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Cultura e Media

AUCLIS: “Nella Giornata Internazionale della Lingua Madre bisogna valorizzare i dialetti”

Oggi si celebra la Giornata Internazionale della Lingua Madre, istituita nel 1999 dall’Unesco per promuovere la diversità linguistica e culturale e il multilinguismo, che ha avuto la sua prima edizione nell’anno 2000.

La data che si scelse è significativa perché proprio un 21 febbraio, quello del 1952, alcuni studenti furono uccisi dalla polizia a Dacca, la capitale dell’attuale Bangladesh, mentre manifestavano per il riconoscimento della loro lingua materna, il bengalese, come una delle due lingue nazionali dell’allora Pakistan.

La Giornata sarà celebrata anche quest’anno con numerosi eventi in tutto il mondo. Anche in Sicilia avranno luogo iniziative e momenti celebrativi, alcuni dei quali riguardanti la lingua siciliana.

L’AUCLIS, l’associazione che riunisce le associazioni che si occupano di lingua e cultura siciliana, in questa occasione rende pubblico un elenco di regole ortografiche utili per scrivere in lingua siciliana.

«Le seguenti dieci regole sono estrapolate dal siciliano letterario; per farlo, abbiamo considerato e analizzato – fa sapere l’AUCLIS nella sua nota – alcuni tra i più importanti autori di opere in prosa e poesia, di dizionari e di grammatiche di lingua siciliana. In particolare:

  • per i dizionari Siciliano-Italiano e Italiano-Siciliano Pasqualino-Rocca, Vincenzo Mortillaro, Salvatore Camilleri;
  • per le grammatiche della lingua siciliana: Innocenzo Fulci, Giuseppe Pitrè, Salvatore Camilleri, Vito Lumia, Gaetano Cipolla, Salvatore Russo;
  • per i testi di prosa e di poesie, i seguenti autori della letteratura in lingua siciliana: Giovanni Meli, Domenico Tempio, Giuseppe Fedele Vitale, Giuseppe Pitrè, Antonio Palomes, Nino Martoglio,
  • e i contemporanei (scelti numerosi, a dimostrazione della vitalità della koinè letteraria) di ogni parte di Sicilia: Nino Barone, Giovanna Cassarà, Giuseppina Cassarà, Alberto Criscenti, Rita Elia, Francesco Ferrante, Giuseppe Gerbino, Lina La Mattina, Euranio La Spisa, Antonino Magrì, Alessio Patti, Alfio Patti, Nino Pedone, Arcangela Rizzo.

Tutti questi autori e opere (e moltissimi altri che non abbiamo analizzato) concordano nelle dieci regole individuate, che vengono anche insegnate dal prof. Alfonso Campisi all’Università ‘La Manouba’ di Tunisi nelle lezioni accademiche del corso di Lingua e Cultura Siciliana».

Queste le regole diramate dall’AUCLIS:

1.  L’alfabeto della lingua siciliana è composto dalle seguenti 22 lettere: A, B, C, D, E, F, G, H, I, J, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V, Z. A queste 22 lettere va aggiunto il digramma DD quando esprime la occlusiva retroflessa sonora, esito del nesso etimologico -LL- (come in cuteddu); in questo caso va considerato come unica ‘lettera’ quando si effettua la divisione della parola in sillabe: cu-te-ddu. Le lettere K, X e Y sono state usate nell’alfabeto siciliano alcuni secoli addietro e, più recentemente, anche la Ç. La conoscenza di questo loro uso può essere utile nella lettura di testi in siciliano antico o di alcuni rari attuali toponimi e cognomi siciliani.

2.  Il rotacismo, cioè la trasformazione del suono della D – intervocalica o a inizio di parola – in R, fenomeno che avviene nel parlato in molte parti di Sicilia (ma non dovunque), non si evidenzia nello scritto dove rimane la D etimologica. Esempi: diri e non “riri”; dumani e non “rumani”; càdiri e non “càriri”.

3.  In siciliano la B e la G (e, in alcune zone anche la R e la D) in inizio di parola si pronunciano sempre doppie ma nella scrittura tale fenomeno della lingua parlata non si evidenzia; per cui si scrive bonu (e non “bbonu”), gebbia (e non “ggebbia”), rota (e “non rrota”), dui (e “non ddui”).

4.  Ogni qualvolta la parte iniziale di una parola, venendo a contatto nel parlato con la parte finale di quella che la precede, cambia di suono, tale cambiamento non viene evidenziato nella scrittura; pertanto, scriveremo tri cani (e non “tri ccani”), tri jorna (e non “tri gghiorna”), un jornu (e non “un gnornu”).

5.  Nel siciliano scritto di registro alto è preferibile usare sempre le forme intere. Per esempio, è preferibile usare come articoli determinativi lu, la, li, anziché le forme abbreviate ‘u, ‘a, ‘i.

6.  Quando si volesse scrivere un termine nella sua forma abbreviata (ove esistesse), si deve mettere l’apostrofo ad indicare la caduta di parte del termine intero:  su’ = sunnu; ‘ccattari = accattari. Se la forma intera non è più usata da nessuna parte, allora non c’è bisogno di mettere l’apostrofo: gnuranti (anziché ‘gnuranti).

7.  In alcune zone e in alcuni casi la R che precede un’altra consonante viene pronunciata I (‘vocalizzazione’), in altre zone scompare e, in entrambi i casi, la consonante che segue viene pronunciata doppia; questi fenomeni del parlato non saranno considerati nella scrittura, dove rispetteremo l’etimologia, per cui scriveremo, ad esempio, portu e non “pottu” o “puoittu”.

8.  In alcune zone della Sicilia esiste nel parlato la dittongazione metafonetica o quella incondizionata; nessuna di esse trova riscontro nella scrittura per cui si scrive fora e non “fuora”, bonu e non “buonu”, “buanu” o “buenu”.

9.  Tranne i monosillabi, nessuna parola in siciliano termina per O o E, a meno che non siano accentate.

10.  Si scrive sempre una sola Z – tranne in pochissime eccezioni – quando ad essa seguano due vocali come in tutte le parole terminanti in -zioni o in -zia e ziu (azioni, predicazioni, binidizioni etc.; dilizia, pasturizia, rigulizia etc.; cardinaliziu, fattiziu etc.).

 

Associazioni Unite per la Cultura e la Lingua Siciliana (AUCLIS)

Redazione Sicilia

È finita la battaglia per la libertà di Maysoon Majidi, non quella del popolo Kurdo

Maysoon Majidi prima di tutto è una giovane kurda, poi attivista e regista, fuggita dal regime islamico dell’Iran, uno dei regimi occupanti del Kurdistan, che è stato sacrificato e diviso per la volontà dell’Occidente che nel primo dopoguerra ha modificato la carta geografica e i confini del Medioriente, creando alcuni paesi e sacrificandone altri. Così il Kurdistan è stato diviso tra Iraq, Iran, Turchia e Siria e in seguito il popolo kurdo è stato sempre perseguitato. Per questo ha dovuto scegliere tra rimanere sottomesso o combattere, scegliendo di combattere; da quel momento sono iniziate la resistenza e la lotta del popolo kurdo e in un secolo i Kurdi sono stati attaccati anche con armi chimiche, uccisi in massa subendo un genocidio.

Ancora oggi quando si parla di bombardamento chimico e di genocidio, l’attenzione si rivolge subito e giustamente, a Hiroshima e alla Shoah; purtroppo la storia drammatica e la sofferenza dei Kurdi, come di altri popoli che hanno subìto genocidi negli ultimi anni, sono sistematicamente dimenticate, nel silenzio assordante delle istituzioni e dell’opinione pubblica. I Kurdi hanno vissuto la crudeltà di tutti i regimi che hanno governato e governano tuttora il Kurdistan. In Turchia ci chiamano i “turchi della montagna”, in Siria non abbiamo neanche il diritto di avere i documenti di identità, in Iraq non potevamo avere posti di lavoro se non eravamo del partito del Al-Bath, ci hanno mandato via dalle nostre case e hanno trasferito al nostro posto gli arabi per cambiare la demografia delle città kurde; in Iran eravamo considerati inesistenti: chi uccide un kurdo andrà in paradiso (fatwa di Khomeyni durante la preghiera del venerdì). In nessuno di questi stati occupanti si può parlare il kurdo, a differenza della Regione del Kurdistan autonomo in Iraq, regione federale dal 1990 dopo la guerra del Golfo, quando la lingua kurda è diventata la seconda lingua ufficiale del paese, ma ciò non vuol dire che sia tutto rose e fiori.

