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Cultura e Media

È finita la battaglia per la libertà di Maysoon Majidi, non quella del popolo Kurdo

Maysoon Majidi prima di tutto è una giovane kurda, poi attivista e regista, fuggita dal regime islamico dell’Iran, uno dei regimi occupanti del Kurdistan, che è stato sacrificato e diviso per la volontà dell’Occidente che nel primo dopoguerra ha modificato la carta geografica e i confini del Medioriente, creando alcuni paesi e sacrificandone altri. Così il Kurdistan è stato diviso tra Iraq, Iran, Turchia e Siria e in seguito il popolo kurdo è stato sempre perseguitato. Per questo ha dovuto scegliere tra rimanere sottomesso o combattere, scegliendo di combattere; da quel momento sono iniziate la resistenza e la lotta del popolo kurdo e in un secolo i Kurdi sono stati attaccati anche con armi chimiche, uccisi in massa subendo un genocidio.

Ancora oggi quando si parla di bombardamento chimico e di genocidio, l’attenzione si rivolge subito e giustamente, a Hiroshima e alla Shoah; purtroppo la storia drammatica e la sofferenza dei Kurdi, come di altri popoli che hanno subìto genocidi negli ultimi anni, sono sistematicamente dimenticate, nel silenzio assordante delle istituzioni e dell’opinione pubblica. I Kurdi hanno vissuto la crudeltà di tutti i regimi che hanno governato e governano tuttora il Kurdistan. In Turchia ci chiamano i “turchi della montagna”, in Siria non abbiamo neanche il diritto di avere i documenti di identità, in Iraq non potevamo avere posti di lavoro se non eravamo del partito del Al-Bath, ci hanno mandato via dalle nostre case e hanno trasferito al nostro posto gli arabi per cambiare la demografia delle città kurde; in Iran eravamo considerati inesistenti: chi uccide un kurdo andrà in paradiso (fatwa di Khomeyni durante la preghiera del venerdì). In nessuno di questi stati occupanti si può parlare il kurdo, a differenza della Regione del Kurdistan autonomo in Iraq, regione federale dal 1990 dopo la guerra del Golfo, quando la lingua kurda è diventata la seconda lingua ufficiale del paese, ma ciò non vuol dire che sia tutto rose e fiori.

Il popolo kurdo, circa 40 milioni di persone, ancora oggi viene definito’ minoranza’ ed è senza una nazione. I diritti dei Kurdi sono calpestati da tutti e anche da coloro che si definiscono difensori dei diritti umani e dei valori di giustizia, che siano politici, giornalisti o attivisti. Per tornare al caso di attualità di Maysoon Majidi, tutti i media parlano in nome della difesa della libertà e dei diritti, ed invece sono i primi che li calpestano, senza che se ne rendano conto; infatti generalizzano il suo caso riferendosi alla norma del velo obbligatorio e alle leggi repressive per le donne in Iran. Riporto anche come esempio la vicenda della giovane kurda Jina Amini (che è stata la scintilla per accendere la rivoluzione “Jin Jyan Azadi” in Iran), che ancora oggi spesso viene chiamata “Mahsa”, il nome che le è stato dato dal regime per obbligo, perché i kurdi non possono avere o essere registrati con il nome kurdo. Nominarla come Mahsa rappresenta la negazione dei diritti della persona “Jina” e del popolo kurdo.

Quando si parla del regime islamico dell’Iran, della politica religiosa nel dominio assoluto, sia l’Occidente che gli stessi cittadini iraniani parlano di repressione nei quaranta anni di potere, che ha reso obbligatorio l’uso del foulard e ha limitato i diritti delle donne. Questo è vero fino a certo punto, perché democrazia e giustizia non c’erano nemmeno durante i regimi precedenti: è vero che lo shah, il sovrano di Persia, l’amico dell’Occidente, non obbligava l’uso del foulard, però non c’erano la democrazia, le libertà fondamentali e il rispetto dei diritti della persona; i kurdi erano sempre perseguitati. Ricordiamo che il carcere di Evrin era stato costruito per i kurdi, per i comunisti e per altri popoli (minoranze) oppositori in Iran. Oggi ad Evrin, dove è stata detenuta Cecilia Sala, si trovano anche tanti iraniani. I Kurdi, quindi, subiscono ingiustizia e repressione sin da quando il Kurdistan è stato smembrato, operazione che ha fatto sì che fuggissero e si rifugiassero in Europa e nel mondo.

Quindi Maysoon Majidi era ed è una dei milioni di Kurdi che si sono allontanati per salvarsi la vita e per avere la libertà; anche lei è dovuta scappare in Europa perché non ha trovato la sicurezza nemmeno in quella parte del Paese che oggi viene chiamato “Regione del Kurdistan autonomo in Iraq”, dove Maysoon si era recata per poter continuare la sua lotta e dove ha subìto gravi minacce. E’ scappata da un regime criminale e finita in un carcere italiano perché considerata ingiustamente scafista; in un paese libero invece di trovare la libertà “è caduta dalla bocca del lupo e finita nella bocca del leone”, come dice un proverbio kurdo.

Però non abbiamo mai perso la fiducia nella giustizia italiana. Maysoon da donna kurda ed attivista ha resistito e ha cercato di difendersi per avere la giustizia che non ha avuto in patria, con l’aiuto di tante persone, associazioni e anche di alcuni politici che le sono stati vicini. Ed è stata finalmente assolta!
Quello che importa sottolineare è che durante tutta l’assurda vicenda, ma anche dopo, Maysoon e il popolo kurdo continuano a subire ingiustizie e negazione dei diritti senza che vi sia alcuna attenzione dei media; c’è stato chi ha cercato purtroppo di strumentalizzare la vicenda di Maysoon per motivi politici e partitici.

E’ vero, tanti hanno difeso Maysoon ma allo stesso tempo tanti continuano a non riconoscere la sua identità di persona: alcuni giornali noti, conduttori televisivi che l’hanno intervistata e politici di chiara fama ancora oggi scrivono “ Maysoon, attivista iraniana, attivista kurda iraniana”, anzichè scrivere ‘attivista kurda’, punto e basta, o ‘attivista del Kurdistan occupato dall’Iran’, oppure ‘attivista di Rojhalat’; in questo modo, anche per ignoranza, negano l’identità e i diritti del popolo kurdo.
Ecco perché, tristemente, la storia del popolo kurdo è “la storia di uno Stato mai nato”.

Gulala Salih, donna Kurda, scrittrice e presidente di UDIK “ Unione donne Italiane e kurde”

Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)

Perché i neologismi “Pelecida” e “Pelecidio”?

A seguito del lancio di “Call to Action per la Palestina. Appello all’Accademia della Crusca” , finalizzata all’inserimento del lemma “Pelecidio” all’interno del vocabolario della lingua italiana, alcuni attivisti hanno sollevato legittimi dubbi relativamente all’utilizzo della parola ebraica תשלפ (Peleshet) quale radice del neologismo.

A ben considerare, si sarebbe potuto utilizzare il termine egiziano pꜣ-r-s-t (Peleset), diffuso durante tutto il XII secolo a.C. e rinvenuto in diverse iscrizioni coeve per quanto, l’utilizzo del termine egizio, non avrebbe modificato il conio del neologismo, data l’affinità fonologica tra i due termini, giustappunto insistenti entrambi in aree e periodi storici sovrapponibili.

Dunque, che si utilizzi la radice ebraica o quella egizia, il neologismo “pelecidio” non varia.
Fatta questa doverosa premessa, riteniamo tuttavia che l’utilizzo del termine ebraico, piuttosto che dell’equivalente egizio, dia ulteriore valore aggiunto e una più profonda stratificazione semantica.
Innanzitutto perchè sconfessa tutta la falsa retorica del “Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un popolo palestinese” per cui, secondo questo negazionismo storico, il popolo palestinese sarebbe “una finzione” elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista. (B. Smotrich, G. Meir e altri).

