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Russia

Incontro Mattarella – Herzog: diritto internazionale à la carte

Assopace Palestina afferma la sua indignazione e sconcerto alla calorosa accoglienza riservata ieri dal nostro Presidente della Repubblica Mattarella al Presidente israeliano Herzog, nel corso del secondo incontro ufficiale dall’inizio delle operazioni militari contro Gaza e Cisgiordania.

Il nostro Presidente della Repubblica, a nome di tutti gli italiani, ha affermato che “La sua presenza a Roma è un onore per la Repubblica italiana”, passando poi a parlare esclusivamente dell’impegno dell’Italia contro l’antisemitismo che, a suo dire, sarebbe aumentato, ma non ha espresso neanche una parola sulla situazione nei territori palestinesi e sul piano di deportazione e pulizia etnica della Palestina in primo luogo dei Gazawi, nemmeno una parola di dolore e di vicinanza alla popolazione palestinese cosi colpita dall’aggressione israeliana.

Ci preme ricordare che Herzog è colui che, il 12 ottobre 2023, dichiarò “è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, che non sono coinvolti, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto insorgere, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio […] noi combatteremo fino a quando non spezzeremo loro la spina dorsale.”; è colui che si è fatto ritrarre in foto mentre scriveva “mi affido a te” sui missili destinati a colpire qualche casa, ospedale, scuola o tendopoli di Gaza; è colui che ha attaccato l’Onu, la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale di “bancarotta morale” perché hanno osato condannare i numerosi crimini compiuti contro la popolazione inerme di Gaza. E ricordiamo, infine, che le dichiarazioni di Herzog sono state allegate al fascicolo presentato all’Aja come una delle prove dell’intenzionalità di colpire i civili e quindi dell’avvenuto genocidio.

Ebbene, ci chiediamo quale dissonanza cognitiva abbia portato il nostro Presidente della Repubblica a ricordare e difendere giustamente il diritto internazionale quando si è trattato di criticare la Russia, e dimenticarsene completamente quando ha accolto a braccia aperte il presidente di uno stato accusato di genocidio presso la più alta Corte di diritto internazionale.

Chiediamo al nostro Presidente di dichiarare la sua vicinanza e il suo dolore per l’ingiustizia e le sofferenze subite del popolo palestinese e la necessità di riconoscere lo Stato Palestinese.

Ricordiamo, infine, che mentre si reitera la linea dei due popoli e due stati sempre ieri, nel frattempo il Senato della Repubblica respingeva una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina, promossa dal m5s e sostenuta da AVS e PD, ma bocciata a causa dei voti contrari di 80 senatori di tutti gli altri schieramenti. Un’altra pagina triste della nostra politica.

Luisa Morgantini – Presidente di Assopace Palestina
luisamorgantini@gmail.com , assopacepalestina@gmail.com
tel +39 348 392 1465

Assopace Palestina

Guerra e pace in Ucraina. La tragedia e la farsa

Capita spesso nella storia che la tragedia si trasformi in farsa per farsi ancor più tragedia, con l’approssimarsi della catastrofe che si manifesta nell’evidenza del ridicolo.
I giochi di guerra che attraversano da qualche anno l’Ucraina mutano improvvisamente i termini della propria narrazione secondo i capricci del nuovo amministratore delegato dell’impero occidentale a conduzione nordamericana. I presunti protagonisti di ieri divenendo comprimari, secondo i voleri del padre padrone, mostrano la loro natura di insignificanti pedine.

Confesso che provo quasi compassione per la sorte toccata nell’attuale congiuntura a Zelensky, il giullare di Kiev, dopo le ultime sparate di sua prepotenza Trump, il nuovo padrone d’oltre oceano. Eppure il servo ucraino a modo suo ce l’aveva messa tutta per fare contenti i suoi padroni.
Divenuto presidente di un paese segnato dal sanguinoso colpo di Stato di piazza Maidan, dalla presenza dei neonazisti inquadrati in formazioni militari istituzionali, e colpevole di avere disatteso gli accordi di Minsk sulla concessione dell’autonomia nelle regioni russofone, aveva cercato di barcamenarsi come poteva dai confini dell’impero, di fronte alle pretese del colosso russo.

Prima ancora dell’inizio della guerra e soprattutto appena dopo che il fragore delle armi aveva preso il sopravvento, con la mediazione della Turchia, delle trattative di pace c’erano pur state, e seppure non in modo definitivo, una base di possibile accordo era stata prefigurata (adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla NATO, con ridimensionamento dell’esercito ma con garanzie internazionali di difesa in caso di necessità, rimandando a futuri incontri bilaterali le spinose questioni territoriali).

Come si sa il tavolo fu fatto saltare dalla diplomazia americana e da un indemoniato Boris Johnson, primo ministro inglese, che si precipitò a Kiev per ordinare che nessuna pace doveva essere fatta e che la Russia poteva essere sconfitta. Il buon soldatino ucraino rispose “ubbidisco”, facendo forse un favore allo stesso Putin che probabilmente dalla prosecuzione delle ostilità avrebbe potuto ottenere anche di più.

Da quel momento, per condurre la sua guerra per procura nell’interesse dell’Occidente globale, Zelensky ha fatto incetta di denaro e di armi dando in cambio la vita dei suoi compatrioti, se necessario fino all’ultimo uomo.

Io non oso pensare (anche per non piegarmi in due dalle risate in una situazione così drammatica) quale possibile faccia abbia potuto fare il burattino ucraino nel sentire Trump definirlo un comico mediocre e un dittatore, indicandolo addirittura come il principale responsabile della guerra; lui, poveraccio, che altro non aveva fatto se non ubbidire agli ordini che gli venivano impartiti.

Pare che ora, per il nostro uomo, si prospetti un esilio in Francia. Estremo segno di generosità nei confronti dello schiavo, cui viene risparmiata la vita, ma non l’ignominia, da parte del signore e padrone d’oltre oceano, il quale in cambio della sua promessa di pace si prenderà le terre rare dell’Ucraina, che sono di fatto l’unica vera ricchezza del paese, alla faccia di un popolo costretto a combattere nell’interesse di altri. Ma si sa che chi è schiavo deve farsene una ragione (a meno di non essere capace di ribellarsi. Ma questa è un’altra storia).

A dire il vero, quanto detto a proposito del mentecatto di Kiev, lo si potrebbe ripetere per i leaders europei che hanno costretto i loro paesi e i loro popoli a dissanguarsi fornendo risorse ed armi per una guerra che non gli apparteneva; che hanno accettato in silenzio di tutto, a partire dall’obbligo di dovere rinunciare al gas russo a favore di quello molto più costoso proveniente dal nord America. Oggi la loro dedizione al padrone d’oltre oceano viene ricompensata con la concessione di poter accogliere l’Ucraina nella UE in modo da accollarsi tutte le spese della ricostruzione, lasciando le risorse del paese a chi vuole “fare l’America di nuovo grande”.

Certo l’Europa, pur nella ormai certa decadenza, conta qualcosina di più rispetto all’Ucraina, e qualcuno tenta timidamente di prendere la parola per far sentire anche la voce del vecchio continente. Ci ha provato Macron, il quale però piuttosto che polemizzare apertamente con Trump, ha preferito proporre un atto di grandeur “alla francese”, ipotizzando l’invio di 30.000 uomini in difesa del territorio ucraino.

Per fortuna con ogni probabilità il progetto fallirà per eccesso di presunzione e l’Europa si rassegnerà al suo ruolo sempre più insignificante. La proposta tuttavia, nella sua smania guerrafondaia e nella sua velleità, ripropone l’insano connubio tra il terrore e l’orrore del tragico con il comico e il ridicolo della farsa.
(Putin intanto se la ride dalla poltrona di casa sua.)

Antonio Minaldi

La svolta del 2024 e 2025 per l’Ucraina: la diserzione è diventata la tendenza dominante a livello nazionale

Il testo che segue è la traduzione di un reportage uscito a firma del Gruppo Assembly – Kharkiv, assembly.org.ua 

Il rapido collasso dell’esercito di Bashar al-Assad in Siria, che si è sgretolato tra il 27 novembre e l’8 dicembre, ha attirato molta attenzione in Ucraina. Per moltə nel Paese, è diventato l’evento principale della fine del 2024. Si è creata una situazione paradossale: la propaganda ufficiale ucraina elogia i successi delle forze filo-NATO e filo-turche contro Assad come una brillante vittoria sulla Russia, mentre allo stesso tempo lo stesso dittatore ucraino sostenuto dalla NATO rischia sempre più di seguire il destino di Assad.

Negli ultimi giorni di novembre, i media mondiali in lingua inglese hanno confermato ciò che Assembly aveva denunciato durante tutto l’autunno. ABC News, citando “un legislatore esperto di questioni militari”, ha scritto che in Ucraina potrebbero esserci addirittura 200.000 disertori e che “si tratta di un numero sconcertante da qualsiasi punto di vista, visto che si stima che ci fossero 300.000 soldati ucraini impegnati in combattimento prima dell’inizio della mobilitazione“. Ha anche riconosciuto che la diserzione è stata una delle ragioni principali della caduta di Ugledar [Vuhledar]. Il Financial Times ha aggiunto che alcuni di coloro che hanno abbandonato la 123ª Brigata di Difesa Territoriale a causa della loro riluttanza a difendere Ugledar sono già tornati al fronte, mentre altri si nascondono e altri ancora sono stati arrestati. Lo stesso articolo riporta anche, citando un esponente del servizio di sicurezza polacco che vuole restare anonimo, che ogni mese una media di 12 soldati ucraini disertano dai campi di addestramento in Polonia. Cosa di cui avevamo relazionato già da tempo.