Il popolo kurdo, circa 40 milioni di persone, ancora oggi viene definito’ minoranza’ ed è senza una nazione. I diritti dei Kurdi sono calpestati da tutti e anche da coloro che si definiscono difensori dei diritti umani e dei valori di giustizia, che siano politici, giornalisti o attivisti. Per tornare al caso di attualità di Maysoon Majidi, tutti i media parlano in nome della difesa della libertà e dei diritti, ed invece sono i primi che li calpestano, senza che se ne rendano conto; infatti generalizzano il suo caso riferendosi alla norma del velo obbligatorio e alle leggi repressive per le donne in Iran. Riporto anche come esempio la vicenda della giovane kurda Jina Amini (che è stata la scintilla per accendere la rivoluzione “Jin Jyan Azadi” in Iran), che ancora oggi spesso viene chiamata “Mahsa”, il nome che le è stato dato dal regime per obbligo, perché i kurdi non possono avere o essere registrati con il nome kurdo. Nominarla come Mahsa rappresenta la negazione dei diritti della persona “Jina” e del popolo kurdo.

Quando si parla del regime islamico dell’Iran, della politica religiosa nel dominio assoluto, sia l’Occidente che gli stessi cittadini iraniani parlano di repressione nei quaranta anni di potere, che ha reso obbligatorio l’uso del foulard e ha limitato i diritti delle donne. Questo è vero fino a certo punto, perché democrazia e giustizia non c’erano nemmeno durante i regimi precedenti: è vero che lo shah, il sovrano di Persia, l’amico dell’Occidente, non obbligava l’uso del foulard, però non c’erano la democrazia, le libertà fondamentali e il rispetto dei diritti della persona; i kurdi erano sempre perseguitati. Ricordiamo che il carcere di Evrin era stato costruito per i kurdi, per i comunisti e per altri popoli (minoranze) oppositori in Iran. Oggi ad Evrin, dove è stata detenuta Cecilia Sala, si trovano anche tanti iraniani. I Kurdi, quindi, subiscono ingiustizia e repressione sin da quando il Kurdistan è stato smembrato, operazione che ha fatto sì che fuggissero e si rifugiassero in Europa e nel mondo.

Quindi Maysoon Majidi era ed è una dei milioni di Kurdi che si sono allontanati per salvarsi la vita e per avere la libertà; anche lei è dovuta scappare in Europa perché non ha trovato la sicurezza nemmeno in quella parte del Paese che oggi viene chiamato “Regione del Kurdistan autonomo in Iraq”, dove Maysoon si era recata per poter continuare la sua lotta e dove ha subìto gravi minacce. E’ scappata da un regime criminale e finita in un carcere italiano perché considerata ingiustamente scafista; in un paese libero invece di trovare la libertà “è caduta dalla bocca del lupo e finita nella bocca del leone”, come dice un proverbio kurdo.

Però non abbiamo mai perso la fiducia nella giustizia italiana. Maysoon da donna kurda ed attivista ha resistito e ha cercato di difendersi per avere la giustizia che non ha avuto in patria, con l’aiuto di tante persone, associazioni e anche di alcuni politici che le sono stati vicini. Ed è stata finalmente assolta!
Quello che importa sottolineare è che durante tutta l’assurda vicenda, ma anche dopo, Maysoon e il popolo kurdo continuano a subire ingiustizie e negazione dei diritti senza che vi sia alcuna attenzione dei media; c’è stato chi ha cercato purtroppo di strumentalizzare la vicenda di Maysoon per motivi politici e partitici.

E’ vero, tanti hanno difeso Maysoon ma allo stesso tempo tanti continuano a non riconoscere la sua identità di persona: alcuni giornali noti, conduttori televisivi che l’hanno intervistata e politici di chiara fama ancora oggi scrivono “ Maysoon, attivista iraniana, attivista kurda iraniana”, anzichè scrivere ‘attivista kurda’, punto e basta, o ‘attivista del Kurdistan occupato dall’Iran’, oppure ‘attivista di Rojhalat’; in questo modo, anche per ignoranza, negano l’identità e i diritti del popolo kurdo.
Ecco perché, tristemente, la storia del popolo kurdo è “la storia di uno Stato mai nato”.

Gulala Salih, donna Kurda, scrittrice e presidente di UDIK “ Unione donne Italiane e kurde”

Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)

Perché i neologismi “Pelecida” e “Pelecidio”?

A seguito del lancio di “Call to Action per la Palestina. Appello all’Accademia della Crusca” , finalizzata all’inserimento del lemma “Pelecidio” all’interno del vocabolario della lingua italiana, alcuni attivisti hanno sollevato legittimi dubbi relativamente all’utilizzo della parola ebraica תשלפ (Peleshet) quale radice del neologismo.

A ben considerare, si sarebbe potuto utilizzare il termine egiziano pꜣ-r-s-t (Peleset), diffuso durante tutto il XII secolo a.C. e rinvenuto in diverse iscrizioni coeve per quanto, l’utilizzo del termine egizio, non avrebbe modificato il conio del neologismo, data l’affinità fonologica tra i due termini, giustappunto insistenti entrambi in aree e periodi storici sovrapponibili.

Dunque, che si utilizzi la radice ebraica o quella egizia, il neologismo “pelecidio” non varia.
Fatta questa doverosa premessa, riteniamo tuttavia che l’utilizzo del termine ebraico, piuttosto che dell’equivalente egizio, dia ulteriore valore aggiunto e una più profonda stratificazione semantica.
Innanzitutto perchè sconfessa tutta la falsa retorica del “Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un popolo palestinese” per cui, secondo questo negazionismo storico, il popolo palestinese sarebbe “una finzione” elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista. (B. Smotrich, G. Meir e altri).

Quale migliore risposta a questi falsari storici se non farli sbugiardare direttamente dalla loro stessa lingua, dal loro stesso libro rivelato che, 3 millenni fa, certificava l’esistenza in Palestina del pre-esistente popolo dei תשלפ?

In seconda battuta, l’utilizzo di un termine ebraico per definire il genocidio del popolo palestinese lega indissolubilmente, dal punto di vista linguistico, l’oppressore all’atto genocidale da lui compiuto: ebraica è la radice della parola perché ebraica è la lingua parlata da coloro che (per lo meno, nella loro componente “pelecida” appunto) hanno la responsabilità di questi massacri.

Un abbraccio linguistico che sfida dunque il tempo e, anche fra secoli, continuerà ad agganciare attori e azioni.

A tal proposito rilanciamo la nostra campagna di segnalazioni sul sito dell’Accademia della Crusca, rimandando le istruzioni al seguente link: https://www.pressenza.com/it/2025/02/call-to-action-per-la-palestina-appello-allaccademia-della-crusca/

 

Luca Sciacchitano, Lorenzo Poli, Silvia Nocera, Veronica Tarozzi, Grazia Parolari, Paola Giordana Di Nardo, Simone Casu

Multimage

Storia e memoria: incontro a Pistoia per il Giorno del Ricordo

Nell’ambito delle celebrazioni del Giorno del Ricordo, organizzate dall’Istituto Storico della Resistenza di Pistoia (ISRPT), insieme all’Anpi, lunedì 17 febbraio, presso la libreria Feltrinelli di Pistoia, si è tenuto un interessante incontro dal titolo “Violenze e traumi del dopoguerra del Novecento nella regione Alto Adriatica”.

L’incontro originariamente doveva essere condotto da Stefano Bartolini, direttore dell’Istituto Storico pistoiese, in dialogo con Marta Verginella, docente di Storia all’Università di Lubiana. Per motivi di salute purtroppo la Professoressa non ha potuto essere presente ed il dialogo si è svolto allora tra Stefano Bartolini e Francesco Cutolo, ricercato in storia e collaboratore dell’ISRPT, che ha introdotto il tema. E’ subito emersa la necessità di storicizzare gli avvenimenti verificatisi nel periodo indicato lungo il confine orientale, una regione mistilingue e multietnica di notevole complessità per le relazioni tra i vari gruppi, che per secoli avevano convissuto sotto l’Impero Asburgico, ove la costruzione di uno stato nazionale, per definizione monoetnico, incontra grosse difficoltà. Con le conquiste seguite alla Grande Guerra, l’Italia occupa nuove porzioni di questo territorio, ritenuto erroneamente italiano da sempre, scontrandosi con una realtà in cui la popolazione, si parla di circa 400.000 persone di etnia slovena o croata, ha invece grande diffidenza verso i nuovi arrivati. Tale atteggiamento sarà interpretato come apertamente ostile dall’esercito italiano, che inizia ad agire molto duramente, anche attraverso fucilazioni, accusando molti civili di essere sabotatori o spie del nemico. Dalla trattazione è emerso poi l’atteggiamento subito apertamente anti slavo e razzista del fascismo, che si è manifestato fino dal discorso che Mussolini tenne a Trieste il 2 settembre 1920, ove definì gli slavi “tribù più o meno abbaianti lingue incomprensibili” e che poi sfociò, il 13 luglio del 1920, nell’incendio del Narodni Dom, la “casa della cultura” slovena di Trieste, nel corso di quello che Renzo De Felice definì “il vero battesimo dello squadrismo organizzato“. Con la salita al potere del fascismo si assiste inoltre alla sistematica eliminazione di ogni riferimento alla lingua e alla cultura slovena. L’unica lingua ammessa, ovunque e comunque, è l’italiano. Tutti i nomi, sia di persone, che di località vengono italianizzati e tutte le organizzazioni slave, economiche, politiche o culturali, vengono cancellate, in ciò che è stato definito un vero e proprio etnocidio.