Quale migliore risposta a questi falsari storici se non farli sbugiardare direttamente dalla loro stessa lingua, dal loro stesso libro rivelato che, 3 millenni fa, certificava l’esistenza in Palestina del pre-esistente popolo dei תשלפ?

In seconda battuta, l’utilizzo di un termine ebraico per definire il genocidio del popolo palestinese lega indissolubilmente, dal punto di vista linguistico, l’oppressore all’atto genocidale da lui compiuto: ebraica è la radice della parola perché ebraica è la lingua parlata da coloro che (per lo meno, nella loro componente “pelecida” appunto) hanno la responsabilità di questi massacri.

Un abbraccio linguistico che sfida dunque il tempo e, anche fra secoli, continuerà ad agganciare attori e azioni.

A tal proposito rilanciamo la nostra campagna di segnalazioni sul sito dell’Accademia della Crusca, rimandando le istruzioni al seguente link: https://www.pressenza.com/it/2025/02/call-to-action-per-la-palestina-appello-allaccademia-della-crusca/

 

Luca Sciacchitano, Lorenzo Poli, Silvia Nocera, Veronica Tarozzi, Grazia Parolari, Paola Giordana Di Nardo, Simone Casu

Multimage

Storia e memoria: incontro a Pistoia per il Giorno del Ricordo

Nell’ambito delle celebrazioni del Giorno del Ricordo, organizzate dall’Istituto Storico della Resistenza di Pistoia (ISRPT), insieme all’Anpi, lunedì 17 febbraio, presso la libreria Feltrinelli di Pistoia, si è tenuto un interessante incontro dal titolo “Violenze e traumi del dopoguerra del Novecento nella regione Alto Adriatica”.

L’incontro originariamente doveva essere condotto da Stefano Bartolini, direttore dell’Istituto Storico pistoiese, in dialogo con Marta Verginella, docente di Storia all’Università di Lubiana. Per motivi di salute purtroppo la Professoressa non ha potuto essere presente ed il dialogo si è svolto allora tra Stefano Bartolini e Francesco Cutolo, ricercato in storia e collaboratore dell’ISRPT, che ha introdotto il tema. E’ subito emersa la necessità di storicizzare gli avvenimenti verificatisi nel periodo indicato lungo il confine orientale, una regione mistilingue e multietnica di notevole complessità per le relazioni tra i vari gruppi, che per secoli avevano convissuto sotto l’Impero Asburgico, ove la costruzione di uno stato nazionale, per definizione monoetnico, incontra grosse difficoltà. Con le conquiste seguite alla Grande Guerra, l’Italia occupa nuove porzioni di questo territorio, ritenuto erroneamente italiano da sempre, scontrandosi con una realtà in cui la popolazione, si parla di circa 400.000 persone di etnia slovena o croata, ha invece grande diffidenza verso i nuovi arrivati. Tale atteggiamento sarà interpretato come apertamente ostile dall’esercito italiano, che inizia ad agire molto duramente, anche attraverso fucilazioni, accusando molti civili di essere sabotatori o spie del nemico. Dalla trattazione è emerso poi l’atteggiamento subito apertamente anti slavo e razzista del fascismo, che si è manifestato fino dal discorso che Mussolini tenne a Trieste il 2 settembre 1920, ove definì gli slavi “tribù più o meno abbaianti lingue incomprensibili” e che poi sfociò, il 13 luglio del 1920, nell’incendio del Narodni Dom, la “casa della cultura” slovena di Trieste, nel corso di quello che Renzo De Felice definì “il vero battesimo dello squadrismo organizzato“. Con la salita al potere del fascismo si assiste inoltre alla sistematica eliminazione di ogni riferimento alla lingua e alla cultura slovena. L’unica lingua ammessa, ovunque e comunque, è l’italiano. Tutti i nomi, sia di persone, che di località vengono italianizzati e tutte le organizzazioni slave, economiche, politiche o culturali, vengono cancellate, in ciò che è stato definito un vero e proprio etnocidio.

Nel maggio del 1941 l’Italia, con la Germania, invade la Slovenia e ne annette la parte meridionale, che diventa la Provincia Italiana di Lubiana. Nell’area, dove vivevano circa 320.000 persone, sorge subito un movimento di resistenza, guidato dai comunisti sloveni, per contrastare il quale l’Italia fascista invia un esercito di circa 60.000 uomini, che mette in atto una feroce repressione e una vera e propria guerra ai civili, durante la quale, in appena due anni, circa 50.000 sloveni o persero la vita o subirono gravissime offese. Esemplari sono le parole del Generale Roatta, comandante le truppe italiane, che nel marzo del ’42, all’interno della famigerata circolare 3C, stabiliva che “il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula «dente per dente», ma bensì da quella «testa per dente»”. Gli farà eco il suo sottoposto, generale Robotti, che in una nota ai suoi soldati osserva che “si ammazza troppo poco!”. Oltre a uccisioni, incendio di villaggi e altre violenze di vario tipo, l’esercito italiano colpisce la popolazione slovena con deportazioni di massa, tra cui donne e bambini, nel tentativo di creare terra bruciata intorno ai resistenti. I deportati sloveni, assieme ad altri croati, montenegrini, greci ed ebrei, per un totale di circa 100.000 persone, vengono internati in una serie di campi di concentramento, sparsi per Slovenia, Croazia e Italia, dove circa 5.000 di loro moriranno a causa di fame, freddo e malattie legate alle terribili condizioni di detenzione, intenzionalmente applicate dagli italiani. Illuminanti sono le affermazioni del generale Gambara che nel ’43, riferendosi al campo sull’isola di Arbe (Rab), scrisse “Logico e opportuno che campo di concentramento non significhi campo di ingrassamento. Individuo malato uguale individuo che sta tranquillo”. Ad Arbe, su un totale di circa 10.000 civili deportati, compresi donne, vecchi e bambini, circa 1500 morirono per le condizioni di detenzione. Il più piccolo aveva meno di un anno, il più vecchio oltre novanta.

Tutto ciò terminerà l’8 settembre 1943, con l’armistizio e lo sfascio totale dell’esercito italiano. Nelle regioni di confine parte a questo punto la vendetta delle popolazioni slave che, con una sorta di rivolta contadina non organizzata, aggrediscono, in vendette personali e regolamenti di conti, i simboli e i rappresentanti dello stato occupante. E’ questa la prima parte della vicende delle cosiddette foibe, cavità carsiche, dove vengono gettate alcune delle persone uccise, al fine di occultarne i corpi. Questa fase si conclude rapidamente con l’arrivo dell’esercito tedesco, che riprese subito il controllo del territorio, poi direttamente annesso al Reich, e continuò l’occupazione e la guerra con la consueta catena di crimini e stragi di civili. Nella primavera del 1945 la guerra termina con la vittoria dell’armata titina, che arriva a Trieste, assieme agli Alleati e ai partigiani italiani. E’ in questo periodo che, nelle zone controllate dall’esercito jugoslavo, si svolge la seconda e più vasta fase della sanguinosa vicenda delle foibe, anche se in questo caso la maggior parte delle vittime non moriranno nelle foibe, ma nei campi di prigionia jugoslavi, non per fucilazioni, bensì ancora per le pessime condizioni di detenzione. In questa fase, alla fine della guerra, la Jugoslavia è un vero e proprio Stato comunista, che vuole imporre il proprio controllo su tutti i territori liberati, sia punendo coloro che sono considerati criminali di guerra, collaborazionisti o comunque nemici della Resistenza, sia colpendo tutti quelli ritenuti pericolosi, perché contrari al comunismo, o, nel caso del confine, perché contrari all’instaurazione del potere jugoslavo.