Secondo l’Ufficio del Procuratore generale dell’Ucraina, nel mese di novembre del 2024 sono stati registrati 18.984 nuovi procedimenti penali ai sensi degli articoli 407 e 408 del Codice penale ucraino (abbandono non autorizzato di un’unità e diserzione). Si tratta di un numero quasi doppio rispetto a ottobre 2024, quando sono stati registrati 9.487 casi in base a questi stessi articoli. Nel dicembre 2024 sono stati registrati 17.593. Nel gennaio sempre dello scorso anno, i procedimenti erano solo 3.448. In totale, dal febbraio 2022 al 1° dicembre di quest’anno, sono già stati registrati 114.280 procedimenti penali per casi di diserzione e assenza dal servizio. Il giornalista pro-Trump di stanza a Kiev Volodymyr Boiko, anch’egli combattente nella 241ª Brigata di Difesa Territoriale, ha pubblicato un post al riguardo il 7 dicembre:

L’esercito ucraino può essere già considerato defunto. Inoltre, anche se sono state registrate nel mese di novembre 2024 19.000 segnalazioni [di fughe], ciò non significa affatto che questo sia il numero reale di militari che hanno disertato. 19.000 è, infatti, il numero più alto possibile che può essere registrato in questa categoria di reati. Perché in ogni caso, il comandante dell’unità militare deve prima istruire un’indagine ufficiale, esaminare e approvare i risultati dell’indagine ufficiale, inviare un rapporto sul reato commesso all’Ufficio investigativo dello Stato o a un ufficio dedicato della procura, e lì il rapporto deve essere esaminato e infine registrato. Le unità militari non dispongono di un numero di specialisti tale da poter condurre indagini ufficiali di tale entità, né l’ufficio del procuratore e l’ufficio investigativo dello Stato hanno dipendenti sufficienti per inserire nel registro decine di migliaia di rapporti sulla diserzione”.

In questo contesto, il 21 novembre è stata approvata la legge 4087-IX ed è entrata in vigore il 29. Secondo questa nuova legge, coloro che si rendono colpevoli di abbandono non autorizzato della propria unità (SZCh in ucraino, SOCh in russo) o di diserzione non solo possono tornare volontariamente a prestare servizio senza essere puniti penalmente, ma anche possono continuare il servizio militare obbligatorio o a contratto. L’unico obbligo era quello di rientrare in forza entro il 1° gennaio 2025. Poi il Parlamento ha prorogato il termine per il ritorno senza responsabilità penale fino al 1° marzo 2025 – a quanto pare, non sono in molti a volerlo fare.

Il mese scorso, una conduttrice del canale YouTube delle donne militari ucraine ha raccontato che nei pressi di Kupyansk, nella regione di Kharkov, quasi tutta la seconda compagnia del 152° Battaglione della 117° Brigata di Difesa Territoriale ha disertato a causa del loro “comandante macellaio”. Il corrispondente di guerra ucraino Yury Butusov ha raccontato lo scandalo della 155ª Brigata meccanizzata “Anna di Kiev”, addestrata in Francia e inviata a Pokrovsk. Sono state reclutate diverse migliaia di persone che erano state costrette a salire sugli autobus per la leva, e più di mille di loro “sono tornati a casa immediatamente dopo l’arrivo”. Nel post del 31 dicembre, spiega che ancor prima che la brigata avesse sparato il primo colpo, 1.700 militari se ne sono andati senza permesso. In seguito, l’Ufficio di Stato per le indagini ha iniziato ad esaminare quanto accaduto. Secondo Butusov, la 155ª Brigata si è addestrata in Francia a ottobre. Già allora 935 uomini aveva abbandonato l’unità senza permesso. In seguito, più di 50 soldati si sono dileguati. Per questa scandalosa formazione sono stati spesi più di 900 milioni di euro. Meno noto è che l’8 gennaio l’Ufficio di Stato per le indagini ha arrestato un tenente superiore di questa brigata, per aver abbandonato l’unità e ha incitato i suoi sottoposti a fare altrettanto. È stato portato dalla regione di Rivne a Kiev e messo in custodia senza cauzione.  “Si è presentato un suo collega di lavoro, è stato costretto a salire su un autobus. [È stato] mobilitato in primavera, ed è scappato dal fronte di Zaporozhye. Ha detto che, quando hanno cominciato a essere fatti a pezzi con tutto quello che avevano, hanno deciso di tornare a casa. L’intera compagnia è entrata in SZCh insieme al loro comandante. Che senso ha se vengono catturati? Non importa. Ora è a casa. Vivo”, ha scritto qualcuno il 18 dicembre nella chat locale di Saltovka [Saltivka è una vasta area residenziale situata nella regione nord-orientale di Kharkiv].

Il 25 novembre, alcuni dei meccanismi utilizzati per combattere la fuga delle reclute sono stati descritti nel gruppo pubblico UFM di Telegram, nato per l’aiuto reciproco per attraversare il confine evitando i posti di blocco.

Il problema principale dei campi di addestramento è che lì tutti si controllano l’un l’altro, perché nelle formazioni ti dicono subito che lo SZCh è riprovevole e che per uno SZCh non riuscito ti picchieranno duramente. E parlano subito di responsabilità collettiva: se qualcuno lascia la tua tenda, allora ricorreranno brutalmente tutti quelli che sono nella tenda.
Il plotone vicino è stato inseguito tutta la notte quando uno di loro è scappato. Sono stati inseguiti nelle trincee per tutta la notte, come un grido d’allarme, svegliati con granate da addestramento, flessioni con l’intera compagnia in tenuta completa, in breve, scherniranno tutti fino in fondo, in modo che tutti sappiano che, se il tuo compagno d’armi scappa, per te ci sarà l’inferno. […].

Tuttavia, un disertore della regione di Kiev, che ha voluto rimanere anonimo, ha un’esperienza leggermente diversa:

“Certo, c’è un fondo di verità in tutto questo. Ma non tutto è così nero. Ora i campi di addestramento sono composti quasi al 100% da persone che sono state mobilitate con la forza. Le compagnie di addestramento sono leggermente diluite con idioti ideologici e zelanti ed anche con donne. Il restante 99% è costituito da potenziali SZCh. E questo lo sanno tutti molto bene. E questa è già una base di solidarietà. Nella mia compagnia al campo di addestramento di Yavoriv, quando un altro soldato scompariva, molti gli auguravano buona fortuna ad alta voce. E questo accadeva quasi ogni giorno. Naturalmente, venivamo tormentati quando dovevamo correre nelle trincee, quando ci portavano via le razioni e tutto il resto. Ma dato che ogni giorno qualcuno fuggiva, non so proprio cosa sarebbe successo se nessuno fosse fuggito.
Sono stato preso il 17 giugno. Sono fuggito il 30 giugno. Sono partito per la Romania il 25 settembre. […]”.

Coloro che vengono arrestati a Kharkov vengono solitamente inviati per l’addestramento non nella parte occidentale del Paese, ma nella regione di Dnepropetrovsk, a est. Questa testimonianza del 29 novembre racconta cosa li aspetta:

L’altro ieri un compagno è stato impacchettato [dalla strada], ieri era già in addestramento, a Dnipro, a 120 km dal fronte. Il convoglio è stato notevolmente rinforzato, è impossibile fuggire, come in un campo di concentramento. Il giovane pastore è stato picchiato, perché si era rifiutato di arruolarsi… La mobilitazione dei sacerdoti, come vediamo, è più importante della mobilitazione della polizia.
È quello che sta succedendo ora… E coloro che si rifiutano di agire vengono mandati a zero [all’avanguardia in prima linea]. Una compagnia di avatar [soldati che bevono]. Sono scomparsi senza lasciare traccia… Senza documenti, senza carta di circolazione. Sono stati semplicemente rapiti e fatti a pezzi. Brutalmente. Ti tolgono i telefoni, i documenti, non gliene frega niente di dove vuoi andare. Se non sei un vice, non gliene frega niente. C’era un tizio, un pastore, l’hanno buttato a terra, picchiato… L’hanno portato a zero da qualche parte… È pieno di sorveglianza, e posti di blocco in città, e sparsi ovunque. [Si poteva andare in bagno solo con un anziano. Si può andare in negozio – con uno scontrino e solo con un anziano, al massimo di 5 persone alla volta
…”.