Nel maggio del 1941 l’Italia, con la Germania, invade la Slovenia e ne annette la parte meridionale, che diventa la Provincia Italiana di Lubiana. Nell’area, dove vivevano circa 320.000 persone, sorge subito un movimento di resistenza, guidato dai comunisti sloveni, per contrastare il quale l’Italia fascista invia un esercito di circa 60.000 uomini, che mette in atto una feroce repressione e una vera e propria guerra ai civili, durante la quale, in appena due anni, circa 50.000 sloveni o persero la vita o subirono gravissime offese. Esemplari sono le parole del Generale Roatta, comandante le truppe italiane, che nel marzo del ’42, all’interno della famigerata circolare 3C, stabiliva che “il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula «dente per dente», ma bensì da quella «testa per dente»”. Gli farà eco il suo sottoposto, generale Robotti, che in una nota ai suoi soldati osserva che “si ammazza troppo poco!”. Oltre a uccisioni, incendio di villaggi e altre violenze di vario tipo, l’esercito italiano colpisce la popolazione slovena con deportazioni di massa, tra cui donne e bambini, nel tentativo di creare terra bruciata intorno ai resistenti. I deportati sloveni, assieme ad altri croati, montenegrini, greci ed ebrei, per un totale di circa 100.000 persone, vengono internati in una serie di campi di concentramento, sparsi per Slovenia, Croazia e Italia, dove circa 5.000 di loro moriranno a causa di fame, freddo e malattie legate alle terribili condizioni di detenzione, intenzionalmente applicate dagli italiani. Illuminanti sono le affermazioni del generale Gambara che nel ’43, riferendosi al campo sull’isola di Arbe (Rab), scrisse “Logico e opportuno che campo di concentramento non significhi campo di ingrassamento. Individuo malato uguale individuo che sta tranquillo”. Ad Arbe, su un totale di circa 10.000 civili deportati, compresi donne, vecchi e bambini, circa 1500 morirono per le condizioni di detenzione. Il più piccolo aveva meno di un anno, il più vecchio oltre novanta.

Tutto ciò terminerà l’8 settembre 1943, con l’armistizio e lo sfascio totale dell’esercito italiano. Nelle regioni di confine parte a questo punto la vendetta delle popolazioni slave che, con una sorta di rivolta contadina non organizzata, aggrediscono, in vendette personali e regolamenti di conti, i simboli e i rappresentanti dello stato occupante. E’ questa la prima parte della vicende delle cosiddette foibe, cavità carsiche, dove vengono gettate alcune delle persone uccise, al fine di occultarne i corpi. Questa fase si conclude rapidamente con l’arrivo dell’esercito tedesco, che riprese subito il controllo del territorio, poi direttamente annesso al Reich, e continuò l’occupazione e la guerra con la consueta catena di crimini e stragi di civili. Nella primavera del 1945 la guerra termina con la vittoria dell’armata titina, che arriva a Trieste, assieme agli Alleati e ai partigiani italiani. E’ in questo periodo che, nelle zone controllate dall’esercito jugoslavo, si svolge la seconda e più vasta fase della sanguinosa vicenda delle foibe, anche se in questo caso la maggior parte delle vittime non moriranno nelle foibe, ma nei campi di prigionia jugoslavi, non per fucilazioni, bensì ancora per le pessime condizioni di detenzione. In questa fase, alla fine della guerra, la Jugoslavia è un vero e proprio Stato comunista, che vuole imporre il proprio controllo su tutti i territori liberati, sia punendo coloro che sono considerati criminali di guerra, collaborazionisti o comunque nemici della Resistenza, sia colpendo tutti quelli ritenuti pericolosi, perché contrari al comunismo, o, nel caso del confine, perché contrari all’instaurazione del potere jugoslavo.

E’ sempre nell’ambito di queste violente vicende belliche e post belliche che si inseriscono anche gli altrettanto dolorosi avvenimenti dell’esodo da Dalmazia, Istria e Venezia Giulia, sia delle popolazione italiane che là vivevano da tempo immemore, sia di quelle immigrate dopo le conquiste territoriali della prima guerra mondiale o a seguito dei tentativi dell’Italia fascista di italianizzare i territori originariamente slavi o multietnici. L’esodo di circa 250.000 italiani e 50.000 tra sloveni e croati, si svolgerà in più fasi, che corrispondono alla stabilizzazione del quadro statuale e dei confini, con l’allargamento progressivo delle zone amministrate dalla Stato Jugoslavo il quale, pur non emanando mai alcuna norma che obbligasse nessuno ad andarsene, fece in vario modo pressioni per favorire la partenza degli italiani. Le partenze si concentrarono infatti soprattutto in occasione dei trattati del 1947 e del 1954, quando apparve chiaro che gli jugoslavi non se ne sarebbero andati dai territori loro assegnati.

Dalla lunga disamina dei relatori è emerso quindi che le tragiche vicende di foibe ed esodo vadano comprese, anche se non giustificate, all’interno di un contesto storico, che spesso non coincide con la memoria dei singoli.

Enrico Campolmi

“Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo” – Dal 26 febbraio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW

Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo è un documentario Sky Original in due parti, prodotto da Sky e Palomar in associazione con Sky Studios in esclusiva dal 26 febbraio alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. La docuserie di e con Roberto Saviano, racconta di un uomo che cambia pelle, sapendo restare straordinariamente fedele a sé stesso, e di 30 anni di indagini per far riemergere la verità sul suo omicidio.

Con soggetto e sceneggiatura di Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e la regia di Giovanni Troilo, il documentario è un viaggio intorno a una figura straordinaria, capace di trasformarsi in tante vite diverse attraversando epoche e forme di lotta differenti, col suo carisma e il suo bisogno di cambiare senza però smettere di obbedire allo stesso principio guida: il costante desiderio di curare sé stesso e il mondo.

Una storia che culmina col suo omicidio politico, i depistaggi e gli anni di ricerche che sono stati necessari per ottenere verità e giustizia, nel labirinto di incompetenze e occultamento delle prove.

Rostagno rappresenta uno spaccato della storia italiana per 20 anni, dal 1968 al 1988, attraversando le lotte giovanili del 1968, l’esperienza ai vertici di Lotta Continua, la fondazione del centro sociale milanese per l’attivismo politico e l’espressione creativa Macondo, l’appartenenza all’ashram di Osho a Pune, la creazione del suo ashram siciliano trasformato in centro di riabilitazione per tossicodipendenti, Samaan. Ha sempre fatto parte di qualcosa, senza mai essere inghiottito ed etichettato, senza perdere la sua originalità. Rostagno, in tutte le sue vite, è sempre stato un personaggio scomodo, perché ha gridato a piena voce le sue convinzioni, approdando perfino a RTC, una piccola televisione locale, reinventandosi giornalista e denunciando le collusioni tra mafia e politica locale. Dopo l’omicidio di Rostagno, avvenuto il 26 settembre 1988, le indagini hanno preso mille direzioni diverse.

Un lungo, doloroso ed estenuante slalom prima di accertare la verità: ad uccidere Mauro è stata la mafia, su cui Rostagno stava caparbiamente indagando, contro cui stava lottando con la sua ironia feroce e la sua intelligenza infaticabile.