E’ sempre nell’ambito di queste violente vicende belliche e post belliche che si inseriscono anche gli altrettanto dolorosi avvenimenti dell’esodo da Dalmazia, Istria e Venezia Giulia, sia delle popolazione italiane che là vivevano da tempo immemore, sia di quelle immigrate dopo le conquiste territoriali della prima guerra mondiale o a seguito dei tentativi dell’Italia fascista di italianizzare i territori originariamente slavi o multietnici. L’esodo di circa 250.000 italiani e 50.000 tra sloveni e croati, si svolgerà in più fasi, che corrispondono alla stabilizzazione del quadro statuale e dei confini, con l’allargamento progressivo delle zone amministrate dalla Stato Jugoslavo il quale, pur non emanando mai alcuna norma che obbligasse nessuno ad andarsene, fece in vario modo pressioni per favorire la partenza degli italiani. Le partenze si concentrarono infatti soprattutto in occasione dei trattati del 1947 e del 1954, quando apparve chiaro che gli jugoslavi non se ne sarebbero andati dai territori loro assegnati.

Dalla lunga disamina dei relatori è emerso quindi che le tragiche vicende di foibe ed esodo vadano comprese, anche se non giustificate, all’interno di un contesto storico, che spesso non coincide con la memoria dei singoli.

Enrico Campolmi

“Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo” – Dal 26 febbraio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW

Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo è un documentario Sky Original in due parti, prodotto da Sky e Palomar in associazione con Sky Studios in esclusiva dal 26 febbraio alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. La docuserie di e con Roberto Saviano, racconta di un uomo che cambia pelle, sapendo restare straordinariamente fedele a sé stesso, e di 30 anni di indagini per far riemergere la verità sul suo omicidio.

Con soggetto e sceneggiatura di Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e la regia di Giovanni Troilo, il documentario è un viaggio intorno a una figura straordinaria, capace di trasformarsi in tante vite diverse attraversando epoche e forme di lotta differenti, col suo carisma e il suo bisogno di cambiare senza però smettere di obbedire allo stesso principio guida: il costante desiderio di curare sé stesso e il mondo.

Una storia che culmina col suo omicidio politico, i depistaggi e gli anni di ricerche che sono stati necessari per ottenere verità e giustizia, nel labirinto di incompetenze e occultamento delle prove.

Rostagno rappresenta uno spaccato della storia italiana per 20 anni, dal 1968 al 1988, attraversando le lotte giovanili del 1968, l’esperienza ai vertici di Lotta Continua, la fondazione del centro sociale milanese per l’attivismo politico e l’espressione creativa Macondo, l’appartenenza all’ashram di Osho a Pune, la creazione del suo ashram siciliano trasformato in centro di riabilitazione per tossicodipendenti, Samaan. Ha sempre fatto parte di qualcosa, senza mai essere inghiottito ed etichettato, senza perdere la sua originalità. Rostagno, in tutte le sue vite, è sempre stato un personaggio scomodo, perché ha gridato a piena voce le sue convinzioni, approdando perfino a RTC, una piccola televisione locale, reinventandosi giornalista e denunciando le collusioni tra mafia e politica locale. Dopo l’omicidio di Rostagno, avvenuto il 26 settembre 1988, le indagini hanno preso mille direzioni diverse.

Un lungo, doloroso ed estenuante slalom prima di accertare la verità: ad uccidere Mauro è stata la mafia, su cui Rostagno stava caparbiamente indagando, contro cui stava lottando con la sua ironia feroce e la sua intelligenza infaticabile.

Redazione Italia

I crimini e le vittime del colonialismo italiano: una storia tutta da raccontare a partire da Yekatit 12 የካቲት ፲፪

Diversamente da altri Paesi del resto dell’Europa occidentale in cui la documentazione della storia coloniale, delle relative ambizioni di conquista territoriale e socio-economica, delle conseguenze dell’imperialismo e dei crimini compiuti dagli attuali Stati-nazione con i quali tali trascorsi sono identificati oggigiorno, in particolare per quanto riguarda gli imperi britannico, belga e francese, sono diffuse anche nelle pratiche culturali, educative e a livello di società civile, nei paesi dell’Europa meridionale un approccio costante e sistematico alla storia meno conveniente, ma non per questo meno reale, è ancora di lenta costituzione.

Questo vale in particolare per il caso italiano, per l’epoca fascista e la sua lunga coda, nonché per gli efferati crimini compiuti in Africa e a oggi ampiamente negati, sminuiti, tenuti lontani dai percorsi scolastici e collettivamente rimossi sul suolo europeo. Mentre su quest’ultimo i nazionalismi crescono in maniera esponenziale, il Governo italiano si affanna nel tentativo di costruire e alimentare il proprio rispolverando le antiche pratiche di vanagloria nazionalpopolare da testare altrove. Tra questo, rientrano nello schema, per esempio, quelle che passano dalla sperimentazione di pratiche al di là di qualsiasi razionalità usando l’Albania come unico e – si spera – ultimo avamposto nel quale rilanciare le pratiche coloniali del presente associate all’esternalizzazione e alla seduzione dei club di potere esclusivi ed escludenti, come quelli delle élite occidentali assetate di controllo di frontiere ma al tempo stesso a caccia tacita di manodopera a basso costo e senza tutele da tutte le latitudini dei quali lo stesso Governo italiano ambisce ad autoproclamarsi quale portavoce nel tentativo disperato di guadagnare una referenzialità mai realmente detenuta. 

Nel frattempo, il mese di febbraio già da diversi anni rappresenta il culmine delle iniziative dedicate alle vittime del colonialismo italiano e al recupero della memoria dei crimini perpetrati dal regime fascista con il consenso e finanche l’orgoglio di gran parte della popolazione dell’epoca. Anche quest’anno, le associazioni, i movimenti, i gruppi di attivisti e singoli accademici cosi come le università a le biblioteche che fanno riferimento alla rete “Yekatit 12 -19 febbraio” hanno costruito una programmazione intensa e diversificata di iniziative finalizzate a promuovere la conoscenza e consapevolezza del passato affinché anche in Italia la memoria del colonialismo e dei crimini perpetrati dal Regno d’Italia, in particolare nel corno d’Africa, possa essere accessibile e al centro di un lavoro di decostruzione della retorica fascista e del mito degli “Italiani brava gente”. Quest’ultimo risulta, infatti, ancora fortemente radicato persino in altre lingue europee e nei relativi immaginari che associano un ruolo mistificato di benevolenza ai criminali di guerra responsabili di atroci massacri e persino di uno dei primi genocidi perpetrati e riconosciuti come tali nella storia contemporanea ovvero il “genocidio in Libia”, noto in Libia con il termine ‘Shar’ (in Arabo: شر o ‘diavolo’), ovvero lo sterminio sistematico della popolazione araba e della cultura libica nel quale si stima l’uccisione di un numero compreso tra 20.000 and 100.000 persone da parte delle autorità coloniali italiane che rispondevano al regime fascista di Benito Mussolini e la deportazione di circa la metà della popolazione della Cirenaica in campi di concentramento.

Se nel dibattito pubblico l’immaginario coloniale è stato relegato nell’oblio fin dal secondo dopoguerra e solo negli ultimi decenni la storiografia ha iniziato a riscoprirlo, le città italiane conservano tracce evidenti di quel passato che tra statue, targhe, monumenti, e soprattutto nomi di vie e interi quartieri rimuove quei crimini nell’alterazione o nella totale assenza di didascalie. Un esempio emblematico è il quartiere che si sviluppo ai lati di corso Trieste del II Municipio di Roma, noto come “Africano” non per la una particolare composizione multiculturale di richiamo continentale, bensì per i 49 odonimi legati alla geografia coloniale, trasformando la toponomastica in stimolo narrativo e ricordando l’urgente necessità di risemantizzazione collettiva, nella capitale così come altrove. Similmente, la zona di Bologna denominata “Cirenaica” nel quartiere San Donato-San Vitale ricorda la deportazione di centomila civili dalla regione nord-orientale della Libia nei primi campi di concentramento moderni, presi a modello per la costruzione di quelli nazisti. A Parma, la stazione ferroviaria, una statua di Vittorio Bottego, a capo dell’occupazione di Asmara e di altre pagine nere del colonialismo italiano ma passato alla storia come “eroe esploratore” proveniente dalla provincia, è posta ancora fieramente e in bella vista all’uscita della stazione ferroviaria con tanto di presunti indigeni prostrati ai suoi piedi. A Modena, nella centralissima piazza Giacomo Matteotti, una targa celebra Guglielmo Ciro Nasi, comandante delle truppe coloniali, nonostante il suo nome figuri nella lista dei criminali di guerra denunciati dall’Etiopia alle Nazioni Unite e siano state presentate numerose petizioni per chiederne la rimozione. 