Se tutto questo è vero, significa che il metodo di “portare a distanza zero” è utilizzato nelle truppe ucraine per sbarazzarsi degli indesiderabili, come avviene nelle unità russe sul fronte orientale. […]

Anche le ribellioni individuali contro lo Stato e la guerra sono diventate più frequenti dopo il calo iniziale dell’autunno. A novembre abbiamo registrato almeno quattro casi nella sola Kharkiv. In particolare, un uomo di 39 anni, dopo essere fuggito dall’esercito un anno e mezzo fa, ha affrontato con le armi i poliziotti giunti nel suo appartamento in risposta alla sua minaccia di uccidere un poliziotto di pattuglia. Aveva un fucile automatico, una pistola e delle granate. Tuttavia, è stato preso in custodia senza sparare un colpo. Il 27 novembre, nel villaggio di Trostyanets, nella regione di Vinnytsia, un uomo di 57 anni si è presentato al centro di arruolamento in risposta a una convocazione e ha accoltellato alla clavicola destra un sergente di 53 anni della struttura, mandandolo in terapia intensiva con ferite alle arterie. “Perché voleva mandarmi in guerra”, ha spiegato l’uomo. La notte del 28 dicembre, tre veicoli della guardia di frontiera sono stati incendiati nella città di Chop al confine della Transcarpazia: Mazda, Peugeot e KIA. Un residente locale di 22 anni, dopo essere stato fermato dalla polizia, ha spiegato il suo gesto durante l’interrogatorio indicando le sue “rapporti ostili” con i proprietari dei mezzi.

Alle 20 circa del 13 gennaio, in una delle strade principali di Kharkiv, le persone hanno bloccato la strada a un “autobus dell’invincibilità” del centro di arruolamento distrettuale. Due uomini e una donna sono scesi da auto civili, uno di loro aveva una pistola da starter (quella delle competizioni). Dopo aver rotto il finestrino del furgone con la pistola, hanno ingaggiato una lotta con i pixel [I soldati ucraini, carichi di equipaggiamento all’avanguardia, sono soprannominati «cyborg», le loro divise «pixel» per la texture]. I poliziotti hanno arrestato il proprietario della pistola e sequestrato la sua auto. Si tratterebbe di un imprenditore di 49 anni, venuto a salvare il nipote. […].

Il 25 novembre, una guardia di frontiera della regione di Khmelnytsky è stata condannata a 12 anni di carcere per l’omicidio premeditato del suo diretto superiore (il capo del gruppo di comunicazione). Il sergente junior di 36 anni, che prestava servizio come tecnico-autista ed era stato mobilitato per il Servizio di frontiera dello Stato nell’agosto 2023, si è recato in servizio con un’arma il 6 febbraio dello scorso anno e durante il servizio ha incontrato il comandante, con il quale aveva un rapporto non amichevole. Dopo di che, è andato con lui verso la mensa e gli ha sparato allo stomaco con un AK-74. Il colonnello è morto sul posto […].

Naturalmente, ci sono diverse notizie simili dall’altro lato del fronte. Infatti, il 29 ottobre, alcuni criminali reclutati per il fronte da un centro di detenzione preventiva e fuggiti dalle loro unità hanno quasi ucciso un rappresentante delle autorità della regione di Leningrado. Come ha scritto il sito locale 47news, il giorno dopo, si trattava del trentenne Aleksandr Igumenov, del trentenne Mark Frolov e del trentasettenne Vladimir Nikin. “Il comandante del gruppo investigativo del Ministero della Difesa ha già delineato le circostanze in un rapporto: si sono mossi verso la casa nel villaggio di Yanino, nel distretto di Vsevolozhsk. Gli ufficiali hanno controllato attentamente il pianerottolo e hanno iniziato ad aspettarlo vicino alla casa. Quando è apparso, l’ufficiale e i suoi subordinati sono saltati in piedi, ma si è scoperto che Igumenov non era solo. C’erano altre due persone con lui. Igumenov ha preso una pistola, ha praticamente puntato la canna sulla fronte dell’ufficiale e ha delineato in modo specifico le prospettive possibili: o se ne vanno e li lasciano andare, o il Ministero della Difesa perderà diversi graduati e un ufficiale. Come si legge nei documenti, “per evitare perdite tra i civili” il gruppo accettò la richiesta e si ritirò. O meglio, ha fatto finta di ritirarsi, chiamando i rinforzi. Gli stessi dipendenti del Ministero della Difesa si sono appostati intorno alla casa nel caso in cui il trio fosse saltato fuori, ad esempio, dalle finestre. L’irruzione delle forze speciali è stata di routine. Hanno sfondato la porta, picchiandoli violentemente. Tutti e tre erano sotto l’effetto di droghe. Oggi sono iniziati gli interrogatori nel Comitato Investigativo Militare esclusivamente nell’ambito dell’articolo 338 del Codice penale – “Diserzione”.” Ognuno di loro ha diverse condanne, soprattutto per furto”.

Il 25 ottobre, nei pressi del villaggio di Kremyanoye nella regione di Kursk, Dmitry Slepnyov, vicecomandante del 2° battaglione motorizzato di fucilieri della 810ª brigata di marina (unità militare 13140 di Sebastopoli), sarebbe stato ucciso da un suo soldato. Durante una riunione di servizio in un posto di osservazione, il capitano ha avuto un conflitto verbale con il soldato Alexander Ryabov. Quest’ultimo ha sparato all’ufficiale tre colpi alla testa con un AK-74. La notizia è stata pubblicata da fonti ucraine, senza alcuna conferma da parte russa.

La sera del 12 novembre, dieci contractors sono fuggiti senza armi dall’unità militare 57849 di stanza nell’insediamento lavorativo di Kochenyovo, vicino a Novosibirsk. Secondo il sito web locale NGS, “vi erano state assegnate circa 30 persone provenienti da tutto il Distretto militare centrale, che in precedenza avevano lasciato arbitrariamente e senza permesso le loro unità militari”. La maggior parte proveniva dal Territorio di Krasnodar. I soldati hanno distrutto la sede dell’unità con la scritta “Guardate, qui c’è una rivolta” e l’hanno filmata, hanno lasciato il villaggio in taxi e sono stati poi tutti arrestati. Prima di questo fatto, alcuni dei fuggiaschi avrebbero chiesto assistenza medica, e il motivo della rivolta era che non volevano essere rimandati al fronte. Secondo le informazioni dei canali Telegram, al 15 novembre più di un centinaio di titolari dello status di SOCh di questa unità sono stati comunque trasportati a Rostov-sul-Don.

La notte del 20 dicembre, cinque militari sono morti e sette sono stati ricoverati in ospedale per inalazione di fumo a causa di un incendio nel centro di detenzione di Vilyuisk Lane a Yakutsk. In questa struttura, i soldati detenuti perché si erano assentati senza permesso (AWOL) erano imprigionati e torturati. Secondo i servizi di emergenza e le autorità russe, i prigionieri hanno appiccato il fuoco all’edificio mentre cercavano di fuggire. In totale, c’erano diverse decine di detenuti. Nella primavera del 2024 ci sono state lamentele sulle condizioni di detenzione. Durante l’ispezione della Procura militare della Guarnigione di Yakutsk, sono state rilevate numerose violazioni della legislazione federale e sono stati emessi degli ordini di servizio per eliminare tali violazioni […].

In un modo o nell’altro, nel novembre 2024 le truppe russe hanno conquistato un territorio 4,7 volte superiore a quello dell’intero 2023. Nei primi quattro giorni del 2025, hanno già conquistato otto villaggi a sud di Pokrovsk e mancano solo alcuni chilometri al confine con la regione di Dnepropetrovsk, dove non ci sono ancora state ostilità e le fortificazioni sono minime. Nonostante la situazione sia così critica, la popolazione ucraina non ha manifestato alcuna impennata patriottica. Troppi lavoratori non vedono più alcuna particolare differenza su chi li deruberà.

17 gennaio 2025

Da libcom: https://libcom.org/article/turn-2024-and-2025-ukraine-desertion-has-become-nationwide-mainstream

 

Trad. per conto di CRINT-FAI

 

Immagine: Un momento delle manifestazioni congiunte di tutti gli oppositori alla guerra ucraini, russi e locali tenutesi il 21 dicembre a Berlino, Colonia e Parigi. Da: https://nowar.solidarite.online/blog/de-paris-%C3%A0-cologne-en-passant-par-berlin-d%C3%A9serteurs-de-tous-les-pays-unissez-vous

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La maniera forte. La “pace” di Trump somiglia alla guerra di Biden

Alla fine di gennaio Scott Ritter ha pubblicato un articolo assai interessante sul prezzo del petrolio russo.

Scott Ritter è un ex membro del servizio segreto del corpo dei marines USA ed ex ispettore dell’ONU; ha preso spesso posizioni critiche verso la politica estera USA. In questo articolo se la prende con il post di Trump in cui il neopresidente annunciava il suo piano di pace per l’Ucraina. Secondo Ritter questo piano non ha alcuna speranza di essere accolto e al presidente USA non resterebbe che applicare la maniera forte, già minacciata nel post.

In cosa consisterebbe questa “maniera forte”?

Secondo Scott Bessent, nuovo segretario al Tesoro di Donald Trump, la risposta sta nell’inasprimento delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. Ma Bessent dovrà fare i conti con una narrazione con cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno venduto in modo eccessivo le sanzioni come strumento per distruggere l’economia russa. Inoltre, dato lo status della Russia come principale produttore di petrolio, qualsiasi applicazione di sanzioni potrebbe avere un impatto economico negativo sugli Stati Uniti.