Redazione Italia

I crimini e le vittime del colonialismo italiano: una storia tutta da raccontare a partire da Yekatit 12 የካቲት ፲፪

Diversamente da altri Paesi del resto dell’Europa occidentale in cui la documentazione della storia coloniale, delle relative ambizioni di conquista territoriale e socio-economica, delle conseguenze dell’imperialismo e dei crimini compiuti dagli attuali Stati-nazione con i quali tali trascorsi sono identificati oggigiorno, in particolare per quanto riguarda gli imperi britannico, belga e francese, sono diffuse anche nelle pratiche culturali, educative e a livello di società civile, nei paesi dell’Europa meridionale un approccio costante e sistematico alla storia meno conveniente, ma non per questo meno reale, è ancora di lenta costituzione.

Questo vale in particolare per il caso italiano, per l’epoca fascista e la sua lunga coda, nonché per gli efferati crimini compiuti in Africa e a oggi ampiamente negati, sminuiti, tenuti lontani dai percorsi scolastici e collettivamente rimossi sul suolo europeo. Mentre su quest’ultimo i nazionalismi crescono in maniera esponenziale, il Governo italiano si affanna nel tentativo di costruire e alimentare il proprio rispolverando le antiche pratiche di vanagloria nazionalpopolare da testare altrove. Tra questo, rientrano nello schema, per esempio, quelle che passano dalla sperimentazione di pratiche al di là di qualsiasi razionalità usando l’Albania come unico e – si spera – ultimo avamposto nel quale rilanciare le pratiche coloniali del presente associate all’esternalizzazione e alla seduzione dei club di potere esclusivi ed escludenti, come quelli delle élite occidentali assetate di controllo di frontiere ma al tempo stesso a caccia tacita di manodopera a basso costo e senza tutele da tutte le latitudini dei quali lo stesso Governo italiano ambisce ad autoproclamarsi quale portavoce nel tentativo disperato di guadagnare una referenzialità mai realmente detenuta. 

Nel frattempo, il mese di febbraio già da diversi anni rappresenta il culmine delle iniziative dedicate alle vittime del colonialismo italiano e al recupero della memoria dei crimini perpetrati dal regime fascista con il consenso e finanche l’orgoglio di gran parte della popolazione dell’epoca. Anche quest’anno, le associazioni, i movimenti, i gruppi di attivisti e singoli accademici cosi come le università a le biblioteche che fanno riferimento alla rete “Yekatit 12 -19 febbraio” hanno costruito una programmazione intensa e diversificata di iniziative finalizzate a promuovere la conoscenza e consapevolezza del passato affinché anche in Italia la memoria del colonialismo e dei crimini perpetrati dal Regno d’Italia, in particolare nel corno d’Africa, possa essere accessibile e al centro di un lavoro di decostruzione della retorica fascista e del mito degli “Italiani brava gente”. Quest’ultimo risulta, infatti, ancora fortemente radicato persino in altre lingue europee e nei relativi immaginari che associano un ruolo mistificato di benevolenza ai criminali di guerra responsabili di atroci massacri e persino di uno dei primi genocidi perpetrati e riconosciuti come tali nella storia contemporanea ovvero il “genocidio in Libia”, noto in Libia con il termine ‘Shar’ (in Arabo: شر o ‘diavolo’), ovvero lo sterminio sistematico della popolazione araba e della cultura libica nel quale si stima l’uccisione di un numero compreso tra 20.000 and 100.000 persone da parte delle autorità coloniali italiane che rispondevano al regime fascista di Benito Mussolini e la deportazione di circa la metà della popolazione della Cirenaica in campi di concentramento.

Se nel dibattito pubblico l’immaginario coloniale è stato relegato nell’oblio fin dal secondo dopoguerra e solo negli ultimi decenni la storiografia ha iniziato a riscoprirlo, le città italiane conservano tracce evidenti di quel passato che tra statue, targhe, monumenti, e soprattutto nomi di vie e interi quartieri rimuove quei crimini nell’alterazione o nella totale assenza di didascalie. Un esempio emblematico è il quartiere che si sviluppo ai lati di corso Trieste del II Municipio di Roma, noto come “Africano” non per la una particolare composizione multiculturale di richiamo continentale, bensì per i 49 odonimi legati alla geografia coloniale, trasformando la toponomastica in stimolo narrativo e ricordando l’urgente necessità di risemantizzazione collettiva, nella capitale così come altrove. Similmente, la zona di Bologna denominata “Cirenaica” nel quartiere San Donato-San Vitale ricorda la deportazione di centomila civili dalla regione nord-orientale della Libia nei primi campi di concentramento moderni, presi a modello per la costruzione di quelli nazisti. A Parma, la stazione ferroviaria, una statua di Vittorio Bottego, a capo dell’occupazione di Asmara e di altre pagine nere del colonialismo italiano ma passato alla storia come “eroe esploratore” proveniente dalla provincia, è posta ancora fieramente e in bella vista all’uscita della stazione ferroviaria con tanto di presunti indigeni prostrati ai suoi piedi. A Modena, nella centralissima piazza Giacomo Matteotti, una targa celebra Guglielmo Ciro Nasi, comandante delle truppe coloniali, nonostante il suo nome figuri nella lista dei criminali di guerra denunciati dall’Etiopia alle Nazioni Unite e siano state presentate numerose petizioni per chiederne la rimozione. 

Negli ultimi anni, le passeggiate decoloniali organizzate da numerose associazioni e gruppi di artisti e anche da accademici stanno registrando un crescente interesse e ampia partecipazione, segno del bisogno di approfondire le capacità e gli strumenti per la lettura critica di interi quartieri che portano ancora segni visibili delle colonie e dei crimini connessi alle operazioni di conquista e di repressione che in alcuni casi, come per esempio in quello somalo, sono sopravvissute persino alla caduta del fascismo e si sono protratte fino agli anni Sessanta del secolo scorso. 

Tra i simboli e i luoghi di glorificazione di alcuni degli autori e dei responsabili dei più efferati crimini del colonialismo italiano, mai stati processati per tali fatti, come Rodolfo Graziani, noto come “macellaio del Fezzan” o “il macellaio di Addis Abeba”, in onore del quale la Regione Lazio ha eretto un mausoleo ad Affile, Pietro Badoglio il cui comune natale, Grazzano Monferrato nel Basso Monferrato Astigiano in Piemonte, è stato rinominato “Grazzano Badoglio” nel 1938, toponimo finora mai cambiato e il cui municipio ostenta ancora, anche nella comunicazione istituzionale, l’effigie del “maresciallo d’Italia” promuovendo la visita del Museo storico badogliano allestito nella casa in cui lo stesso maresciallo fascista aveva iniziato prima della sua morte a esporre cimeli provenienti dalle campagne militari, spiccano anche monumenti apparentemente poco visibili come quello ai Caduti di Dogali nei pressi della Stazione Termini di Roma. Si tratta di una colonna realizzata prendendo in prestito un obelisco egizio eretto a Heliopolis da Ramsete II nel XIII secolo a.C. e trasportato a Roma nel I secolo d.C. che dopo essere stata sottratto alla valorizzazione (o, ancor meglio, alla restituzione) della quale avrebbe potuto godere essendo stato ritrovato nel 1883 nei pressi della chiesa di Santa Maria sopra Minerva è stata incorporata nella composizione del primo monumento eretto a Roma nel momento in cui divenne capitale del Regno di Italia dedicato a 500 soldati caduti nella piana di Massaua in Eritrea durante la Battaglia di Dogali. Nel corso degli ultimi anni è diventato un luogo di ritrovo e di denuncia collettiva proprio in occasione di “የካቲት ፲፪ Yekatit 12”, che nel calendario copto ed etiope corrisponde al 19 febbraio, ovvero all’anniversario della strage di Addis Abeba compiuta tra il 19 e il 21 febbraio 1937 per mano di civili italiani, militari del Regio Esercito e squadre fasciste contro civili le cui stime più recenti fanno riferimento ad almeno 20.000 vittime. Le commemorazioni organizzate negli ultimi anni sotto l’obelisco sono state ispirate dalle necessità di estendere il ricordo delle 500 vittime di Dogali alle oltre 500.000 (stimate per difetto) vittime del colonialismo, del fascismo e dell’imperialismo italiano in Eritrea, Etiopia, Libia e Somalia e rinominare piazza dei Cinquecento in “Piazza delle Cinquecentomila vittime del colonialismo italiano in Africa”, per riprendere il filo della proposta di legge dal 2006, ripresentata poi nel 2023, anziché continuare a glorificare la segregazione imposta dal fascismo italiano in particolare nel Corno d’Africa che fu poi il modello delle leggi razziali del 1938 e dei campi di concentramento nazisti. 

