ora si chiedono nuove indagini!

Gli avvocati dello Studio Associati Maior denunciano: “Errori medici gravi e ripetuti hanno privato Giovanna Bifulco delle sue chance di sopravvivenza”

Lo Studio Associati Maior, rappresentato dagli avvocati Pierlorenzo Catalano, Michele Francesco Sorrentino e Filippo Castaldo, con il supporto del medico legale Dott. Marcello Lorello, denuncia con fermezza la tragica vicenda che ha portato alla morte della Sig.ra Giovanna Bifulco Accardi. La donna, appena quarantenne e in perfetta salute, è deceduta il 3 febbraio 2004 a causa di una catena di omissioni e negligenze mediche che le hanno negato cure adeguate. Giovanna Bifulco iniziò ad accusare vomito e diarrea il 31 gennaio 2004. Nonostante il rapido peggioramento delle sue condizioni, i medici coinvolti si limitarono a prescrizioni telefoniche e somministrazioni di farmaci inadeguati, senza mai visitarla. Nessuno, dal medico curante alla guardia medica, dispose un ricovero ospedaliero o effettuò accertamenti clinici approfonditi. Il 3 febbraio 2004, alle ore 13:00, Giovanna manifestò gravi sintomi di sofferenza respiratoria e, quando arrivò il 118, era ormai troppo tardi. Trasportata presso la clinica Santa Lucia di San Giuseppe Vesuviano, vi giunse già priva di vita.

Il procedimento penale avviato in seguito al decesso evidenziò, tramite la Consulenza Tecnica disposta dalla Procura, gravissime omissioni mediche, tra cui l’assenza di visite adeguate e la prescrizione di farmaci senza un corretto inquadramento clinico. Tuttavia, nonostante queste chiare censure, il caso venne archiviato attribuendo la morte della donna a una “complicanza virale imprevedibile”. I familiari di Giovanna Bifulco, ritenendo ingiusta questa decisione, hanno intrapreso un’azione civile per ottenere giustizia. Anche in questa sede, il CTU nominato dal Tribunale ha confermato le gravi negligenze mediche, riconoscendo che “i mancati controlli dei sanitari hanno determinato il non riconoscimento della gravità del caso clinico”. Eppure, con una contraddizione inspiegabile, si è concluso che tali omissioni non avrebbero comunque potuto evitare la morte della paziente. Il Tribunale di Nola ha quindi rigettato la domanda attorea, e tale decisione è stata confermata sia in Appello che in Cassazione. Gli avvocati dello Studio Associati Maior, insieme al medico legale Dott. Marcello Lorello, chiedono con forza la riapertura delle indagini per accertare finalmente le responsabilità di chi, con condotte omissive e negligenti, ha negato a Giovanna Bifulco la possibilità di ricevere cure adeguate. “È inaccettabile che errori medici così evidenti siano stati minimizzati, impedendo l’accertamento delle dovute responsabilità” denunciano i legali. Oltre alla denuncia/querela già depositata per la riapertura delle indagini, i familiari di Giovanna Bifulco hanno avviato un’azione di sensibilizzazione istituzionale affinché tragedie simili non restino impunite. I sindaci dei Comuni coinvolti hanno espresso la loro vicinanza alla famiglia e si stanno valutando azioni congiunte per garantire finalmente giustizia.

 

Studio Associati Maior

Redazione Napoli

Parte la petizione RimborsaMI: gli utenti ATM chiedono un indennizzo tramite bonus al Comune di Milano

La flessione del servizio di superficie erogato da ATM a Milano è un problema noto. Da mesi occupa le prime pagine dei giornali e di recente è stato confermato anche dal rapporto del Laboratorio di Politica dei Trasporti (Transpol) del Politecnico di Milano che per il periodo 2016-2024 ha documentato una contrazione del 15-20% con punte del 30-50% per alcune linee.

Ma è particolarmente nell’ultimo biennio 2023-2024 che la riduzione delle corse e l’irregolarità dei passaggi dei mezzi di superficie ATM hanno inciso pesantemente sulla qualità della vita e sul portafoglio dei cittadini di Milano e hinterland.
Un disagio evidenziatosi nelle tante iniziative di protesta (assemblee, petizioni e raccolte firme, manifestazioni di piazza) messe in atto da diversi gruppi civici, con l’azione trainante del Comitato Basmetto, del raggruppamento di comitati “La 73 non si tocca” e di “AspettaMI, Milanesi in attesa dei bus”, gruppo Facebook che in 9 mesi ha raccolto tantissime testimonianze fotografiche dei ritardi dei mezzi di superficie ATM ed altri disservizi, pubblicate dagli oltre 4mila membri.