Questo aspetto sembra essere sfuggito all’attenzione di Keith Kellogg, il guru degli “accordi di pace” di Trump. Osservando che, sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto un tetto di 60 dollari al barile al petrolio russo (il prezzo di mercato del petrolio si aggira intorno ai 78 dollari al barile), Kellogg ha osservato che, nonostante ciò, “la Russia guadagna miliardi di dollari dalle vendite di petrolio”.

“E se”, ha aggiunto Kellogg durante un’intervista a Fox News, ‘si abbassasse il prezzo a 45 dollari al barile, che è essenzialmente il punto di pareggio?’.

La domanda è: “punto di pareggio” per chi?

Il concetto di “punto di pareggio”, quando si parla di Russia, ha un aspetto duplice. Il primo aspetto è rappresentato dal prezzo del petrolio che la Russia, che dipende fortemente dalla vendita di petrolio per la sua economia nazionale, deve raggiungere per pareggiare il bilancio nazionale. Questo prezzo è stimato intorno ai 77 dollari al barile per il 2025. Non ci sono dubbi: se il prezzo del petrolio scendesse a 45 dollari al barile, la Russia si troverebbe ad affrontare una crisi di bilancio. Ma non una crisi di produzione petrolifera.

Il secondo aspetto del “punto di pareggio” per la Russia è il costo di produzione di un barile di petrolio, che attualmente è fissato a 41 dollari al barile. La Russia sarebbe in grado di produrre petrolio senza interruzioni se Kellogg riuscisse a raggiungere il suo obiettivo di ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile.

Per raggiungere l’obiettivo, Trump dovrebbe far salire i sauditi sul carro della manipolazione del prezzo del petrolio. Il problema è che i sauditi hanno il loro “punto di pareggio”. Per pareggiare il bilancio, l’Arabia Saudita ha bisogno che il petrolio sia venduto a circa 85 dollari al barile. Ma il costo di produzione del petrolio in Arabia Saudita è molto basso, intorno ai 10 dollari al barile. Se volesse, l’Arabia Saudita potrebbe semplicemente inondare il mercato di petrolio a basso costo. Anche la Russia potrebbe farlo.

E gli Stati Uniti? Il bacino di Permian, nel Texas occidentale, rappresenta la totalità della crescita della produzione petrolifera statunitense dal 2020. Nel 2024, per rendere redditizi i nuovi pozzi nel Bacino Permiano, il punto di pareggio era di circa 62 dollari al barile. Per i pozzi esistenti, la cifra era di circa 38 dollari al barile. Se le trivellazioni venissero interrotte nel Bacino permiano, la produzione di petrolio degli Stati Uniti diminuirebbe del 30% nell’arco di due anni.

In breve, se Keith Kellogg riuscisse ad attuare il suo “piano” per ridurre il prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, distruggerebbe di fatto l’economia petrolifera statunitense. E, conclude Ritter, se si distrugge l’economia petrolifera statunitense, si distrugge l’economia degli Stati Uniti.

Questa uscita di Ritter a proposito delle sanzioni si capisce meglio se si ricorda che il 10 gennaio il presidente uscente Biden ha inasprito le sanzioni contro la Russia, che hanno sconvolto temporaneamente il mercato del petrolio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha riferito questa settimana la sua ultima previsione per l’offerta e la domanda di petrolio, osservando che le ultime sanzioni si riveleranno solo un ostacolo temporaneo per le esportazioni di petrolio russo. Non solo questo, ma l’AIE ha anche stimato, per gennaio, la produzione petrolifera della Russia in rialzo di 100.000 bpd per un totale di 9,2 milioni di barili al giorno. L’AIE ha dovuto rivedere le sue stime di produzione petrolifera russa in numerose occasioni.

L’idea che l’industria dei combustibili fossili sia l’industria principale degli Stati Uniti, e che ogni danno ad essa sia un danno per l’economia statunitense nel suo complesso sembra essere un’idea sorpassata.

L’elezione di Donald Trump è stata salutata con un aumento del valore di borsa delle corporation dei suoi principali sostenitori. Secondo quanto scrive Davide Magliuolo su “Investireoggi” riportando i dati di Bloomberg Billionaires Index, tra i maggiori beneficiari della vittoria di Trump ci sarebbe ovviamente Elon Musk, che ha visto il proprio patrimonio crescere di ben 26,5 miliardi di dollari, raggiungendo il totale di 290 miliardi di dollari. Dopo di lui Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio di oltre 7 miliardi di dollari. Anche Larry Ellison, ex amministratore delegato di Oracle, ha registrato un aumento del suo patrimonio di quasi 10 miliardi, arrivando a un totale di 193 miliardi di dollari. Da segnalare che Mark Zuckerberg ha visto calare il suo patrimonio di più di 80 milioni di dollari, la cosa probabilmente ha influito sulla scelta di Meta di attenuare la politica di moderazione dei contenuti su Facebook.

Questo risultato è il prodotto delle attese politiche a sostegno delle imprese tecnologiche che ormai hanno sostituito il petrolio nelle scelte strategiche dell’amministrazione USA. I grandi oligarchi tecnologici della Silicon Valley temono le aziende cinesi di intelligenza artificiale come “Ricerca Approfondita”. Il miliardario Peter Thiel, sostenitore di Donald Trump, ammette che vogliono i monopoli, sostenendo che “la concorrenza è per i perdenti”. L’amministratore delegato di Anthropic, Dario Amodei, ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere un “mondo unipolare”.

Questa centralità assunta dalla tecnologia nella politica imperiale di Washington spiega come mai per l’amministrazione Trump le terre rare possedute dall’Ucraina (in parte nelle zone occupate dalla Federazione Russa) siano diventate più importanti del petrolio.

Da una parte abbiamo il presidente degli Stati Uniti che si dichiara disposto a continuare l’appoggio militare a Zelensky a condizione che questi garantisca la consegna di 500 miliardi di dollari in terre rare, dall’altra abbiamo Zelensky, il presidente ucraino, che si rifiuta di firmare l’accordo proposto per dare agli Stati Uniti l’accesso ai minerali di terre rare dell’Ucraina perché il documento era troppo incentrato sugli interessi statunitensi. Zelensky ha affermato che qualsiasi sfruttamento minerario da parte degli Stati Uniti dovrà essere legato a garanzie di sicurezza per l’Ucraina che scoraggino future aggressioni russe. Evidentemente la trattativa è in corso ed ognuno dei contendenti punta ad avere dei vantaggi.

L’impressione comunque è che l’attuale presidenza abbia ormai i giorni contati, e sia pronto un cambio di regime in Ucraina. La figura di Zelensky è troppo screditata a livello di massa a causa della politica di guerra e di compressione delle libertà e del tenore di vita dei ceti popolari, è troppo collegata alla narrazione dell’indipendenza ucraina per poter essere usata in una trattativa di scambio fra gli opposti imperialismi. L’uscita di scena di Zelensky permetterebbe a Putin di dichiarare compiuta la denazificazione dell’Ucraina, che potrebbe essere festeggiata il 9 maggio. Se la Russia non accetta le condizioni degli Stati Uniti, non c’è niente che lasci credere che la pace sia l’obiettivo ad ogni costo della politica degli Stati Uniti.

Lo scenario che si sta delineando è il peggiore possibile per le persone che hanno venduto la loro anima per la sconfitta di Putin, propagandando l’arruolamento nell’esercito di Kiev a fianco e agli ordini dei nazisti, raccogliendo soldi per permettere a Zelensky di continuare la guerra e vendere il proprio paese al miglior offerente occidentale. Come ho scritto fin da prima dell’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, gli Stati Uniti non possono permettersi che Putin perda. Una Russia forte rimane un potenziale alleato nella contesa per la Cina, e l’Ucraina è solo uno dei tanti campi di battaglia sulla scacchiera del mondo, dove muoiono a centinaia di migliaia i pedoni, mentre i re se ne stanno arroccati, in attesa di un accordo sempre possibile con il re avversario.

Così la “pace” di Trump finirebbe per assomigliare alla guerra di Biden.

 

Tiziano Antonelli

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Tutte le bugie di Trump su Zelensky e l’Ucraina

In questi giorni in cui proseguono i colloqui con la Russia di Putin per la ‘pace imperiale’ imposta all’Ucraina, alle spalle di Kyiv e Bruxelles, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha rilasciato una serie di dichiarazioni, nel migliore dei casi controverse e nel peggiore dei casi completamente false e fuorvianti, sull’Ucraina e su Zelensky. Diverse testate giornalistiche hanno verificato le affermazioni di Trump. Abbiamo raccolto le principali.

All'Ucraina: non avreste mai dovuto iniziare (la guerra)

Trump: “Ma oggi ho sentito: 'Oh, beh, non siamo stati invitati'. Beh, siete stati lì per tre anni. Avreste dovuto farla finita tre anni fa. Non avreste mai dovuto iniziare. Avreste potuto fare un accordo”.

I fatti: Le autorità ucraine hanno espresso insoddisfazione per non aver preso parte ai colloqui di Riad. Ma Trump ha respinto queste affermazioni, dicendo ai giornalisti che l'Ucraina aveva avuto tre anni per porre fine alla guerra, facendo intendere che è stata Kyiv a iniziare il conflitto. In buona sostanza Trump è parso riprendere le posizioni della Russia. Nel febbraio 2024 il presidente russo Putin ha detto al conduttore statunitense Tucker Carlson: “Sono stati loro ad iniziare la guerra nel 2014. Il nostro obiettivo è fermare questa guerra. E non abbiamo iniziato questa guerra nel 2022”.