Oltre a Dogali (1887), alla strage di Adua (1896), all’utilizzo dei gas chimici (tra cui l’iprite, in violazione delle convenzioni internazionali) in Etiopia (1935-1936) alla strage di Debre Libanos (1937), alle operazioni di sterminio contro le popolazioni Oromo e Amhara, e alla repressione della rivolta del Wadi al-Shati (1930), Yekatit 12 è considerato uno dei crimini più violenti del colonialismo italiano, parte di un passato imperialista che è stato costantemente arginato, fino a essere quasi totalmente rimosso, nel dibattito pubblico in lingua italiana, nei testi scolastici e persino nelle voci enciclopediche. 

La scelta del mese di febbraio, e in particolare quella della giornata del 19 febbraio, richiama quella che è tuttora giornata di lutto nazionale in Etiopia oltre a essere anche il nome della piazza di Addis Abeba dove un obelisco ricorda l’eccidio, e oggi è anche il nome della rete Yekatit 12 – 19 febbraio, costituita da decine di soggetti e associazioni impegnate contro la rimozione dalla memoria del colonialismo italiano e dei suoi crimini, con uno sguardo anche al razzismo contemporaneo, soprattutto quello istituzionale, alla xenofobia e discriminazioni multiple nei confronti delle persone afrodiscendenti.

Oltre alla proposta di estendere il ricordo dei morti di Dogali a tutte le vittime del colonialismo italiano nei paesi del continente africano, in particolare in Etiopia e in Eritrea, le organizzazioni della società civile, in particolare quelle che fanno riferimento alla rete Yekatit 12 – 19 febbraio, hanno organizzato numerose iniziative per tutto il mese di febbraio, in luoghi diversi che vanno dalla biblioteca “Guglielmo Marconi” di Roma, alla Libreria GRIOT, alla Scuola di giornalismo “Lelio Basso” fino alle aule consiliari e agli Istituti per la Memoria e per la Storia di numerosi comuni italiani, che oltre alle passeggiate decoloniali stanno ospitando anche tavole rotonde, presentazioni di libri, esposizioni, concerti e proiezioni, tra cui quella del documentario “Pagine nascoste” di Sabrina Varani promossa dal Comune di Ravenna nell’ambito del “Festival delle Culture 2025”. 

Sin dal 2023, la stessa rete Yekatit 12 – 19 febbraio sostiene, inoltre, la presentazione di una nuova proposta di legge per l’istituzione del “Giorno della Memoria per le vittime del colonialismo italiano”, dopo un precedente tentativo rimasto in giacenza sin dal  dal 2006, che vede questa volta quale prima firmataria l’Onorevole Laura Boldrini e chiede che Repubblica italiana di riconoscere il giorno 19 febbraio, data di inizio dell’eccidio della popolazione civile di Addis Abeba compiuto nel 1937, come un giorno di commemorazione pubblica istituzionale dedicato a tutte «le vittime del colonialismo italiano» in Africa. La proposta, che non ha ancora avuto un seguito concreto, è stata sostenuta anche da diversi Consigli comunali come quello del Comune di Torino che, con la mozione del 2024, aveva chiesto alla Giunta di fare appello al Parlamento italiano affinché approvasse tale proposta di legge.

Le commemorazioni in corso e gli sforzi volti all’approvazione della proposta di legge, al di là dell’intento celebrativo, mirano a sensibilizzare in maniera concreta l’opinione pubblica sui crimini coloniali italiani e a promuovere una riflessione collettiva sulle derive discriminatorie e xenofobe che formano ancora parte integrante della società e della politica italiana, nonostante gli atti di rimozione e di minimizzazione. 

In tale ottica, le iniziative organizzate in occasione del 19 febbraio o የካቲት ፲፪ Yekatit 12, rappresentano anche un momento significativo di «Aufarbeitung», ovvero atto di «elaborazione» del passato ancora respinto dalla memoria ufficiale e dalla presa di coscienza collettiva della popolazione. Il concetto di «elaborazione» – che riprendo dai testi di Paolo Jedlowski sulla memoria storica – si riferisce in questo contesto a una modalità del ricordo che sostituisce ai processi di oblio (che tendono a scartare tutto ciò che è problematico o inquietante) e ai meccanismi deliberati della volontà politica il confronto consapevole con ciò che il passato ha di più difficile a sostenersi, dando luogo così a un processo che può condurre a un’assunzione di responsabilità nei confronti della propria storia, soprattutto quella che si tende a nascondere e a proteggere dal giudizio del presente.

Nota di redazione: i caratteri che vedete sono aramaico, così come li hanno diffusi gli organizzatori delle iniziative.

Anna Lodeserto

Un seminario on line sulla militarizzazione e il riarmo

Martedì 25 febbraio inizia il quarto seminario formativo online del GIGA Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati in collaborazione con UniGramsci, promosso anche dai Cobas scuola.
I seminari sono gratuiti e, a richiesta, rilasciano attestato di partecipazione come corso di formazione da depositare nelle segreterie scolastiche o per altri utilizzi.

L’argomento di questo seminario è Economia di guerra, politiche di riarmo e militarizzazione dei territori.
Il corso si articolerà in quattro lezioni secondo il seguente programma:

* martedì 25 febbraio – Lezione 1: Tensioni geopolitiche, guerre e politiche di riarmo [Francesco Dall’Aglio, analista geopolitico, esperto di questioni militari]

* martedì 4 marzo – Lezione 2: Militarizzazione dei territori e della scuola [Candida di Franco: Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università]

* martedì 11 marzo – Lezione 3: I movimenti locali contro la militarizzazione dei territori: una prospettiva di realizzazione di un movimento nazionale [Federico Giusti: No Camp Darby – Beppe Corioni: Coordinamento No NATO Brescia]

* martedì 18 marzo – Lezione 4: L’economia di guerra: concetto, sguardo retrospettivo e situazione attuale [Andrea Vento: coordinamento del Giga, autore della serie di saggi “Economia di guerra oggi”]

Inizio lezioni ore 18.00

Per la partecipazione è necessaria la preiscrizione tramite compilazione del modulo online che trovate QUI

Il link di collegamento alle videoconferenze sarà trasmesso il giorno precedente allo svolgimento delle lezioni.

Gli incontri saranno registrati e poi resi disponibili insieme agli atti delle relazioni a questo link dove sono presenti le registrazioni e gli atti dei seminari GIGA già svolti.

Chi ha necessità del rilascio dell’attestato di partecipazione può segnalarlo al seguente indirizzo mail: gigamail2014@gmail.com.

Seminari GIGA e UniGramsci: Economia di guerra, politiche di riarmo e militarizzazione dei territori | COBAS SCUOLA PALERMO

Redazione Palermo

I rischi del web per le nostre ragazze e i nostri ragazzi

Il 58% dei giovani sotto i 26 anni individua nel revenge porn il rischio maggiore che si corre sul web.

Seguono l’alienazione dalla vita reale (49%), le molestie (47%) e il cyberbullismo (46%).

Con l’abbassarsi dell’età è però proprio il cyberbullismo che diventa il rischio più temuto: indicato dal 52% degli under 20.

Sono alcuni dei dati dell’indagine dell’Osservatorio indifesa realizzato da Terre des Hommes, insieme a Scomodo, che ha coinvolto oltre 2.700 ragazzi e ragazze sotto i 26 anni.

I ragazzi chiedono una maggior regolamentazione del web: il 70% ritiene, infatti, che regole più severe potrebbero essere utili nel limitare la violenza online.

Il 13% rimane comunque scettico, sostenendo che una regolamentazione non servirebbe a niente; solo il 6% ritiene che ciò potrebbe limitare la libertà.

Se il revenge porn è il fenomeno più temuto, è perché i ragazzi si rendono conto dei rischi di condividere materiale intimo, come foto e video, con altri, con il partner o con gli amici: l’86% riconosce questa pratica come pericolosa.

Percentuale che si alza tra le donne e si abbassa leggermente col crescere dell’età.

I ragazzi sono inoltre consapevoli di poter denunciare la condivisione di materiali a contenuto intimo e chiederne la rimozione, anche se il 12,5% non sa cosa fare o pensa di non poter fare niente.

Nonostante la consapevolezza dei rischi per la privacy oltre la metà degli intervistati dichiara di aver condiviso la password del proprio telefono o dei propri social media.

A proposito di condivisione, il 75,6% considera una forma di controllo inaccettabile che il/la proprio/a partner acceda al cellulare per controllare quello che fa, solo il 2,5% al contrario pensa che sia una forma di rispetto, ma a più di 1 persona su 5 (22%) questo gesto non crea problemi.

E il dato sale se si guardano le fasce di età più basse (32% per la fascia 15-19, 36% per gli under 14).