Negli ultimi anni, le passeggiate decoloniali organizzate da numerose associazioni e gruppi di artisti e anche da accademici stanno registrando un crescente interesse e ampia partecipazione, segno del bisogno di approfondire le capacità e gli strumenti per la lettura critica di interi quartieri che portano ancora segni visibili delle colonie e dei crimini connessi alle operazioni di conquista e di repressione che in alcuni casi, come per esempio in quello somalo, sono sopravvissute persino alla caduta del fascismo e si sono protratte fino agli anni Sessanta del secolo scorso. 

Tra i simboli e i luoghi di glorificazione di alcuni degli autori e dei responsabili dei più efferati crimini del colonialismo italiano, mai stati processati per tali fatti, come Rodolfo Graziani, noto come “macellaio del Fezzan” o “il macellaio di Addis Abeba”, in onore del quale la Regione Lazio ha eretto un mausoleo ad Affile, Pietro Badoglio il cui comune natale, Grazzano Monferrato nel Basso Monferrato Astigiano in Piemonte, è stato rinominato “Grazzano Badoglio” nel 1938, toponimo finora mai cambiato e il cui municipio ostenta ancora, anche nella comunicazione istituzionale, l’effigie del “maresciallo d’Italia” promuovendo la visita del Museo storico badogliano allestito nella casa in cui lo stesso maresciallo fascista aveva iniziato prima della sua morte a esporre cimeli provenienti dalle campagne militari, spiccano anche monumenti apparentemente poco visibili come quello ai Caduti di Dogali nei pressi della Stazione Termini di Roma. Si tratta di una colonna realizzata prendendo in prestito un obelisco egizio eretto a Heliopolis da Ramsete II nel XIII secolo a.C. e trasportato a Roma nel I secolo d.C. che dopo essere stata sottratto alla valorizzazione (o, ancor meglio, alla restituzione) della quale avrebbe potuto godere essendo stato ritrovato nel 1883 nei pressi della chiesa di Santa Maria sopra Minerva è stata incorporata nella composizione del primo monumento eretto a Roma nel momento in cui divenne capitale del Regno di Italia dedicato a 500 soldati caduti nella piana di Massaua in Eritrea durante la Battaglia di Dogali. Nel corso degli ultimi anni è diventato un luogo di ritrovo e di denuncia collettiva proprio in occasione di “የካቲት ፲፪ Yekatit 12”, che nel calendario copto ed etiope corrisponde al 19 febbraio, ovvero all’anniversario della strage di Addis Abeba compiuta tra il 19 e il 21 febbraio 1937 per mano di civili italiani, militari del Regio Esercito e squadre fasciste contro civili le cui stime più recenti fanno riferimento ad almeno 20.000 vittime. Le commemorazioni organizzate negli ultimi anni sotto l’obelisco sono state ispirate dalle necessità di estendere il ricordo delle 500 vittime di Dogali alle oltre 500.000 (stimate per difetto) vittime del colonialismo, del fascismo e dell’imperialismo italiano in Eritrea, Etiopia, Libia e Somalia e rinominare piazza dei Cinquecento in “Piazza delle Cinquecentomila vittime del colonialismo italiano in Africa”, per riprendere il filo della proposta di legge dal 2006, ripresentata poi nel 2023, anziché continuare a glorificare la segregazione imposta dal fascismo italiano in particolare nel Corno d’Africa che fu poi il modello delle leggi razziali del 1938 e dei campi di concentramento nazisti. 

Oltre a Dogali (1887), alla strage di Adua (1896), all’utilizzo dei gas chimici (tra cui l’iprite, in violazione delle convenzioni internazionali) in Etiopia (1935-1936) alla strage di Debre Libanos (1937), alle operazioni di sterminio contro le popolazioni Oromo e Amhara, e alla repressione della rivolta del Wadi al-Shati (1930), Yekatit 12 è considerato uno dei crimini più violenti del colonialismo italiano, parte di un passato imperialista che è stato costantemente arginato, fino a essere quasi totalmente rimosso, nel dibattito pubblico in lingua italiana, nei testi scolastici e persino nelle voci enciclopediche. 

La scelta del mese di febbraio, e in particolare quella della giornata del 19 febbraio, richiama quella che è tuttora giornata di lutto nazionale in Etiopia oltre a essere anche il nome della piazza di Addis Abeba dove un obelisco ricorda l’eccidio, e oggi è anche il nome della rete Yekatit 12 – 19 febbraio, costituita da decine di soggetti e associazioni impegnate contro la rimozione dalla memoria del colonialismo italiano e dei suoi crimini, con uno sguardo anche al razzismo contemporaneo, soprattutto quello istituzionale, alla xenofobia e discriminazioni multiple nei confronti delle persone afrodiscendenti.

Oltre alla proposta di estendere il ricordo dei morti di Dogali a tutte le vittime del colonialismo italiano nei paesi del continente africano, in particolare in Etiopia e in Eritrea, le organizzazioni della società civile, in particolare quelle che fanno riferimento alla rete Yekatit 12 – 19 febbraio, hanno organizzato numerose iniziative per tutto il mese di febbraio, in luoghi diversi che vanno dalla biblioteca “Guglielmo Marconi” di Roma, alla Libreria GRIOT, alla Scuola di giornalismo “Lelio Basso” fino alle aule consiliari e agli Istituti per la Memoria e per la Storia di numerosi comuni italiani, che oltre alle passeggiate decoloniali stanno ospitando anche tavole rotonde, presentazioni di libri, esposizioni, concerti e proiezioni, tra cui quella del documentario “Pagine nascoste” di Sabrina Varani promossa dal Comune di Ravenna nell’ambito del “Festival delle Culture 2025”. 

Sin dal 2023, la stessa rete Yekatit 12 – 19 febbraio sostiene, inoltre, la presentazione di una nuova proposta di legge per l’istituzione del “Giorno della Memoria per le vittime del colonialismo italiano”, dopo un precedente tentativo rimasto in giacenza sin dal  dal 2006, che vede questa volta quale prima firmataria l’Onorevole Laura Boldrini e chiede che Repubblica italiana di riconoscere il giorno 19 febbraio, data di inizio dell’eccidio della popolazione civile di Addis Abeba compiuto nel 1937, come un giorno di commemorazione pubblica istituzionale dedicato a tutte «le vittime del colonialismo italiano» in Africa. La proposta, che non ha ancora avuto un seguito concreto, è stata sostenuta anche da diversi Consigli comunali come quello del Comune di Torino che, con la mozione del 2024, aveva chiesto alla Giunta di fare appello al Parlamento italiano affinché approvasse tale proposta di legge.

Le commemorazioni in corso e gli sforzi volti all’approvazione della proposta di legge, al di là dell’intento celebrativo, mirano a sensibilizzare in maniera concreta l’opinione pubblica sui crimini coloniali italiani e a promuovere una riflessione collettiva sulle derive discriminatorie e xenofobe che formano ancora parte integrante della società e della politica italiana, nonostante gli atti di rimozione e di minimizzazione. 