Come si coglie anche dai post nel gruppo AspettaMI, molti utenti ATM sentono di aver diritto ad un indennizzo per il 2023-2024 e ad uno sconto per i disservizi, tagli di corse e frequenze che – per previsione degli stessi manager di ATM e Assessora alla Mobilità del Comune di Milano – caratterizzeranno anche tutto il 2025, mentre ATM e Comune cercano di correre ai ripari sul problema della carenza di autisti e della fuga degli stessi da ATM.

Da qui nasce l’idea del Comitato Basmetto di una petizione al Comune di Milano per ottenere il riconoscimento di un bonus pari al 30% del valore degli abbonamenti mensili e annuali 2023-2024, utilizzabile come sconto sull’acquisto di abbonamenti mensili e annuali nel 2025 e/o 2026.

Sonia Ferrari del Comitato Basmetto spiega: “La nostra petizione è sostenuta da 14 altri comitati e gruppi di quartiere che hanno sottoscritto il testo e ci aiuteranno nella raccolta delle firme: perché il Comune di Milano sia obbligato a darci una risposta formale ne serviranno almeno 1000, un obiettivo che abbiamo già raggiunto con una petizione del 2024”.
“Chiediamo un bonus del valore del 30% degli abbonamenti – continua Sonia Ferrari – perché nel 2023-2024 il servizio di superficie di ATM, tra tagli di linee, salti delle corse e rimodulazioni, è stato stimato come inferiore del 30% rispetto al 2022. L’idea del bonus ha ricevuto il parere favorevole di un’associazione di tutela dei consumatori con la quale ci siamo confrontati anche su possibili azioni legali da intraprendere se la situazione del trasporto di superficie milanese non dovesse tornare a livelli veramente accettabili. Tra l’altro ATM non si è dotata della Carta della qualità dei servizi prevista come obbligatoria dalla legge finanziaria del 2008”.

Per Adriana Berra, fondatrice del gruppo Facebook AspettaMI, “la petizione è un segnale per dire al Comune di Milano e ATM che noi utenti non siamo più disposti a subire e stiamo cominciando a pensare a come far valere i nostri diritti. Ma è anche una proposta conciliante: il bonus è una forma di risarcimento molto ragionevole, rispetto alla class action suggerita da molti cittadini allo sciopero dei biglietti e abbonamenti invocato da tanti altri”.
“Del resto – prosegue Adriana Berra – a noi non interessa pagare zero un servizio scadente, bensì pagare il giusto un servizio che al più presto deve ritornare all’efficienza, alla puntualità e alla capillarità per raggiungere tutti, non lasciare indietro nessuno e far funzionare una città come Milano, dove il trasporto pubblico è essenziale per garantire i servizi ai cittadini”.

La petizione è stata appena pubblicata nella sezione “Milano Partecipa” del sito del Comune di Milano e può essere votata da tutti i residenti a Milano e i “city user” sopra i 16 anni di età entrando con lo SPID o la CieID e seguendo il percorso:
https://partecipazione.comune.milano.it > PETIZIONI > BONUS 30%

I comitati promotori organizzeranno anche la raccolta firme su moduli cartacei. Indicazioni in merito saranno via via disponibili sulle pagine Facebook dei comitati.

Comunicato congiunto del Comitato Basmetto e AspettaMI, Milanesi in attesa dei bus

Milano, 21 febbraio 2025

Redazione Milano

Amnesty International: “Al confine tra Usa e Messico il diritto d’asilo è inesistente”

In una ricerca intitolata “Vite in un limbo: il devastante impatto delle politiche di Trump in materia di asilo e immigrazione”, Amnesty International ha denunciato che il diritto d’asilo al confine tra Stati Uniti d’America e Messico è inesistente, in violazione degli obblighi nazionali e internazionali degli Usa in materia di diritti umani.

La ricerca si basa su interviste alla frontiera, realizzate tra il 3 e il 9 febbraio, a persone che cercavano salvezza negli Usa. Le allarmanti conclusioni cui Amnesty International è giunta sono il frutto dei decreti esecutivi del presidente Trump e dell’aumento della militarizzazione della frontiera da parte del governo del Messico.A seguito della totale demolizione del diritto d’asilo da parte dell’amministrazione Usa al confine col Messico, le persone in cerca di salvezza non hanno praticamente alcun modo di ottenerla tramite una procedura legale. Secondo le norme statunitensi in materia d’immigrazione, le persone possono chiedere asilo indipendentemente dalla modalità di ingresso e possono presentare domanda solo una volta entrate negli Stati Uniti.