Dall’Osservatorio indifesa emerge una generazione che ha esperienze di violenza e che la sa riconoscere, anche nelle sue forme più sottili.

La metà dei ragazzi intervistati (48%) dichiara di aver subito un episodio di violenza.

Le forme più comuni risultano: violenza verbale e psicologica (59,5%), catcalling (52%), bullismo (43%), molestie sessuali (38,5%).

Mentre la violenza verbale e psicologica viene subita in egual misura da maschi e femmine e in percentuale più alta (78%) dalle persone non binarie, le altre forme hanno una rilevante connotazione di genere, con catcalling (F 67%, M 6%) e molestie sessuali (F 45%, M 18%) subite in larga maggioranza dalle ragazze e, al contrario, bullismo (F 35%, M 66%) dai maschi.

Sale moltissimo la percentuale di maschi under 14 che ha subito bullismo (89%), dimostrando che questa forma di violenza è particolarmente sentita nei contesti scolastici o tra gruppi di coetanei.

Le persone non binarie sono, invece, vittime di tutte e tre le tipologie: al 50% di bullismo e catcalling e al 42% di molestie sessuali.

L’incidenza di catcalling e molestie sessuali, inoltre, aumenta con l’età, mentre gli atti di bullismo sono più frequenti nelle fasce d’età più basse.

Sebbene tra la GenZ sia forte la consapevolezza dei pericoli della rete, resta la scuola, trasversalmente per ogni età, il luogo dove, per la maggior parte degli adolescenti, è più probabile che avvengano episodi di violenza, è così per il 56,5% dei ragazzi e delle ragazze.

Sono percepiti come pericolosi anche la strada (48%) e i luoghi di divertimento (47%) e sappiamo dai nostri Osservatori precedenti che anche il web si posiziona al 39%.

Terre des Hommes, in collaborazione con OneDay e ScuolaZoo, porta avanti dal 2014 l’Osservatorio indifesa per ascoltare la voce dei ragazzi e delle ragazze italiane su violenza di genere, discriminazioni, bullismo, cyberbullismo e sexting.

Con il 2025 la Fondazione ha avviato una nuova partnership con Scomodo, la comunità reale di under 30 che dal 2016 crea spazi di espressione, condivisione e crescita per le nuove generazioni in tutta Italia.

Ad oggi più di 72.000 adolescenti di tutta Italia sono stati coinvolti in quello che rappresenta, l’unico punto d’osservazione permanente su questi temi.
Uno strumento fondamentale per orientare le politiche delle istituzioni e della comunità educante italiana.

Qui per approfondire: https://terredeshommes.it/comunicati/osservatorio-indifesa-2025-i-rischi-del-web-secondo-la-genz/.

Giovanni Caprio

Prossimo futuro n. 213  24 Febbraio – 2 Marzo

Bollettino di informazione della redazione di Pressenza sugli eventi della prossima settimana. Inviare le notizie a redazioneitalia@pressenza.com entro la domenica prima dell’evento.

 

APPUNTAMENTI FISSI

 

Digiuno nonviolento

Ogni domenica

Prosegue la staffetta dei digiunanti per la pace organizzata da Coordinamento Capitanata per la pace – Arca della pace

Per maggiori informazioni: ARCA DELLA PACE – Coordinamento Capitanata per la pace

calzoni.pa@gmail.com

 

Genova. ora in silenzio contro la guerra

 

Tutti i mercoledì dalle 18,00 alle 19,00 in piazza De Ferrari sui gradini del palazzo ducale

 

Torino

 

Presenza di Pace  tutti i sabato mattina dalle ore 11 in Piazza Carignano

 

Firenze

 

Ogni prima domenica del mese in Piazza dell’Isolotto dalle ore 9,30 per tutta la mattinata Insieme per la Pace, maratona di letture e testimonianze per la pace.

 

Roma

 

Appuntamento tutti i giovedì alle 18.15, davanti al Teatro dell’Opera di Roma, angolo via Torino. sfilata silenziosa di fronte al Viminale, sede del Ministero degli Interni, per protesta contro le politiche migranticide; organizza da Mani Rosse Antirazziste.

 

No Other Land: tutte le proiezioni del documentario

Wanted Cinema, con il patrocinio di Amnesty International Italia, è lieta di presentare il documentario No Other Land (2024), premiato alla Berlinale 2024 e agli EFA (European Film Awards) 2024 come Miglior Documentario. Questo film, realizzato da un collettivo palestinese-israeliano di quattro giovani attivisti, è stato co-creato durante i tempi più bui e spaventosi della regione, come atto di resistenza creativa contro l’Apartheid e come ricerca di un cammino verso l’uguaglianza e la giustizia.

L’elenco delle proiezioni e dei cinema dove è in programmazione su trovano qui:

https://www.wantedcinema.eu/it/article/no-other-land

 

APPUNTAMENTI DELLA SETTIMANA

Giro delle associazioni premiate con il Premio Alexander Langer 2025

Il Premio Internazionale Alexander Langer 2024 è stato attribuito alla collaborazione fra due organizzazioni, una palestinese e una israeliana. Youth Of Sumud (‘Gioventù della Perseveranza’) si fa interprete della resistenza nonviolenta palestinese nell’area delle colline a sud di Hebron in Cisgiordania, mentre Ta’ayush (‘Vivere Insieme’) è espressione della società civile israeliana che agisce per la convivenza pacifica tra palestinesi e israeliani.

Dal 10 al 28 febbraio 2025 i rappresentanti di Youth Of Sumud e Ta’ayush hanno intrapreso un viaggio toccando diverse città italiane – accompagnati da attiviste e attivisti di Mediterranea Saving Humans e Operazione Colomba e da rappresentanti della Fondazione Langer.

  • Padova, 25.2, ore 17:30 Sala Rossini, Caffè’ Pedrocchi in Piazzetta Pedrocchi 8 – evento organizzato da Fondazione Alexander Langer, Mediterranea Saving Humans, Operazione Colomba, Assopace e diverse altre realtà
  • Reggio Emilia, 27.2, ore 18:00, Sala del Tricolore in Piazza Prampolini 1 – evento organizzato da Mediterranea Saving Humans, Europe for Peace,  Fondazione Alexander Langer e il Comune di Reggio Emilia.

 

Trasformare lo spirito umano per un mondo libero di armi nucleari

31 gennaio-23 marzo 2025 Chiostro di Santa Maria Novella – Piazza della Stazione, 6 Firenze

Mostra multimediale promossa dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

La mostra è aperta dal lunedì al giovedì, 9:00-19:00; dal venerdì alla domenica, 9:00-20:00; prenotazione necessaria per scuole e gruppi. Ingresso Gratuito

 

LIBERARE SPAZI – dialoghi sul protagonismo giovanile

 Lunedì 24 febbraio Ore 18.00 Smart Lab, Rovereto

La serata si aprirà con una conversazione e momento di confronto sulle politiche giovanili, un’occasione unica per esplorare le sfide e le opportunità delle politiche giovanili oggi attraverso le esperienze della Provincia Autonoma di Bolzano, Reggio Emilia e Rovereto.

Seguirà un momento di dibattito aperto con il pubblico e la presentazione del bando 2025 del Piano Giovani Rovereto (roveretogiovani.it) , un’importante opportunità per supportare e realizzare idee e progetti dei e delle giovani. L’evento è gratuito e aperto a tutte le persone interessate. 

 

Giornata di mobilitazione virtuale: per il cessate il fuoco in Ucraina, per ribadire il ripudio della guerra

Lunedì 24 febbraio 2025 in diretta dalle ore 10:00 alle ore 22:00

sul canale YouTube di Rete Pace Disarmo e in diretta streaming sulle piattaforme digitali delle organizzazioni promotrici

Tre anni dell’invasione della Russia in Ucraina. Tre anni di guerra. Tre anni di escalation militare. tre anni in cui l’Europa è piombata in una economia di guerra. Tre anni di morti, distruzioni, milioni di sfollati. Tre anni di guerra alla natura e alle risorse del pianeta. Tre anni di oblio della ragione e della politica, in balia della violenza delle armi, dell’arroganza e della prepotenza.

Cessate il fuoco è la priorità, oggi più di ieri. Fermare la guerra in Europa per ristabilire giustizia e sicurezza condivisa con gli strumenti della politica e della diplomazia, nel quadro del diritto internazionale e non con nuovi ricatti, affari o accordi segreti.