In tale ottica, le iniziative organizzate in occasione del 19 febbraio o የካቲት ፲፪ Yekatit 12, rappresentano anche un momento significativo di «Aufarbeitung», ovvero atto di «elaborazione» del passato ancora respinto dalla memoria ufficiale e dalla presa di coscienza collettiva della popolazione. Il concetto di «elaborazione» – che riprendo dai testi di Paolo Jedlowski sulla memoria storica – si riferisce in questo contesto a una modalità del ricordo che sostituisce ai processi di oblio (che tendono a scartare tutto ciò che è problematico o inquietante) e ai meccanismi deliberati della volontà politica il confronto consapevole con ciò che il passato ha di più difficile a sostenersi, dando luogo così a un processo che può condurre a un’assunzione di responsabilità nei confronti della propria storia, soprattutto quella che si tende a nascondere e a proteggere dal giudizio del presente.

Nota di redazione: i caratteri che vedete sono aramaico, così come li hanno diffusi gli organizzatori delle iniziative.

Anna Lodeserto

Prossimo futuro n. 212  17 – 23 Febbraio

Bollettino di informazione della redazione di Pressenza sugli eventi della prossima settimana. Inviare le notizie a redazioneitalia@pressenza.com entro la domenica prima dell’evento.

 

APPUNTAMENTI FISSI

 

Digiuno nonviolento

Ogni domenica

Prosegue la staffetta dei digiunanti per la pace organizzata da Coordinamento Capitanata per la pace – Arca della pace

Per maggiori informazioni: ARCA DELLA PACE – Coordinamento Capitanata per la pace

calzoni.pa@gmail.com

 

Genova. ora in silenzio contro la guerra

 

Tutti i mercoledì dalle 18,00 alle 19,00 in piazza De Ferrari sui gradini del palazzo ducale

 

Torino

 

Presidio pacifista  tutti i sabato mattina dalle ore 11 in Piazza Carignano

 

Firenze

 

Ogni prima domenica del mese in Piazza dell’Isolotto dalle ore 9,30 per tutta la mattinata Insieme per la Pace, maratona di letture e testimonianze per la pace.

 

Roma

Appuntamento tutti i giovedì alle 18.15, davanti al Teatro dell’Opera di Roma, angolo via Torino. sfilata silenziosa di fronte al Viminale, sede del Ministero degli Interni, per protesta contro le politiche migranticide; organizza da Mani Rosse Antirazziste.

 

No Other Land: tutte le proiezioni del documentario

Wanted Cinema, con il patrocinio di Amnesty International Italia, è lieta di presentare il documentario No Other Land (2024), premiato alla Berlinale 2024 e agli EFA (European Film Awards) 2024 come Miglior Documentario. Questo film, realizzato da un collettivo palestinese-israeliano di quattro giovani attivisti, è stato co-creato durante i tempi più bui e spaventosi della regione, come atto di resistenza creativa contro l’Apartheid e come ricerca di un cammino verso l’uguaglianza e la giustizia.

L’elenco delle proiezioni e dei cinema dove è in programmazione su trovano qui:

https://www.wantedcinema.eu/it/article/no-other-land

 

APPUNTAMENTI DELLA SETTIMANA

Giro delle associazioni premiate con il Premio Alexander Langer 2024

Il Premio Internazionale Alexander Langer 2024 è stato attribuito alla collaborazione fra due organizzazioni, una palestinese e una israeliana. Youth Of Sumud (‘Gioventù della Perseveranza’) si fa interprete della resistenza nonviolenta palestinese nell’area delle colline a sud di Hebron in Cisgiordania, mentre Ta’ayush (‘Vivere Insieme’) è espressione della società civile israeliana che agisce per la convivenza pacifica tra palestinesi e israeliani.

Dal 10 al 28 febbraio 2025 i rappresentanti di Youth Of Sumud e Ta’ayush hanno intrapreso un viaggio toccando diverse città italiane – accompagnati da attiviste e attivisti di Mediterranea Saving Humans e Operazione Colomba e da rappresentanti della Fondazione Langer.

  • Bologna, 17.02, ore 20:30, Vag61, via Paolo Fabbri 110
  • Bolzano, 21.2, ore 17:30, Museion di piazza Siena 1– Cerimonia ufficiale di premiazione – Fondazione Alexander Langer 
  • Vipiteno, 22.2, ore 18, Stadttheater Sterzing – in collaborazione con la Biblioteca Civica di Vipiteno
  • Rovereto, 23.2, ore 19:00, Auditorium Campana dei caduti sul colle di Miravalle – Fondazione Alexander Langer in collaborazione con il Forum Trentino per la pace e i diritti umani e la Fondazione Campana dei caduti di Rovereto, 24.02, ore 20:30, Ex Centrale del latte, via Giacomo Medici 96A
  • Padova, 25.2, ore 17:30 Sala Rossini, Caffè’ Pedrocchi in Piazzetta Pedrocchi 8 – evento organizzato da Fondazione Alexander Langer, Mediterranea Saving Humans, Operazione Colomba, Assopace e diverse altre realtà
  • Reggio Emilia, 27.2, ore 18:00, Sala del Tricolore in Piazza Prampolini 1 – evento organizzato da Mediterranea Saving Humans, Europe for Peace,  Fondazione Alexander Langer e il Comune di Reggio Emilia.

 

Trasformare lo spirito umano per un mondo libero di armi nucleari

31 gennaio-23 marzo 2025 Chiostro di Santa Maria Novella – Piazza della Stazione, 6 Firenze

Mostra multimediale promossa dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

La mostra è aperta dal lunedì al giovedì, 9:00-19:00; dal venerdì alla domenica, 9:00-20:00; prenotazione necessaria per scuole e gruppi. Ingresso Gratuito

 

Incontro con Dacia Maraini

Lunedì 17 febbraio alle ore 18 al Cinema De Seta ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo sarà presentato il libro di Dacia Maraini Diario degli anni difficili (edizioni Solferino). Con l’autrice dialogherà il giornalista Felice Cavallaro. Letture di Valentina Todaro.

 

Lo Stato del potere

Lunedì 17 febbraio alla libreria Feltrinelli di Napoli alle ore 18 sarà presentato il libro di Carlo Iannello Lo Stato del potere. Politica e diritto ai tempi della post-libertà (Meltemi editore). Con l’autore interverranno F. Barbagallo, S. D’Acunto, V. Pinto e M. Villone. Una riflessione su Costituzioni ed economia a partire dallo storico Braudel.

 

Per una Costituzione della Terra

17 febbraio ore 18:30 San francesco della Scarpa, piazzetta Carducci , Lecce (LE)

Presentazione del libro “Per una Costituzione della terra-l’umanità al bivio” e conversazione con l’autore Luigi Ferrajoli presso Free home university in collaborazione con Custodidelboscodarneo, Costituente terra, youth med.

Per maggiori informazioni:

https://www.costituenteterra.it/il-manifesto-di-costituente-terra/?fbclid=IwY2x

Custodi del Bosco d’Arneo

Custodidelboscodarneo@gmail.com

 

Pace e Ambiente 

Il Centro Pace di Rovereto, in rete con altre associazioni, aderisce alla campagna “M’illumino di meno 2025” XXI edizione organizzando un incontro per riflettere sull’impatto che le guerre e le armi hanno sull’ambiente e l’inquinamento conseguente.

L’invito è per martedì 18 febbraio – ore 17.45 – al Centro Pace di Via Vicenza, 5 Rovereto

Proiezione dell’incontro “Le questioni ambientali e i conflitti: energia, risorse naturali, cambiamento climatico” con interventi di Sofia Basso, research campaigner pace e disarmo di Greenpeace e di Giuliano Garavini, Università Roma Tre.

 

Effetti collaterali dell’economia di guerra sulle nostre vite

19 febbraio ore 17:30 Palazzo Vernazza – Vicolo Vernazza,8, LECCE 

Assemblea dibattito.