L'invasione russa dell'Ucraina non è stata provocata ed è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale come un atto di aggressione. La Russia ha lanciato un'invasione su vasta scala dell'Ucraina nel febbraio 2022, dopo aver annesso la Crimea nel 2014. Come ricostruisce la storica statunitense Heather Cox Richardson nella newsletter Letter from America, l’annessione è avvenuta dopo che il presidente filorusso dell'Ucraina, Yanukovich, era stato spodestato dopo mesi di manifestazioni popolari. I cittadini ucraini protestavano per la decisione dell’allora presidente di interrompere la cooperazione con l’Unione Europea e accettare un prestito della Russia di tre miliardi di dollari, prima tranche di un piano complessivo di salvataggio da 15 miliardi di dollari, come aveva sostenuto all'epoca il ministro delle finanze russo Anton Siluanov.

La Russia ha anche sostenuto le forze che hanno occupato alcune zone dell'Ucraina orientale e ha accusato il nuovo governo di Kyiv di discriminazione e genocidio contro i russofoni. Accuse respinte dalla Corte internazionale di giustizia.

Dopo il fallimento degli accordi che miravano a porre fine al conflitto post-2014, la Russia ha iniziato un massiccio spiegamento di truppe al confine con l'Ucraina nella primavera del 2021. Putin ha lanciato l'invasione il 24 febbraio 2022, affermando che lo scopo dell'operazione era “demilitarizzare e denazificare” il governo filo-occidentale di Volodymyr Zelensky e impedire al paese di aderire alla NATO. Ma nelle elezioni del 2019, i partiti di estrema destra avevano preso appena il 2% e va sottolineato che Zelensky è ebreo e il suo partito è stato considerato centrista. Per quanto riguarda la NATO, non è stato avviato alcun processo formale di adesione dell’Ucraina, sebbene nel 2019 il governo di Poroshenko abbia deciso di inserire in Costituzione l’adesione alla NATO.

Nel periodo precedente all'invasione russa dell'Ucraina, Zelensky si è offerto ripetutamente di incontrare la sua controparte russa. Cinque giorni prima che le truppe russe entrassero in Ucraina, Zelensky ha dichiarato: “Siamo pronti a sederci e parlare. Scegliete la piattaforma che preferite”.

Per dissuadere Mosca dal lanciare l'invasione, gli Stati Uniti hanno declassificato e pubblicato rapporti dei servizi segreti che rivelavano i piani di attacco della Russia, avvertendo che sarebbero seguite dure sanzioni economiche se il Cremlino avesse proceduto.

Nei giorni e nelle settimane successive all'invasione, i negoziatori ucraini e russi hanno tenuto diversi cicli di colloqui in Bielorussia e Turchia. Tuttavia, le richieste della Russia erano massimaliste, inclusa la parziale smilitarizzazione dell'Ucraina che avrebbe di fatto paralizzato la capacità del paese di difendersi in futuro.

Anche Mike Pence, vicepresidente di Trump durante il suo primo mandato, ha voluto precisare in un post su X: “Signor Presidente, l'Ucraina non ha ‘iniziato’ questa guerra. La Russia ha lanciato un'invasione brutale e non provocata, che ha causato centinaia di migliaia di vittime”.

Zelensky è impopolare e impedisce le elezioni

Trump: “Abbiamo una situazione in cui non abbiamo avuto elezioni in Ucraina. Beh, abbiamo la legge marziale, essenzialmente la legge marziale in Ucraina, dove il leader in Ucraina, voglio dire, odio dirlo, ma ha un indice di gradimento del 4% e dove un paese è stato fatto a pezzi. La maggior parte delle città sono distrutte.”

I fatti: Le parole di Trump ricalcano quanto affermato a più riprese dal Cremlino. Il 28 gennaio il presidente russo Putin ha definito Zelensky “illegittimo”, in un’intervista ai media russi, proprio perché il suo mandato è terminato.

In effetti, il mandato quinquennale di Zelensky avrebbe dovuto concludersi nel maggio 2024. Tuttavia, l'Ucraina è sotto legge marziale dall'invasione russa del febbraio 2022, il che significa che le elezioni sono sospese. Ma c’è un però.

Le leggi marziali in Ucraina non nascono con Zelensky, sono state redatte nel 2015, poco dopo l'annessione della penisola di Crimea da parte della Russia e anni prima che Zelensky e il suo partito salissero al potere. 

Per quanto riguarda il consenso, Zelensky è diventato presidente dell’Ucraina nel 2019, ottenendo al ballottaggio il 73% dei voti in elezioni definite dall’OSCE “competitive e [dove] le libertà fondamentali sono state generalmente rispettate”.

Sebbene la popolarità del presidente ucraino sia diminuita dall'inizio dell'invasione russa, un sondaggio di febbraio condotto dall'Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev ha rilevato che il 57% degli ucraini si fida del presidente, in aumento rispetto al 52% di dicembre.

Altri sondaggi sembrano vedere in vantaggio il più diretto rivale di Zelensky, l'ex capo dell'esercito Valerii Zaluzhnyi, e in ogni caso prospettano un ballottaggio tra i due.

Zelensky ha promesso di indire nuove elezioni una volta terminato il conflitto e deve ancora confermare la sua intenzione di candidarsi. Alcuni esperti hanno osservato che sarebbe praticamente impossibile tenere elezioni in Ucraina prima della fine del conflitto, poiché persistono gli attacchi russi su molte città e milioni di cittadini sono sfollati all'estero o vivono sotto l'occupazione russa.

“La nostra posizione è che durante una guerra non c'è spazio per la politica, e soprattutto non per le elezioni”, ha dichiarato Valentyn Nalyvaichenko, un parlamentare del partito Patria dell'ex primo ministro Yulia Tymoshenko ed ex capo dell'agenzia di sicurezza SBU. “Sarebbe la fine per l'Ucraina. Iniziare un'attività politica o elettorale significherebbe la vittoria di Putin il giorno dopo”.

L'ex presidente Poroshenko ha dichiarato di avere le prove per cui le elezioni si terranno il 26 ottobre. Resta da capire quanto le sue affermazioni siano solide. Resta il fatto che una parte consistente del piano di Trump, in evoluzione, è obbligare Zelensky a tenere elezioni quest’anno, nella speranza che non sia l’attuale presidente ucraino a firmare l’effettivo accordo di pace col Cremlino.

Gli Stati Uniti danno più aiuti all'Ucraina rispetto all'Europa

Trump: “Credo che il presidente Zelensky abbia detto la scorsa settimana di non sapere dove sia finita metà dei soldi che gli abbiamo dato. Beh, credo che gli abbiamo dato 350 miliardi di dollari, ma diciamo che è qualcosa di meno. Ma è molto, e dobbiamo pareggiare con l'Europa perché l'Europa ha dato una percentuale molto più piccola di quella.

Penso che l'Europa abbia donato 100 miliardi di dollari e noi abbiamo donato, diciamo, più di 300 miliardi, ed è più importante per loro che per noi. Abbiamo un oceano in mezzo e loro no. Ma dove sono finiti tutti i soldi donati? Dove stanno andando? E non ho mai visto un resoconto. Noi doniamo centinaia di miliardi di dollari”.

I fatti: Ci sono molti numeri che girano, con diverse metodologie utilizzate per calcolare i singoli contributi. Secondo l’Ukraine Support Tracker dell'Istituto Kiel per l'economia mondiale, l'Europa, considerata come la somma dell'UE e dei singoli Stati membri, ha stanziato 132,3 miliardi di euro in aiuti all'Ucraina, contro i 114,2 miliardi di euro degli Stati Uniti. A questi, sempre secondo il tracker, si aggiungerebbero altri 115 miliardi di euro.

I maggiori contributi in percentuale del PIL sono stati effettuati da Estonia e Danimarca (2,5%), Lituania (2,1%), Lettonia (1,8%), Finlandia (1,3%), Svezia e Polonia (1,2%).

Martedì, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha fatto notare all'inviato USA in Ucraina, Keith Kellogg “il ruolo fondamentale dell'UE nel garantire la stabilità finanziaria e la difesa dell'Ucraina”, sottolineando “più di ogni altro alleato”.

Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha dichiarato la scorsa settimana che nel 2024: “Gli alleati della NATO hanno fornito oltre 50 miliardi di euro in assistenza alla sicurezza all'Ucraina, di cui quasi il 60% proveniente dall'Europa e dal Canada”.

Inoltre, quando Zelensky dice di non sapere dove siano finiti i soldi degli aiuti americani, sta in realtà mettendo in discussione le cifre fornite da Trump. Queste le parole del presidente ucraino all’Associated Press il 2 febbraio: “Come presidente di una nazione in guerra, posso dirvi che abbiamo ricevuto più di 75 miliardi di dollari. (...) Stiamo parlando di cose tangibili perché questo aiuto non è arrivato in contanti ma piuttosto sotto forma di armi, che ammontavano a circa 70 miliardi di dollari. Ma quando si dice che l'Ucraina ha ricevuto 200 miliardi di dollari per sostenere l'esercito durante la guerra, non è vero”, ha detto Zelensky. “Non so dove siano finiti tutti quei soldi. Forse è vero sulla carta con centinaia di programmi diversi, non lo metto in discussione, e siamo immensamente grati per tutto. Ma in realtà abbiamo ricevuto circa 76 miliardi di dollari. È un aiuto significativo, ma non sono 200 miliardi di dollari“. 