Invitiamo a far sì che il prossimo 24 febbraio, con la maratona virtuale e nelle piazze (anche nei giorni precedenti) diventi occasione di mobilitazione e di riflessione per capire il perché e le responsabilità, per fare i conti con questa guerra europea, per ascoltare le voci della nonviolenza e per ribadire che esiste un’alternativa alla guerra: la politica di pace.

 

Fare quanto è giusto

Lunedì 24 febbraio alle ore 17:30  Villa S. Ignazio – Via delle Laste, 22 Trento 

I𝗻𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗱𝗲𝗱𝗶𝗰𝗮𝘁𝗼 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲𝗰𝗶𝗽𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗲 𝗮𝗹𝗹’𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝗹𝗲 con 𝗚𝗶𝗮𝗰𝗼𝗺𝗼 𝗱’𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼, autore del libro “Fare quanto è giusto”. 

Il testo esplora le storie e i vissuti degli “eroi invisibili”, le persone che, ogni giorno, portano avanti il lavoro sociale nel nostro Paese nonostante difficoltà e disillusioni.

 Durante la serata alcune 𝗴𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗶 𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶𝘀𝘁𝗲 𝗲 𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗶𝘃𝗶𝗱𝗲𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗹𝗲 𝗹𝗼𝗿𝗼 𝗲𝘀𝗽𝗲𝗿𝗶𝗲𝗻𝘇𝗲 per ispirare nuove forme di partecipazione!

 

Riforma della Giustizia. Cosa prevede e con quali conseguenze?

24 febbraio alle 18.00, presso “L’altro Teatro” di Cadelbosco di Sopra (RE) Galleria Giuseppe Carretti , n.2/a

L’iniziativa è organizzata dal Movimento Agende Rosse Rita Atria Reggio Emilia in collaborazione col Comune di Cadelbosco di Sopra ed è patrocinata dalla Consulta Provinciale per la Legalità.

All’iniziativa interverranno esperti qualificati quali il magistrato Calogero Gaetano Paci, Procuratore della Repubblica di Reggio Emilia e il magistrato Francesco Maria Caruso, già Presidente dei tribunali di Reggio Emilia e di Bologna nonché del collegio giudicante del processo Aemilia. La conduzione del dibattito sarà a cura di Paolo Bonacini, giornalista e scrittore.

 

Contro la guerra, per la pace! sosteniamo il dialogo! rifiutiamo il riarmo!

24 febbraio ore 17:30 via sparano angolo via dante, bari (ba)

no all’invio di armi e soldati in ucraina! no all’escalation della guerra! no alla falsa equazione “Russia = III Reich”, che prospetta una guerra permanente contro la Russia e ipoteca il futuro delle nuove generazioni! no al forte aumento delle spese militari (oltre il 3% del PIL) che i vertici della UE si apprestano a varare! sì agli investimenti di pace per sanità, scuola, servizi sociali! sì al dialogo tra Usa e Russia per fermare la guerra!

Per maggiori informazioni:

Comitato articolo 11 Bari – L’Italia ripudia la guerra

articolo11.bari@gmail.com

 

La presidenza Trump e la “fine” della guerra in Ucraina: situazione e prospettive

25 FEBBRAIO 2025 – ore 20:30, Centro per la Pace di Forlì, Via Andrelini, 59, Forlì 

A tre anni dall’inizio del conflitto in Ucraina, ci troviamo a riflettere su scenari attuali e futuri grazie alla collaborazione con Project MEAN e Operazione Colomba. 

Quale sarà l’impatto della presidenza Trump sul conflitto? Quali sono le prospettive di pace? Interverranno il Corpo di Pace di APG23 in collegamento dall’Ucraina e Angelo Moretti, portavoce del movimento Project MEAN.

 

Europa, NATO e… La guerra continua

Ne parliamo con il Generale di corpo d’armata, già Capo di Stato Maggiore della Nato, FABIO MINI e con il Presidente di Peacelink ALESSANDRO MARESCOTTI, martedì 25 febbraio ore 18.00, presso la Biblioteca Bernardini, Piazzetta Carducci, Lecce.

Per maggiori informazioni:
https://www.facebook.com/share/p/1A2MWMUp3E/
Polo Bibliomuseale ed altri

 

Cosa ci tiene uniti? 

Martedì 25 febbraio (h20:30),  Vigilianum (via Endrici 14, Trento), 

In un mondo che cambia velocemente, dove le istituzioni democratiche sono messe alla prova, ci siamo mai chiesti cosa ci tiene davvero insieme come società?

Ne parleremo con esperti e testimoni d’eccezione, partendo dal libro “Cosa ci tiene uniti? Per una grammatica della partecipazione” di Giuseppe Riggio SJ 

Interverranno:

 Mauro Bossi SJ e Cesare Sposetti SJ di Aggiornamenti Sociali

Daria de Pretis, già vicepresidente della Corte Costituzionale

 Vincenzo Passerini, scrittore e autore di La speranza che muove il mondo

con la moderazione di Cinzia Toller, giornalista RAI

 

“Fino alla liberazione dalla guerra. Pensieri, azioni, speranze di pace”

Martedì 25 Febbraio  ore 17.30 sala Gandhi via Giuseppe Garibaldi, 13, Torino

Presentazione del libro “Fino alla liberazione dalla guerra. Pensieri, azioni, speranze di pace” di Enrico Peyretti

info: https://serenoregis.org/evento/presentazione-del-libro-fino-alla-liberazione-dalla-guerra/

 

 

 

Destra-sinistra: una dicotomia superata?

Il gruppo milanese “Progetto Nonviolento” terrà un dibattito, aperto al pubblico, il prossimo 25 febbraio con il titolo: “Destra-sinistra: una dicotomia superata?” L’evento avrà luogo dalle 18:30 alle 20:30 presso lo Spazio Tadini in via Niccolò Jommelli 24, Milano, e solleverà le seguenti domande: quella tra “destra” e “sinistra” è una dicotomia completamente superata dai fatti oggi e sarebbe dunque meglio abbandonarla completamente?  Oppure la dicotomia è ancora in grado di indicare differenze storicamente fondate, tuttora esistenti sul piano ideale, ma che non esistono più sul piano fattuale, perché su questo piano è scomparso uno dei poli della dicotomia? 

Paleranno il prof. Vincenzo Costa, ordinario di filosofia all’università Vita e Salute San Raffaele di Milano, e Aligi Taschera, già docente di Filosofia e Storia presso diversi licei milanesi.   Dopo i loro interventi introduttivi, ampio spazio verrà lasciato ad un dibattito libero tra i presenti.

 È gradita la prenotazione con una email indirizzata a: progettononviolentomilano@proton.me  

 

Due o tre cose che (non) so del genere

Incontri e-visioni fuori dai binari

Una rassegna di film e incontri per esplorare tematiche di attualità attraverso la prospettiva di genere

26 FEB ore 18 Proiezione HarpoaLab, Piazza Giovanni Battista Garzetti, 24, Trento

4 LUNI, 3 SAPTAMANI SI 2 ZILE/4 MESI, 3 SETTIMANE E 2 GIORNI (Cristian Mungiu, 2007, 113′)

26 FEB ore 20.45 Incontro

La salute è un diritto di genere

Con Alessandra Vescio Modera Zona Franca APS

 

Prospettive di pace

26 Febbraio ore 20:45 presso l’Aula Magna dell’Istituto Saraceno Romegialli di Morbegno

Incontro con la partecipazione, in qualità di relatore, di Francesco Vignarca, Coordinatore nazionale delle campagne Rete Italiana Pace e Disarmo.

 

Incontro con Luisa Morgantini

Giovedì 27 febbraio  ore 21:00  incontro online organizzato da Pressenza con Luisa Morgantini che da oltre due mesi si trova in Palestina la intervisterà Andrea de Lotto cercheremo con lei di capire: cosa avviene in quelle terre,  come stanno le persone, cosa potrebbe succedere, come dobbiamo attivarci.  https://www.facebook.com/Pressenzaltalia/

https://youtube.com/@pressenzaitalia?si=bfSziAOwild2mHIf

 

FUTURI?

27 febbraio ore 18 spazio Ramé – Trento, via Madruzzo 66 (ai Tre Portoni)

Conversazione con Giovanni Mori su ciò che ci aspetta.

A cura di Tommaso Bonazza

Giovanni Mori, ingegnere energetico e ambientale, attivista per il clima e ex portavoce di Fridays for Future Italia

Organizza: Comitato permanente di difesa delle acque del Trentino

 

I percorsi di un lampadiere

Giovedì 27 febbraio ore 18.00 BiblioteCaNova Isolotto – Via Chiusi, 4/3 Firenze

Presentazione del libro: I percorsi di un lampadiere Piero Nesi incontra Tom Benettollo A cura di Moreno Biagioni (Edizioni Piagge, 2024) con Moreno Biagioni, Daniela Morozzi, Alessia Petraglia, Laura Sonnino.