Per maggiori informazioni:

https://www.facebook.com/share/p/18haEb3CLW/

Peacelink Nodo di Lecce -Rete Salento per la Pace

adrianadem@alice.it

 

Presentazione del rapporto sul genocidio di Israele a Gaza

 

Giovedì 20 febbraio, ore 18:30 Circolo ARCI Vie Nuove Viale Donato Giannotti, 13, Firenze

Presentazione del rapporto sul genocidio di Israele a Gaza, con Tina Marinari, coordinatrice delle campagne di Amnesty International Italia.

A seguire proiezione del reportage Investigating war Crimes in Gaza, reportage di Al Jazeera sui crimini di guerra commessi dai soldati israeliani a Gaza, curato da James Kleinfeld e introdotto da Richard Sanders, direttore di Al Jazeera Investigations. Il documentario è in lingua inglese e sottotitolato in italiano.

L’evento è promosso da Amnesty International Assopace Palestina ARCI Cospe Firenze Together For Change

 

“Tonino Miccichè sarai ricordato”

20 FEBBRAIO 2025 ORE 17-19 SMS DI RIFREDI (FIRENZE)

 

monologo teatrale con chitarra di e con Angelo Maddalena

introduzione e organizzazione a cura di Emanuela Bavazzano

 

Sgomberi, espulsioni e distruzioni di baracche

Giovedì 20 febbraio alla libreria Golem di Torino alle ore 18.45 sarà presentato il libro di Stefano Portelli Il diritto di restare. Espulsioni e radicamento tra Roma e Ostia (Carocci, 2024). Con l’autore dialogherà Manuela Cencetti, coautrice del film La versione di Jean sullo sgombero dei baraccati rumeni che vivevano a Lungo Stura Lazio, estrema periferia di Torino.

 

La pandemia delle disuguaglianze

Giovedì 20 febbraio alle ore 11.30 presso la sala stampa della Camera dei Deputati a Roma, la Rete dei Numeri Pari e Oxfam invitano i e le parlamentari a un momento di dialogo e confronto per il rilancio dell’agenda sociale nel nostro Paese, prendendo spunto dall’ultimo rapporto Oxfam sulle disuguaglianze.

Per approfondire:

I 7 punti dell’agenda sociale – https://www.numeripari.org/agendasociale/

Report #Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata – https://www.oxfamitalia.org/report-disuguaglianza/

Contatti 

info@numeripari.org – www.numeripari.org

policy@oxfam.it – www.oxfamitalia.org

 

Educare alla pace tra i venti di guerra

20 febbraio ore 08:30 Viale della galassie 2, Napoli (NA)

Per maggiori informazioni:

https://www.facebook.com/share/p/19hB4D9bXX/

Osservatorio no militarizzazione scuole osservatorionomili@gmail.com

 

S.O.S. Sale Cinematografiche: verso un tavolo per salvarle

Conferenza stampa/evento organizzata da Italia Nostra Roma il 20 febbraio 2025 dalle ore 9.30 presso la sede nazionale dell’associazione in Viale Liegi, 33 a #roma con lo scopo di discutere della grave crisi che sta colpendo le sale cinematografiche, con particolare attenzione al fenomeno delle chiusure e delle trasformazioni selvagge.

Vignarca a Palermo per il disarmo

Come posizionarsi, che scelte individuali e di gruppo possiamo fare oggi per contrastare la guerra e le folli spese per gli armamenti? Come uscire dall’incubo nucleare che ci sovrasta? Quale ruolo ha il nostro Paese e quale potrebbe avere?
Per cercare di rispondere a queste domande Comunità dell’Arca e Centro Palermitano del Movimento Nonviolento organizzano un incontro a Palermo con Francesco Vignarca, Coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo.
L’appuntamento è per domani, Venerdì 21 Febbraio 2025, alle ore 16,30 al Cre.Zi.Plus ai Cantieri Culturali alla Zisa – Pad. 10 e 11 Via Paolo Gili, 4 – PALERMO.

Arte, patrimoni culturali e costruzione della pace

Venerdì 21 febbraio, ore 17.30 Museo Archeologico Nazionale delle Marche – MAN Marche, Auditorium, Palazzo Ferretti, Via Gabriele Ferretti, 6, Ancona

Conferenza pubblica

L’educazione basata negli spazi come strumento di elaborazione delle memorie pubbliche e di insospettabili possibilità di partecipazione. 

Le memorie collettive e i patrimoni culturali come risorse per una più matura consapevolezza sociale.

I luoghi della cultura e della memoria e, in particolare, i musei per la pace come vettori di inclusione e di democrazia, come spazi per l’affermazione della «pace positiva», pace con diritti umani e giustizia sociale.

Sono questi i contenuti salienti del volume di Gianmarco Pisa, Le porte dell’arte. I musei come luoghi della cultura tra educazione basata negli spazi e costruzione della pace (Multimage, Firenze 2024), edizione bilingue in italiano e in inglese, con ricco corredo fotografico, prodotto della ricerca-azione nei luoghi del conflitto della ex Jugoslavia, volta a esplorare le ambivalenze e le potenzialità del patrimonio culturale, complessivamente inteso, ai fini della promozione della convivenza, del contrasto alla guerra, della costruzione della pace. 

L’evento, promosso dal Museo Archeologico Nazionale delle Marche, in collaborazione con il Centro Studi Nazionale Domenico Losurdo e l’Associazione Editoriale Multimage, vede gli interventi, con l’autore, di Laura Baldelli, docente, componente del Centro Studi Domenico Losurdo e redattrice della rivista Futura Società, Alessandro Volponi, docente e presidente del Centro Studi Domenico Losurdo. 

Posti limitati, prenotazione consigliata al numero 071-202602.

Ingresso gratuito all’auditorium per la presentazione, accesso con biglietto ordinario al percorso espositivo M A N Marche.

Infoline: https://www.facebook.com/MuseoArcheologicoAncona 

 

Biblioteca della Nonviolenza. Io voglio, tu non vuoi

Vieni al nostro Club del Libro! 

Unisciti a noi venerdí 21 febbraio alle 18:00 presso la Biblioteca della Nonviolenza per una serata di confronto, chiacchiere e tè caldo. 

Questo mese leggeremo ‘Io voglio, tu non vuoi’ di Pat Patfoort. 

https://energiaperidirittiumani.it/biblioteca/io-voglio-tu-non-vuoi-manuale-di-educazione-nonviolenta

 Ti aspettiamo a Via dei Latini 12/14! Roma

 

Solidarietà alla popolazione della Repubblica Democratica del Congo

Sabato 22 febbraio corteo a Palermo alle ore 15.30 partirà da piazza Crispi un corteo per denunciare la guerra dimenticata in Congo

(20+) Cgil Palermo – Esistono guerre che non fanno notizia e non… | Facebook

 

Sempre per costruire e creare e promuovere la pace

22 febbraio ore 17:30 ACLI LAMBRATE via Conte Rosso, 5 – Milano 

Presentazione con Laura Tussi e Fabrizio Cracolici. La follia del nucleare. come uscirne con la rete ICAN e Educazione e pace.

Per maggiori informazioni:

Vincenzo Casati acli.lambrate@libero.it

 

Fiera generosa, un mercato senza danaro

Domenica 23 febbraio dalle ore 10 alle ore 15 si svolgerà a Petralia Sottana (Palermo) una iniziativa di scambio reciproco, di dono e di solidarietà, “un’esperienza collettiva che valorizza le relazioni umane fuori dalle logiche di mercato”, fortemente voluta dal Circolo Operaio di Petralia e patrocinata tra gli altri da UniPa, Università Aldo Moro di Bari, Miur, Unione Europea.

info: ludovica.bargellini@unipa.it e alice.nortier@hotmail.fr

 

IoCiSto. Presidio Permanente di Pace presenta “Il cronico trauma della guerra” Donne e bambini le prime vittime

Il 23 febbraio alle ore 11:00, presso la libreria IoCiSto, a Napoli in Piazza Fuga, ci sarà la presentazione del libro di Maurizio Bonati Il cronico trauma della guerra. Donne e bambini le prime vittime.