In sintesi, Zelensky non ha fatto altro che ribadire quanto diversi esperti negli Stati Uniti e altrove hanno ripetutamente sottolineato, e cioè che gran parte degli aiuti USA all’Ucraina non sono arrivati sotto forma di denaro consegnato al governo ucraino.

Come scriveva lo scorso maggio, ad esempio, il think tank Center for Strategic and International Studies: “Il concetto di ‘aiuto all'Ucraina’ è improprio. Nonostante le immagini di “pacchi di denaro” inviati all'Ucraina, circa il 72% di questo denaro in generale e l'86% degli aiuti militari saranno spesi negli Stati Uniti. La ragione di questa percentuale elevata è che le armi destinate all'Ucraina sono prodotte in fabbriche statunitensi, i pagamenti ai membri delle forze armate statunitensi sono per lo più spesi negli Stati Uniti e anche una parte degli aiuti umanitari viene spesa negli Stati Uniti”.

La Russia non sta schierando tutto il suo potenziale militare in Ucraina

Trump: “La Russia non intende distruggere Kiev, se avesse voluto, l'avrebbe già fatto. La Russia è in grado di spazzare via al 100% le città ucraine, compresa Kiev, ma al momento sta attaccando solo al 20%.”

I fatti: non ci sono indicazioni che la Russia abbia accumulato armi o trattenuto le sue capacità militari nella lotta. Anzi, in base alle informazioni a disposizione, la Russia ha scatenato tutta la sua forza militare, compresi missili e artiglieria a lungo raggio, sulle città ucraine, causando una distruzione diffusa, in particolare nella parte orientale.

Mentre le sue scorte diminuivano, Mosca ha fatto ricorso ai missili nordcoreani che continuano a colpire le città ucraine. 

La Russia vuole fermare la guerra

Trump: “Beh, molto più fiduciosi [sui colloqui]. Sono stati molto buoni. La Russia vuole fare qualcosa. Vogliono fermare la barbarie selvaggia”.

I fatti: i funzionari russi, compreso il presidente Vladimir Putin, hanno ripetutamente dichiarato che non fermeranno i combattimenti in Ucraina finché tutti gli obiettivi di Mosca non saranno raggiunti, sia attraverso la diplomazia che con la forza militare.

Putin ha già chiesto la “demilitarizzazione dell'Ucraina” e ha detto di volere il pieno controllo di quattro regioni dell'Ucraina orientale e meridionale – Donetsk, Kherson, Zaporizhzhia e Luhansk – che la Russia attualmente occupa in parte.

Secondo quattro funzionari dell'intelligence occidentale e due funzionari del Congresso degli Stati Uniti, le informazioni provenienti dagli Stati Uniti e dai paesi alleati, citate martedì dai media statunitensi, suggeriscono che Putin vuole ancora controllare tutta l'Ucraina.

Immagine in anteprima via Flickr.com

Quello di Donald Trump non è isolazionismo, è ‘mafia imperialism’

Nell’arco del primo mese della sua presidenza, Donald Trump sta distruggendo l’ordine legale internazionale che resisteva dal termine della seconda guerra mondiale: ha unilateralmente deciso di trattare con la Russia in merito all’invasione dell’Ucraina, ha parlato della necessità di costruire una “riviera di lusso” nella Striscia di Gaza, senza che i palestinesi possano più rivendicare alcun diritto sulla terra, ha cercato di acquistare la Groenlandia e di riottenere l’autorità sul Canale di Panama, ha minacciato dazi a Canada e Messico, ha chiesto ai paesi europei di alzare considerevolmente la loro spesa militare fino al 5% del PIL, ben più del 2% che l’Alleanza atlantica ha sempre richiesto.

Queste mosse generano ansia nei suoi alleati storici, che non vedono più negli Stati Uniti i garanti dell’ordine mondiale. Questo non implica però, come alcuni dicono, che Trump sia un presidente isolazionista, dato che interviene, anche in maniera estremamente muscolare, nelle vicende globali. Un intervento, però, non atto a garantire stabilità e legalità dell’ordine, ma a ottenere terre e risorse: un imperialismo sfruttatore di marca ottocentesca, in cui le nazioni più ricche potevano rubare risorse a quelle più povere in nome di una forza superiore. Mike Galsworthy, co-fondatore di Scientists for EU e Healthier IN the EU, lo ha definito 'mafia imperialism'.

Trump wants to land-grab in Ukraine— — just like Greenland, Gaza, Canada, Panama. He wants to grab other people’s land and natural resources all under the guise of “protection” and “development” of “the west” under his care. It’s pure mafia imperialism.

— Mike Galsworthy (@mikegalsworthy.bsky.social) 19 febbraio 2025 alle ore 07:43

L’ordine mondiale ereditato da Trump non era perfetto, ma aveva un vantaggio: le regole erano chiare. Tra queste, la principale riguardava il fatto che ogni paese rispettava la sovranità di tutti gli altri, e non avrebbe più tentato di acquisire territori per mezzo della forza: questo è il motivo per cui, dopo l’invasione del 24 febbraio 2022, la Russia è stata velocemente allontanata dalla comunità internazionale e i maggiori paesi occidentali hanno approvato diversi pacchetti di sanzioni. Gli Stati Uniti, però, cercano oggi di riconsiderare quest’ordine, in virtù del fatto che si sentono i padroni assoluti dell’emisfero occidentale. Gli alleati, dopo decenni di affidamento sugli Stati Uniti nella gestione della difesa, si ritrovano soli e isolati: questo porterà necessariamente a nuovi tentativi di alleanze e al tentativo di rinforzare quelle già esistenti non a guida americana. 

Durante i discorsi del leader statunitense, è chiaro il tentativo di porre una grande attenzione sull’emisfero occidentale, un focus che ricorda da vicino la dottrina Monroe, posizione politica del quinto presidente degli Stati Uniti, James Monroe, che affermava la padronanza statunitense sugli affari del continente americano. Monroe se la prendeva con le potenze europee, che cercavano di colonizzare terre che secondo gli Stati Uniti appartenevano alla loro sfera d’influenza, Trump principalmente con la Cina, che otterrebbe vantaggi commerciali dall’utilizzo del Canale di Panama e aggirerebbe i dazi statunitensi sulle automobili delocalizzando la propria produzione in Messico. Le direttrici entro cui si muove Trump nel riprioritizzare il continente americano sono due: da un lato attacchi in senso imperialistico, dall’altro la ricerca di una guerra commerciale.

A subire gli attacchi imperialistici sono principalmente Panama, paese indipendente dal 1903 e sul cui territorio è presente l’omonimo Canale, e la Groenlandia, regione artica oggi parte della Danimarca, che Trump vorrebbe acquistare sin dal suo primo mandato, ricevendo sempre dinieghi da Copenhagen. La tensione tra Trump e il presidente panamense Mulino si è alzata esponenzialmente durante queste settimane, col primo che rivorrebbe il controllo del Canale, ceduto dagli Stati Uniti nel 1977 e controllato da un’autorità del governo di Panama. Il Presidente americano li ha accusati di aver fatto sì che la Cina arrivasse a controllare l’Autorità che governa il canale, e per questo rivorrebbe una guida americana: non ci sono, però, prove che il governo cinese eserciti alcun tipo di controllo, nonostante negli anni ha molto investito in porti e terminal intorno al Canale, dato che le sue navi contano per il 21,4 per cento del traffico dell’area. 

Se Trump ha addotto una scusa per quanto concerne la questione panamense, non ci ha nemmeno provato riguardo alla Groenlandia. Trump ha asserito che il controllo della regione artica garantirebbe agli Stati Uniti una maggiore “sicurezza economica”, ma il motivo per cui ne è ossessionato è la gran quantità di risorse che otterrebbe: nickel, ferro e terre rare sono presenti in gran quantità in Groenlandia, poco sfruttate da una comunità Inuit di 56.000 residenti. L’obiettivo trumpiano grazie a queste nuove materie prime sarebbe quello di poter raggiungere l’indipendenza energetica e poter produrre internamente sempre più semiconduttori, utili per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale: un vero e proprio imperialismo di sfruttamento. La Danimarca si è rifiutata di sedersi a un tavolo delle trattative e le comunità del luogo non sono state minimamente interpellate: emissari americani sono andati nella regione e hanno regalato ad alcuni residenti un centinaio di dollari, una mossa vista dai cittadini come un ingeneroso tentativo di comprare la loro volontà. Gli Inuit che abitano la Groenlandia vorrebbero da anni staccarsi dalla Danimarca, che li controlla con metodi coloniali dal 1721, ma chiedono l’indipendenza, non di essere venduti a una nuova potenza. L’interesse per la posizione degli abitanti da parte degli Stati Uniti è nullo, tanto che i repubblicani hanno presentato al Congresso una legge per rinominare la Groenlandia “Terra bianca, rossa e blu”. (In inglese, Greenland sta per “terra verde” ndr). Per di più, se gli Stati Uniti possono decidere di modificare la sovranità dei paesi vicini, allora crolla il caposaldo che ha tenuto insieme l’ordine legale in questi decenni: verrebbe infatti meno ogni rimostranza mossa alla Cina ogni qualvolta esprime la volontà di assediare e conquistare l’isola di Taiwan.