 

Da Gaza alla Cisgiordania: altro fronte, stessa guerra. Israele lancia il Muro di Ferro

Venerdì 28 Febbraio Ore 17,00 Casa Del Popolo La Montanina Via di Montebeni 5 Fiesole

Serata di Finanziamento dei Progetti di Assopace Palestina; testimonianza di Qusay Abbas, operatore dello Youth Development Department di Gerusalemme; Interventi di: Manfredi Lo Sauro – Coordinatore Cooperazione Internazionale Arci, Luisa Morgantini – Assopace Palestina.

Segue cena di autofinanziamento prenotazioni: 3397247479

 

La ludopedagogia è tornata in Città! Giochiamo per trasformare i conflitti! 

venerdì 28 Febbraio | ore 15.00 – 18.00 Centro Sereno Regis Sala Poli via Giuseppe Garibaldi, 13, Torino

Partecipa a un’esperienza di apprendimento METTENDO IN GIOCO il tuo corpo, il tuo cuore, le tue emozioni con educatori e animatori giovanili provenienti da 8 paesi .

“Assaggeremo” insieme l’approccio educativo della Ludopedagogia, un approccio nato in Uruguay negli anni ’70, che utilizza il gioco come forma di apprendimento profondo e strumento di empowerment e trasformazione sociale.

Il seminario permetterà lo scambio di riflessioni e apprendimenti fra educatori che lavorano con giovani provenienti da contesti di conflitto armato.

L’attività è gratuita! Iscriviti al link

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSdB_tuxAgWDL1AFB297250ECdQlmMVue0Tke2TvtGPJL9xSOQ/viewform?usp=header

Siria, riscrivere la storia

La caduta del regime di Bashar al Assad ha segnato una nuova pagina nella storia della Siria. Quali sono gli scenari ora? Quali le prospettive, quali le paure? Esiste una speranza per la pace?

Per maggiori informazioni:

Università per la pace delle Marche

Conflitto in Palestina: genocidio, armi, informazione e speranze di pace

1 Marzo ore 10:00 Auditorium Scuole – Via P. Togliatti 1/b – Ingresso da Parco Collodi – Roncadelle

Promosso dal Coordinamento degli Enti Locali per la Pace e la Cooperazione Internazionale di Brescia in collaborazione con Amnesty International Lombardia

Intervengono: Tina Marinari – Coordinatrice campagne di Amnesty International Italia; Elisa Brunelli – Giornalista, autrice dell’inchiesta Il calibro dei coloni per Altreconomia; Anna Maria Selini – Giornalista, autrice del podcast La guerra dei giornalisti, Sergio Bassoli – Coordinatore esecutivo Rete Pace e Disarmo, Modera Agostino Zanotti – Coordinamento degli Enti Locali Pace e cooperazione Internazionale

 

DIRITTI vs ROVESCI ovverossia CURA vs EMERGENZA

RIECCO IL CARNEVALE SOCIALE DI NAPOLI E OLTRE

Domenica 2 marzo 2025 – ore 09:30:
43° Corteo di Carnevale di Scampia dal titolo:
«DIRITTI vs ROVESCI ovverossia CURA vs EMERGENZA».
I diritti da conquistare, da difendere, di cui avere consapevolezza in una società che li nega e li mette sotto attacco di continuo. E il rovescio che c’è sempre in ogni medaglia, in ogni azione, in ogni situazione che, se non oculata, ci si ritorce contro. Ma anche i rovesci meteorologici che devastano i territori cementificati a oltranza da chi, con poca lungimiranza, continua a ragionare per emergenze anziché rispettare la natura, intento solo ad aumentare il proprio potere e riempire le proprie tasche. La necessità della cura dei territori e di tutte le creature che li abitano, superando le logiche delle emergenze cui ci stanno assuefacendo che spostano l’obbiettivo e fanno perdere di vista la complessità e l’interconnessione della nostra Pangea. Tra torti e ragioni, coltiviamo un mondo di pace e nonviolenza.

Partenza alle ore 10:00 dalla sede del GRIDAS (Via Monte Rosa 90/b, Ina Casa, Scampia, Napoli) dopo l’esibizione dell’Orchestra giovanile Musica libera Tutti (ore 9:30).

Qui l’evento su facebook.

Il 43° Corteo di Carnevale di Scampia si inserisce nel più ampio Carnevale Sociale della Città Metropolitana di Napoli.

Sono previsti carnevali sociali in varie zone (vedi il manifesto), si stanno già organizzando cortei a:

 

* Venerdì 28 febbraio 2025:
. MATERDEI: ore 10:00 da Piazza Scipione Ammirato (Metro Materdei)
. SANITA’: ore 10:00 da Piazza Cavour  > Largo Totò – ore 13:00: scambio di doni tra i Carnevali Sociali di Materdei e Sanità
. BORGO SANT’ANTONIO: ore 10:00 da Piazza Giovanni Leone
. GIUGLIANO IN CAMPANIA: ore 11:30 da Piazza Gramsci.

* Sabato 1 marzo 2025:
. AFRAGOLA: Quartiere Salicelle, ore 10:00 da Viale Europa c/o I.C. “Europa Unita”
. PIAZZA GARIBALDI: ore 10:30 da Hotel Terminus
. CAPODIMONTE: ore 10:00 da ingresso Porta Piccola – Bosco di Capodimonte

* Domenica 2 marzo 2025:
. SCAMPIA: ore 9:30 da via Monte Rosa 90/b

* Lunedì 3 marzo 2025:
. PIANURA: ore 16:00 da Casa della Cultura, via Grottole, 1

* Martedì 4 marzo 2025:
. SOCCAVO: ore 10:30 da Piazza Orazio Coclite
. MONTESANTO: ore 14:00 dal Parco Sociale Ventaglieri.
. CENTRO STORICO: ore 14:00 da Santa Fede Liberata
. MEZZOCANNONE OCCUPATO: ore 14:00 da via Mezzocannone, 14
. QUARTIERI SPAGNOLI: ore 15:00 da Piazza Montecalvario


Infoline: https://www.felicepignataro.org/carnevale/diritti-vs-rovesci-ovverossia-cura-vs-emergenza

 

UOMINI E ORSI: come coesistere

Domenica 2 marzo 2025 ore 18.00 Smart Lab Centro Giovani

Rovereto viale Trento 47/49

Il gruppo URSA Trentino propone un incontro informativo con Alessandro de Guelmi, Medico Veterinario;  Alessandro Marsilli,

Naturalista e Faunista

Redazione Italia

Una luce di creatività e speranza per i giovani rifugiati in Uganda

A Nord dell’Uganda, il Paese che ospita il numero più alto di rifugiati del continente, c’è un luogo magico dove la creatività si fonde con la speranza: il Bidi Bidi Performing Arts Centre. Questo spazio è nato nel 2022 periferia della città ugandese di Yumbe ed è stato pensato per gli oltre 250.000 rifugiati del Paese che vivono nell’insediamento per rifugiati Bidi Bidi. La maggior parte dei rifugiati proviene da Sud Sudan, RDC, Somalia, Burundi e Sudan.

Un edificio circolare circondato da alberi possenti dove i giovani hanno la possibilità di cantare, suonare, ballare e sentirsi liberi. Progettato come un anfiteatro semi-aperto, il centro è un luogo dove gli artisti possono esibirsi, fungendo anche da punto di aggregazione per la comunità. Al suo interno vi sono aule spaziose e appositi studi per l’insegnamento della musica e uno studio di registrazione.

Progettato dallo studio di architettura Hassell e da LocalWorks il Bidi Bidi Performing Arts Centre, riporta il sito ufficiale, è stato realizzato secondo un’architettura sostenibile. Il design del tetto infatti è a forma di imbuto capace di raccogliere l’acqua piovana e fornire acqua alla comunità e a un orto.

Il suo grande valore, riporta il Guardian, risiede nella sua capacità di offrire un luogo sicuro dove i giovani rifugiati possano superare il trauma vissuto nei loro Paesi d’origine, e allo stesso tempo, costruire nuove opportunità per un futuro migliore. Circa il 75% dei 1,7 milioni di rifugiati in Uganda, riporta la medesima fonte, sono donne e bambini, e circa il 25% ha un’età compresa tra i 15 e i 24 anni.

 

Africa Rivista