La guerra rappresenta purtroppo una presenza costante nella storia umana e, oltre ai drammi che provoca nel corso del suo svolgimento, ha conseguenze devastanti sulla salute di tutti, anche per diversi decenni dopo la sua apparente conclusione. A pagare il prezzo più alto di una vita trascorsa a volte interamente in un contesto segnato dalla violenza diffusa e dall’esposizione alle ripercussioni materiali e morali del conflitto sono i bambini, gli adolescenti e le donne. A partire da questi osservazioni, Maurizio Bonati, medico, già responsabile del Dipartimento di salute pubblica e del laboratorio per la salute materno infantile dell’Istituto Mario negri IRCCS di Milano, ci offre una dettagliata documentata analisi delle prolungate conseguenze che ogni conflitto esercita sulla salute delle popolazioni coinvolte.il risultato è un quadro estremamente articolato che dimostra anche la profonda connessione delle problematiche esaminate.

L’incontro si svolge nell’ambito del programma di eventi del Presidio Permanente di Pace di IoCiSto, nato all’indomani dello scoppio dell’ultima guerra israelo-palestinese, da un’idea di un gruppo di soci della Libreria che non si sono arresi all’indifferenza e all’assuefazione e che si incontrano di domenica per parlare di PACE.

 

Redazione Italia

In flessione il mercato dei libri nel 2024

La sostituzione della 18app con le Carte Cultura e del Merito e il mancato finanziamento alle biblioteche per 30 milioni di euro sono alla radice della flessione del mercato dei libri di varia adulti e ragazzi nei canali trade nel 2024 (narrativa e saggistica a stampa venduta nelle librerie fisiche e online e nei supermercati): in assenza di queste due decisioni, il mercato sarebbe cresciuto a valore del 2,5% anziché calare dell’1,5%.

E’ quanto certifica un’analisi basata su dati di NielsenIQ-GfK, che è stata presentata di recente dall’Associazione Italiana Editori – AIE.

In particolare, AIE stima che nel 2024 le vendite di libri perse per effetto delle modifiche alle misure di sostegno alla domanda siano state pari a 62,7 milioni di euro.

Tale cifra avrebbe consentito al mercato librario di attestarsi a quota 1.596,5 milioni di euro anziché 1.533,8 milioni di euro, rispetto a un 2023 che si era chiuso a 1.557 milioni di euro.

E a sottolineare i motivi della flessione è stato il presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Innocenzo Cipolletta che ha spiegato che “l’analisi delle misure a sostegno della domanda di libri nel nostro Paese dal 2017 ad oggi ci dice due cose: la prima è che tali misure hanno avuto nel corso degli anni un effetto moltiplicatore, contribuendo a creare nuovi lettori e nuovi acquirenti.

La seconda è che hanno consentito al settore di attestarsi su un livello di vendite e di fatturato più alto, necessario per sostenere il processo di crescita ed evoluzione delle aziende e della filiera.

Quando tali misure vengono a mancare, il danno è quindi doppio.

Bene, quindi, il ripristino del fondo per le biblioteche per il 2025.”

L’Italia è in grande difficoltà rispetto a quanto accade a livello europeo.

Nel 2024 in Italia la vendita di libri per adulti e ragazzi nel mercato trade è stata di 103,987 milioni di copie, in calo del 2,3% rispetto all’anno precedente, pari a 2,458 milioni di copie comprate in meno.

A valore la flessione è dell’1,5%, pari a 23,2 milioni di euro di minori vendite rispetto a un mercato complessivo di 1.533,8 milioni di euro.

Il -1,5% dell’Italia a valore pone il Paese in coda rispetto alle maggiori editorie europee: la Germania cresce dello 0,9%, il Regno Unito cala dello 0,6%, la Francia cala dello 0,3%, la Spagna cresce del 9,8%.

La flessione del mercato è disomogenea rispetto alla dimensione degli editori: i gruppi e le case editrici con vendite superiori ai 5 milioni di euro sono in calo dello 0,1%, gli editori da un milione a 5 milioni di venduto sono calati del 9,3%, quelli sotto il milione del 2,5%.

E’ l’online ad essere particolarmente in crisi: nei 12 mesi i canali online hanno venduto 26,3 milioni di euro in meno di libri rispetto al 2023, sono 6,7 milioni di euro le minori vendite della grande distribuzione.

Le librerie, indipendenti e di catena, sono invece cresciute di 8,8 milioni di euro, ma non sono riuscite a intercettare completamente le minori vendite fatte registrare dall’e-commerce.

Tra i generi, cresce solo la narrativa italiana (3,2%) e straniera (0,9%), mentre il settore bambini e ragazzi è in flessione dello 0,8%, la saggistica generale del 2%, la manualistica del 4,1%, la saggistica specialistica del 5,1% e i fumetti del 5,5%.

Sono numeri che si riflettono nella top 10: sette i titoli di autori italiani presenti, di cui sei romanzi.

Ma il libro più venduto nel 2024 è un saggio (uscito a settembre).

Il digitale vale oltre 100 milioni e cresce.

Al mercato dei libri a stampa si aggiungono vendite nel digitale pari nel 2024 a 114,2 milioni di euro.

Le vendite riferite agli audiolibri (abbonamenti) sono pari a 30 milioni di euro, in crescita del 7,1% rispetto l’anno precedente, le vendite di ebook 84,2 milioni di euro, in crescita del 4%.

L’AIE ha anche stilato la classifica dei dieci titoli più venduti nel 2024: 1. Il dio dei nostri padri. Il grande romanzo della Bibbia, A. Cazzullo, Harper Collins (Settembre 2024); 2. Un animale selvaggio, J. Dicker, La nave di Teseo (Marzo 2024); 3. La portalettere, F. Giannone, Nord (Gennaio 2023); 4. Tatà, V. Perrin, e/o (Novembre 2024); 5. L’età fragile, D. Di Pietrantonio, Einaudi (Novembre 2023); 6. L’orizzonte della notte, G. Carofiglio, Einaudi (Febbraio 2024); 7. Come l’arancio amaro, M. Palminteri, Bompiani (Giugno 2024); 8. Il canto dei cuori ribelli, T. Umrigar, Libreria Pienogiorno (Aprile 2024); 9. Domani, domani, F. Giannone, Nord (Giugno 2024); 10. Il passato è un morto senza cadavere, A. Manzini, Sellerio (Ottobre 2024).

Qui i dati dell’Ufficio Studi AIE: https://www.aie.it/Portals/_default/Skede/Allegati/Skeda105-10237-2025.1.31/Presentazione_mercato_2024_Venezia_SUEM.pdf?IDUNI=0bsmfaq4msbsr24qjepxyxn2839.

Giovanni Caprio

Bentornata, Dacia!

Ritorna a Palermo, Dacia Maraini, dopo poco più di un anno, per presentare il suo ultimo libro, Diario degli anni difficili edito da Solferino. Ritorna al cinema De Seta ospite della libreria Modusvivendi che ne ha promosso e curato l’evento.

Mentre il pubblico si appresta a riempire la sala, lei è già lì, in attesa di salire sul palco insieme alla stessa squadra di allora. Con lei ci saranno come un anno fa, infatti, Felice Cavallaro, editorialista del Corriere della Sera e l’attrice Valentina Todaro.

Basta leggere il sottotitolo, Con le donne ieri, oggi e domani, per sapere che anche stavolta sarà una lettura interessante della storia attraverso gli occhi e le parole di una donna che parla di donne e attraverso loro e la violenza subita dal sistema patriarcale, affronta non solo i fatti ma anche le contraddizioni e i misfatti di quelli che lei riconosce come anni difficili non solo del nostro recente passato ma, ahimè, soprattutto del nostro presente e, come si chiede e ci chiede Felice Cavallaro, probabilmente anche del nostro futuro.