Con i paesi più grandi del Nord America, Canada e Messico, Trump ha invece adottato la tattica di minacciare una guerra commerciale. Ha imposto dazi del 25% su tutti i beni importati dai due paesi, per poi revocarli non appena entrambi hanno concesso al presidente statunitense più truppe per controllare i confini.

Nonostante questo, la tensione col Canada è rimasta altissima, tanto che Trump ha più volte scritto che vorrebbe un’annessione agli Stati Uniti come cinquantunesimo Stato. Una posizione ovviamente irricevibile, atta a esacerbare lo scontro: Trump ritiene che la bilancia commerciale col Canada penda a svantaggio degli Stati Uniti per 250 miliardi di dollari e che Trudeau non faccia niente per contrastare l’arrivo del fentanyl, droga sintetica a base di oppioidi, negli Stati Uniti. Due affermazioni tendenziose, in quanto i dati sulla bilancia commerciale non tengono conto del fatto che le condutture di gas canadese passano all’interno del territorio statunitense e che solo lo 0,2% del fentanyl arriva dal Canada.

La minaccia di dazi così alti è poi, per la maggior parte degli economisti, un problema: con paesi come Messico e Canada gli USA sono molto interdipendenti. Nel settore automotive, per fare un esempio, alcuni pezzi di autovetture attraversano il confine varie volte prima che il prodotto sia completato, e ogni passaggio dovrebbe essere sottoposto a dazio. Questo alzerebbe esponenzialmente il prezzo delle auto negli Stati Uniti, e ricadrebbe tutto sul consumatore finale. Nonostante questo, per Trump i dazi imposti agli amici non sono altro che un monito: ricordare loro che non sono né alleati né amici degli Usa, ma semplicemente dei partner di minor peso, le cui economie possono essere messe in crisi in ogni momento.

Anche il rapporto con l’Unione Europea sta evolvendo in questo senso. Gli Stati Uniti stanno apertamente sconfessando i pilastri su cui è stata costruita l’Alleanza atlantica, e hanno iniziato a richiedere ai paesi europei una spesa in difesa difficile da attuare per le economie dell’Unione. Se nel primo mandato la richiesta era quella di adeguarsi alla spesa del 2% in relazione al PIL, obiettivo raggiungibile, oggi la richiesta è quella di passare velocemente al 5%, provocando uno scontro.

Inoltre, il vicepresidente Vance, parlando alla Conferenza di Monaco, ha apertamente avallato i partiti di estrema destra: ha incontrato Alice Weidel, leader di Afd, partito suprematista che le altre forze politiche tedesche vorrebbero tenere lontano dalle posizioni di governo, e ha criticato le politiche migratorie, climatiche e legate ai diritti LGBT europee. In più, Vance ha attaccato frontalmente il Digital Service Act (DSA) dell’Unione Europea che, a suo dire, regolamenterebbe troppo il settore dell’intelligenza artificiale, su cui gli Stati Uniti hanno molte meno regole; anche la moderazione eccessiva dei contenuti che si farebbe nel continente è stata definita una “censura autoritaria”.

Oltre a questo, la principale minaccia americana alle economie dell’Unione è quella dei dazi: Trump ha asserito che con la UE vuole costruire un sistema di tariffe reciproche, per cui tutti i balzelli che un bene americano deve subire nei confronti di un paese verranno applicati a tutti i beni di quel paese in ingresso negli Stati Uniti. Nel breve termine questo farà salire l’inflazione, che infatti a gennaio è già tornata a sforare il 3%, nonostante le promesse dell’amministrazione, e aprirà a molteplici trattati bilaterali e a possibili esenzioni per i leader che si dimostrano più vicini agli americani. 

A questa situazione critica si aggiunge il voltafaccia nella questione ucraina. Dopo un mese dall’insediamento, gli USA si sono appiattiti sulle posizioni della Russia, confermato anche dal rifiuto statunitense di fare da co-sponsor a una risoluzione ONU di condanna per il terzo anno dell’invasione. Una delegazione americana ha incontrato per la prima volta dal 2022 una delegazione russa a Riad, e questo è il viatico per un bilaterale tra Trump e Putin nel prossimo futuro. Nel frattempo, il Presidente ha fatto proprie le posizioni di Mosca, riaffermando la propaganda putiniana: ha definito Zelensky un “dittatore non eletto” che possiede “solo il 4% di sostegno nel paese” (un dato falso, in quanto le ultime rilevazioni lo attestano sopra il 50 per cento) e sta impedendo a Ucraina e Unione Europea di sedersi ai tavoli delle trattative che ha aperto con Mosca.

La motivazione con cui non permette alla UE di condividere il tavolo degli accordi è pretestuosa: Trump ritiene che gli USA hanno speso molto più degli altri paesi nel sostegno all’Ucraina. Questo è però falso, perché i paesi europei avrebbero speso 132 miliardi in aiuti, contro i 114 statunitensi. Inoltre, ha chiesto a Kyiv, in cambio di una non precisata “prosecuzione degli aiuti”, che gli vengano ceduti i diritti sulla metà dei profitti legati all’estrazione di risorse naturali nel paese in perpetuo. Questa proposta è stata commentata dal noto economista Paul Krugman come “puro imperialismo sfruttatore ottocentesco”: una vera e propria razzia di risorse, che Zelensky si è rifiutato di concedere.

La questione ucraina ha agitato molti senatori repubblicani, più vicini alle posizioni classiche del Partito in politica estera: il senatore Tillis ha per esempio affermato che la responsabilità è solo in capo a Putin. La speranza di molti analisti era la persona che Trump aveva scelto come segretario di Stato: Marco Rubio, senatore della Florida, proveniente da famiglia di esuli cubani, sempre dichiaratosi contro ogni forma di dittatura e, tra le altre cose, uno dei principali sfidanti di Trump alle primarie del 2016. Come analizzato da Politico, però, Rubio non ha peso nelle scelte dell’amministrazione, viene utilizzato per dire ovvietà e sta sempre in disparte rispetto a Trump e Musk, che plasmano con comunicati e lanci social tutta la politica estera. Una figura che doveva essere di garanzia, trasformata in una voce spenta e che ripete blandamente le posizioni del presidente. 

L’altro scenario in cui Trump dice di aver “fatto finire la guerra” è il Medio Oriente, in cui dopo pochi giorni dal suo insediamento Israele e Hamas hanno acconsentito a un cessate il fuoco, negoziato per mesi dall’amministrazione Biden ma ottenuto solo dopo il cambio di inquilino a Pennsylvania Avenue.

Il piano su cosa sarà della Striscia, sempre che la tregua regga in queste settimane, è stato attaccato da tutti i leader dei paesi arabi e da gran parte della comunità internazionale, e Trump è stato da più voci accusato, tra cui da 350 rabbini statunitensi, di aver proposto una pulizia etnica: il leader americano ha apertamente parlato di una Riviera di lusso nella Striscia di Gaza, con grandi alberghi e casinò, su cui i palestinesi non avranno più alcun diritto. Anzi, i profughi dovrebbero essere accolti da Egitto e Giordania, che si sono smarcati. I leader arabi sono fermi su un punto: c’è bisogno di uno Stato palestinese riconosciuto da tutti, posizione che però non sembra realizzabile con queste amministrazioni negli Stati Uniti e in Israele.

Tutte queste mosse attaccano direttamente l’ordine legale internazionale, non riconoscono le sovranità statali che dovrebbero essere garantite dalle Nazioni Unite e sconfessano la visione globalista a guida americana che ha dominato nella seconda parte del Novecento. A ottenere dividendi da queste posizioni è quello che Trump definisce il rivale principale degli Stati Uniti in quest’epoca: la Cina.

Tra gli ordini esecutivi che hanno contraddistinto il primo mese di amministrazione Trump – di cui abbiamo parlato estesamente su Valigia Blu - c’è stato lo svuotamento dei fondi per molte agenzie federali: tra queste USAID, che si occupa di sviluppo internazionale. Molti progetti esteri e aiuti internazionali, compresi quelli legati alla prevenzione della diffusione di virus letali come l’HIV, sono stati bloccati.

Di contro, la Cina sta cercando di intervenire e garantire questi aiuti attraverso China Aid: più gli Stati Uniti recedono dalla loro funzione di perno economico mondiale, più è il soft power cinese a ricoprire le stesse posizioni, garantendo però a Pechino un’influenza sempre maggiore. Tra le agenzie a cui sono stati tolti i fondi, poi, c’è anche China Labor Watch, che aveva il compito di indagare sullo sfruttamento dei lavoratori in Cina. Oltre a ricostruire in senso autoritario il paese internamente, Trump sta rivoluzionando anche la proiezione estera degli Stati Uniti: non più alleati né difensori dell’ordine, ma un mondo fatto di competitor a cui bisogna strappare accordi favorevoli, il tutto cercando di ottenere risorse dai paesi più deboli.