Sebbene l’uso obbligatorio dell’app Cpb One per le richieste d’asilo fosse illegale, la fine del suo impiego ha abbandonato al loro destino in Messico decine di migliaia di persone, tra le quali minorenni non accompagnati, senza un luogo dove andare e senza un modo per cercare salvezza.

In assenza degli appuntamenti fissati tramite Cpb One, le persone restano intrappolate in situazioni precarie e pericolose sul lato meridionale della frontiera, che è particolarmente rischioso per le persone messicane richiedenti asilo. Decine di persone hanno descritto ad Amnesty International l’impatto delle nuove politiche.

L’amministrazione Trump ha ordinato azioni mirate dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia federale responsabile della sicurezza delle frontiere), ha smantellato il Programma di ammissione delle persone rifugiate, ha abolito diritti costituzionali come la cittadinanza alla nascita e ha dato seguito ad azioni già annunciate che affondano le loro radici nel razzismo e nel suprematismo bianco.“L’amministrazione Trump ha fatto della frontiera tra Usa e Messico un luogo apertamente ostile ai diritti umani e ha mostrato un profondo disprezzo per l’umanità e la dignità delle persone in cammino. Il diritto di chiedere asilo semplicemente non esiste più e persone vulnerabili sono abbandonate a loro stesse mentre le associazioni che si prendono cura di loro ora rischiano rappresaglie e criminalizzazione e stanno cercando disperatamente d’impedire un disastro umanitario di dimensioni ancora maggiori”, ha dichiarato Amy Fischer, direttrice del programma Diritti delle persone migranti e rifugiate di Amnesty International Usa.

La ricerca di Amnesty International è stata pubblicata proprio mentre l’amministrazione Trump ha privato di fondi le organizzazioni umanitarie che svolgono un lavoro cruciale alla frontiera e che beneficiavano di aiuti provenienti da Usaid e da altri programmi governativi.Lungo la frontiera, le organizzazioni che offrono rifugi, orientamento legale e assistenza umanitaria ora sono in crisi, dato che molte di loro non hanno più mezzi economici per continuare a operare.

“I rifugi lungo la frontiera sono obbligati a lasciare fuori le bambine e i bambini. Molti di loro a malapena si rendono conto di cosa stia accadendo e quelli che lo capiscono si trovano di fronte a una decisione impossibile da prendere: o tornare nel luogo da dove sono fuggiti sapendo che potranno non sopravvivere o mettere le loro vite nelle mani dei trafficanti”, ha commentato Mary Kapron, ricercatrice di Amnesty International.

Il governo del Messico ha inasprito la militarizzazione alla frontiera, inviando altri 10.000 soldati e alimentando un clima di paura tra le persone in cerca di salvezza che ha causato arresti di massa ed espulsioni.“Il fatto che ora sia impossibile chiedere asilo alla frontiera mette in pericolo soprattutto le persone messicane in cerca di salvezza. A differenza delle persone di altre nazionalità, loro fuggono dalla persecuzione che subiscono nel proprio paese e ora non hanno alcun modo di chiedere protezione internazionale agli Usa”, ha sottolineato Mónica Oehler Toca, ricercatrice di Amnesty International.

Amnesty International continua a sollecitare gli Usa a trovare urgentemente soluzioni rispettose dei loro obblighi internazionali e di smetterla di fare politica e seminare paura sulla pelle delle persone attraverso politiche in materia di asilo e immigrazione sempre più dure che violano i diritti umani di chi cerca salvezza, alimentano la violenza contro le persone afrodiscendenti, latine e native ed esacerbano il malfunzionamento di un sistema migratorio già in difficoltà.

L’organizzazione per i diritti umani chiede al governo messicano di non collaborare più alle dannose politiche statunitensi in materia di immigrazione e di attuare immediatamente misure che assicurino la salvezza e la sicurezza delle persone richiedenti asilo che transitano lungo il Messico.

Amnesty International continuerà a documentare le violazioni dei diritti umani, a chiedere diritti per tutte le persone migranti e in cerca di salvezza negli Usa e a pretendere che le autorità di governo degli Usa e del Messico rispondano del loro operato.

Amnesty International