Con la puntuale attenzione che gli è propria il giornalista avvia quella che sarà una conversazione impreziosita dalla lettura di alcuni brani dalla raccolta di articoli, con diversa datazione, in cui l’autrice dà voce alle donne e ai deboli, riscatto del silenzio della sua Marianna Ucria, in un mondo in cui il linguaggio si fa sempre più povero e stereotipizzato soprattutto nel definire il bene e il male, e così facendo semplifica la complessità del reale.

È così per la democrazia e il suo contrario, dove per la prima il bene non corrisponde alla sua definizione e l’esito di una votazione può essere un inganno e il male di una dittatura è il prodotto di un amore tossico, quando un popolo intero “sbaglia innamorato”, dando il proprio consenso a chi si presenta come un salvatore e invece è un criminale. E qui il riferimento passa dalla Germania di Hitler all’America di Trump e al voto dei latinos che hanno contribuito a decretarne la vittoria.
E, nella conversazione, i temi si rincorrono e si intrecciano, proprio come le singole storie delle donne nel farsi Storia.

Aborto e stupro.
Inevitabile il primo, come esito dello storico controllo del patriarcato sul corpo delle donne e delle loro scelte, unico modo di riappropriarsene in un mondo in cui solo da pochissimo e troppo spesso in modo conflittuale le donne hanno avuto accesso a quella che per Maraini è l’unica vera alternativa, la maternità responsabile attraverso la contraccezione.

E dalla storia si parte anche per affrontare il tema dello stupro, “lecita” azione di guerra in cui chi stupra agisce simbolicamente per assicurarsi futuro mettendo il proprio seme nel ventre del nemico. E nel riferirsi ai più recenti fatti di cronaca, dalle violenze del branco alla giovanissima uccisa e bruciata dal fidanzato, ci ricorda che la virilità identificata ancora col possesso fa “impazzire” soprattutto gli uomini più fragili, che non accettano i cambiamenti teorizzati dall’autonomia femminile.

Lo sguardo si allarga così al mondo laddove la violenza si abbatte sulle donne coraggiose in modo sistematico nel togliere loro la parola attraverso il carcere e la tortura quotidiana e delle quali non bisogna smettere di parlare, di scrivere, per evitare la rassegnazione anche della parola.
Parlare soprattutto ai ragazzi e alle ragazze, entrare nelle scuole, affrontare il loro scoraggiamento di cui la stessa Maraini è stata ed è testimone, reduce nella mattina da un incontro con studenti e studentesse di un liceo, e tante tappe ha ancora in programma anche nelle province.
Parlare e invitarli ad andare a votare. Questo è il compito degli intellettuali, dei giornalisti, degli insegnanti in questo tempo di crisi della democrazia: agire sul piano culturale.

E sullo stesso piano bisogna confrontarsi con le donne che arrivano velate, e il riferimento è ad una serie di articoli sul velo, sul linguaggio degli abiti e sulla moda. Moda anche intellettuale basata su idee che la gente assorbe inconsapevolmente come il ricorso al pensiero irrazionale e il rifiuto della scienza in un proliferare di santoni, indovini, veggenti. No vax e terrapiattismo. Può essere questo un modo perverso di reagire al consumismo?

E poi l’immancabile domanda sulla vita privata, presente negli articoli dedicati ad Alberto Moravia ed Elsa Morante e la sua risposta, che parla di amicizia e libertà a partire dallo sguardo di una donna che nel raccontare sembra rivivere con leggerezza e serenità i momenti più belli della sua vita e, passando dal racconto delle vite delle altre donne, Frida Kahlo e il suo amore per Rivera, continua a raccontare la storia degli uomini, Rivera e Trotzkj, del comunismo, dei suoi ideali di società di uguali e della sua fine in una dittatura burocratica e così, parlando di Georgia, Moldavia, Ucraina e Cecenia torna a parlare di donne disobbedienti e coraggiose come Anna Politkovskaja.

Nel rispondere alle domande, guerra e sentimento di sconfitta, fallimento e mancanza di empatia, ci dice che bisogna continuare a parlare, parlare e protestare, pacificamente è chiaro, scendere ancora in piazza e, nonostante tutto, nonostante la divisione della sinistra e le tre paure presenti oggi nel mondo, pandemia, crisi economica e cambiamento climatico, essere irrimediabilmente ottimisti.

Maria La Bianca

Presenza di pace a Torino

Da 155 settimane (tre anni), ogni sabato alle 11, in piazza Carignano di Torino, dall’inizio della guerra di Ucraina, poi di Gaza, si radunano con ogni tempo diverse decine di persone, per una “Presenza di Pace”: un’ora di letture, informazioni, riflessioni, proposte, collegamenti internazionali, contro le varie guerre in corso. Si termina con un minuto di silenzio per tutte le vittime.

In molte altre città d’Italia ogni settimana si tengono simili manifestazioni non clamorose né chiassose, ma serie e tenaci.

L’iniziativa è del coordinamento AGiTe, cui aderiscono molte associazioni locali che sono contro le armi nucleari, messe al bando dall’Onu nel trattato del 2017, che proibisce non solo l’uso, ma la semplice detenzione di tali armi, in vigore per tutti i paesi dal gennaio 2021. L’Italia, con la Nato, deplorevolmente non ha ancora voluto aderire a questo impegno contro la guerra.

Chiediamo ai media locali (giornali, tv, radio…) che hanno finora mancato completamente di dare notizia di informare su questa tenace e seria testimonianza della volontà popolare di pace.

Coordinamento AGiTe

La compagnia teatrale Kepler-452 porta sul palco il soccorso in mare

Prima assoluta all’Arena del Sole a Bologna il 27 febbraio.

Il soccorso in mare va in scena, a teatro, con A place of safety – Viaggio nel Mediterraneo centrale, uno spettacolo ideato dalla compagnia Kepler-452 che ha navigato con Sea-Watch 5 a luglio 2024, soccorrendo 156 persone. Quell’esperienza è diventata uno spettacolo che porta sul palco le emozioni le riflessioni e le voci della società civile in mare.

Lo spettacolo è prodotto da Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Théâtre des 13 vents CDN Montpellier e in collaborazione con Sea-Watch e EMERGENCY.

Dopo il successo nazionale e internazionale de Il Capitale, che portava in scena la lotta degli operai del Collettivo di fabbrica GKN, Kepler-452 ha scelto di raccontare l’epocale sfida del soccorso in mare e delle sue evoluzioni negli anni. Fanno parte dello spettacolo storie decine di testimonianze di ricerca e soccorso nel Mediterraneo che diventano, nella drammaturgia, le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, a ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, al soccorso, fino poi al viaggio di ritorno verso il porto sicuro di sbarco.

A place of safety debutta al Teatro Arena del Sole di Bologna il 27 febbraio e, dopo quattro repliche, quasi sold out, tornerà in scena da ottobre in Italia e in Europa. Insieme ai soccorritori e all’attore Nicola Borghesi, fa parte del cast Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch.

“Vogliamo raccontare i dieci anni di soccorsi nel Mediterraneo centrale con un linguaggio nuovo” – spiega Linardi. Il teatro ci consente di abbracciare una prospettiva intima, che pone al centro l’impegno civile in mare attraverso le persone che si imbarcano alle frontiere d’Europa, indagandone le ragioni e contraddizioni. Portare il soccorso in mare sui palchi d’Italia è una grande responsabilità e un’opportunità unica di incontro con nuove persone, mentre con le nostre navi e i nostri aerei continuiamo a presidiare il Mediterraneo. Siamo felici di farlo nelle mani della Fondazione Emilia Romagna Teatro e della compagnia Kepler-452, che da anni con i suoi spettacoli avvicina il teatro alla realtà, e questa volta ha scelto di salire a bordo con noi per sentire e vivere quello che sentiamo e viviamo ogni giorno”.

Sea Watch