Tutto questo sta generando ansia e il tentativo di disallineamento dalle posizioni americane da parte di attori più o meno grandi, tra cui l’Unione Europea: sul breve termine, è la Cina a presentarsi di fronte alla comunità internazionale come una potenza responsabile, leader nelle rinnovabili e nell’aiuto umanitario, mentre gli Stati Uniti stanno diventando i distruttori dell’ordine che hanno contribuito a creare ottant’anni fa. Come ha scritto sull’Atlantic Anne Applebaum, “è il momento di riconoscere il cambiamento che stiamo vivendo, e dobbiamo trovare nuovi modi di vivere nel mondo che degli Stati Uniti diversi dal passato stanno contribuendo a creare”.

Immagine in anteprima via flickr.com

La fine di un’era. Trump e Putin alleati contro l’Europa

Aveva promesso la fine della guerra in Ucraina a 24 ore dalla sua rielezione. Invece, a poche settimane dal suo insediamento, Trump ha tradito platealmente e vergognosamente l'Ucraina e messo fine all’alleanza con l’Europa, così come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. Cosa sarà della NATO a questo punto non è così difficile da immaginare. 

Trump ha spacciato per pace la spartizione colonialista delle terre ucraine martoriate dall’invasione voluta dal suo nuovo alleato, Putin.

Mafia imperialism": credo che non ci sia definizione più precisa per descrivere quello a cui abbiamo assistito con l'incontro Usa-Russia in Arabia Saudita. Dove sono stati tagliati fuori gli ucraini e gli europei, che tra l’altro hanno contribuito con più risorse alla sopravvivenza militare ed economica dell’Ucraina rispetto agli Stati Uniti – a dispetto delle false affermazioni di Trump. 

Quello di Donald Trump non è isolazionismo, è ‘mafia imperialism’

In un colpo solo, fra quell’incontro, il discorso violentissimo del vicepresidente Vance alla Conferenza di Monaco e le ultime farneticazioni di Trump sulla guerra e Zelensky (che non a caso ripete a pappagallo la disinformazione della propaganda russa è stata emessa una condanna a morte per Zelensky e l’Ucraina, e la parola fine a 80 anni di alleanza atlantica. Un attacco diretto e senza mezzi termini all’Europa e alle democrazie liberali, sostenendo apertamente l’estrema destra che strizza l’occhio al neo-nazismo e lo saluta, naturalmente, col braccio teso. E così ha rimesso al centro del ring un Putin fino a poche settimane fa all’angolo sotto la pressione delle sanzioni, l’isolamento da parte del mondo democratico, e l’inaspettata quanto eroica resistenza militare ucraina. Che, ricordiamolo, sta lottando anche per le nostre libertà e le nostre democrazie, sacrificando la vita dei proprio figli anche per l’Europa. Ha ragione a mio avviso Zelensky quando avverte: “Se cade l’Ucraina, cadrà l’intera Europa”.

Qualcuno ha scritto a proposito delle concessioni di Trump a Putin sull’Ucraina: è come se il presidente Franklin D. Roosevelt nel 1941 si fosse seduto con Adolf Hitler per porre fine alla sua guerra con la Gran Bretagna, non avesse incluso gli inglesi nei colloqui e avesse incolpato Churchill per aver iniziato la guerra. 

Pochi giorni prima della conferenza di Monaco, il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, si è presentato a Kyiv con un documento di due pagine, chiedendo al presidente Volodymyr Zelensky di firmarlo. Gli Stati Uniti pretendono il 50% di tutto il “valore economico associato alle risorse dell’Ucraina”, comprese “risorse minerarie, risorse di petrolio e gas, porti e altre infrastrutture”, non solo ora ma per sempre.

Dopo Gaza e la proposta di quella che altro non è che pulizia etnica per fare di quei territori palestinesi un resort affaristico-turistico, dunque è la volta dell’Ucraina. Uno sputo in faccia alla Storia e alle migliaia di vittime ucraine: bambini deportati, civili torturati e stuprati, soldati uccisi.

L’accordo sui minerali con l’Ucraina è una metafora perfetta della politica estera di Trump, scrive la CNN.

Chi a sinistra oggi esulta per una colonizzazione spacciata per pace e per l’alleanza fascio-mafiosa-imperialista Usa-Russia, piangeva fino a pochi giorni fa quando lo stesso metodo è stato ipotizzato come risoluzione per Gaza. 

La conferenza di Monaco è l’inizio di una nuova era. 

A fare da apripista all’intervento di Vance ci ha pensato il segretario della difesa, Pete Hegseth, parlando per la prima volta dell’ipotesi di togliere il supporto all’Ucraina nella sua resistenza contro la Russia. Nel farlo ha messo sul tavolo tre richieste solitamente avanzate dai russi: 1) gli ucraini non potranno riprendere i territori occupati. Sicuramente dovranno accettare annessione Crimea 2) l’Ucraina può scordarsi l’ingresso nella NATO  3) l’America non può disperdere le sue forze, concentrandosi sulla difesa contro la Cina, dovrebbe ritirare la sua presenza dal territorio europeo. A questo è seguito l’annuncio di Trump di aver parlato in modo molto proficuo con Putin al telefono, preludio di visite dei due leader nei rispettivi paesi.

E arriviamo così alla Conferenza di Monaco e al discorso inquietante di Vance. La prima Conferenza sulla sicurezza di Monaco, vale la pena ricordarlo. si tenne nel 1963, su iniziativa di Ewald Von Kleist, membro della resistenza antinazista. Lo scopo originario era quello di riunire tedeschi, americani e altri europei per una discussione annuale sulla sicurezza e per un rafforzamento dell’impegno transatlantico condiviso a favore dei valori democratici e dello Stato di diritto. 

Non so se avete visto il film The Order. Racconta la storia vera di una organizzazione terroristica realmente esistita per un breve periodo negli anni ’80, guidata da Bob Mathews. Mathews era diventato insofferente al piano di lungo termine del fondatore delle Nazioni Ariane, Richard Butler, per la creazione di una nazione di soli bianchi, nel Pacifico nord-occidentale. E così organizza un gruppo secessionista, L’Ordine appunto, dedicata al rovesciamento del governo degli Stati Uniti con ogni mezzo possibile. L’organizzazione prima di essere smantellata dall’FBI, si rese responsabile di rapine a mano armata, contraffazione di denaro, violenze e omicidi. 

Come molti nazionalisti bianchi, Mathews è stato influenzato dal romanzo del 1978 The Turner diaries, I diari di Turner, che ha ispirato l'assalto al Congresso americano del 6 gennaio 2021). Il libro racconta di un personaggio nazionalista bianco, Earl Turner, che tenta di rovesciare il governo degli Stati Uniti e trama per far volare un aereo con una testata nucleare contro il Pentagono. C’è una scena del film emblematica: il capo del gruppo Aryan Nations, Butler, ha un confronto con Mathews e gli chiede cosa stesse facendo: “Noi non usiamo la violenza, il nostro è un progetto a lungo termine e da qui a 10 anni prevede di insediare i nostri membri direttamente dentro il Congresso, alla Camera, al Senato fino alla Casa Bianca”. 

Quando ho ascoltato questo passaggio, immediatamente ho pensato: alla fine ci hanno messo un po’ di più ma è quello a cui stiamo assistendo oggi. Un piano che parte da lontano e che a un certo punto ha visto l’appoggio e il contributo della cosiddetta Paypal mafia e dei cosiddetti broligarchi: Elon Musk, Peter Thiel il fondatore di Paypal, Mark Zuckerberg e altri signori della Silicon Valley, che uniscono ricchezza sconfinata a strapotere tecnologico. 

Su Musk e Thiel vi invito a leggere un articolo illuminante sul Guardian che spiega come le radici della Paypal mafia si estendano fino al Sudafrica dell’apartheid, ricostruendo l’infanzia di Elon Musk cresciuto con i privilegi di un ordine razziale stratificato e Peter Thiel che ha vissuto in una città dove si venerava Hitler. Per la cronaca, Peter Thiel è la mente dietro l’ascesa politica di JD Vance, un membro di spicco del movimento politico che ha lanciato l'assalto del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti. 

Torniamo proprio a Vance e al suo intervento a Monaco: un attacco in piena regola in nome di una precisa ideologia. L’Europa non è minacciata dalla Russia o dalla Cina, ma piuttosto, dice, esiste una “minaccia dall’interno” rappresentata  da quei principi democratici di uguaglianza davanti alla legge che gli ideologi di destra credono indeboliscano una nazione trattando le donne e le minoranze “razziali”, religiose e di genere come uguali agli uomini cristiani bianchi. Dopo aver detto all’Europa di “cambiare rotta e portare la nostra civiltà condivisa in una nuova direzione”, Vance ha rifiutato di incontrare il cancelliere tedesco Olaf Scholz e ha invece incontrato la leader del partito politico tedesco di estrema destra che è associato ai neonazisti.

Come ha scritto Patrick Wintour, quel discorso è stata una chiamata alle armi affinché l’estrema potesse prendere il potere in Europa e la promessa che il “nuovo sceriffo in città” li avrebbe aiutati a farlo.

Per anni, molti attivisti MAGA, come Steve Bannon, hanno rivendicato un’affinità con l’ideologo di Putin, Alexander Dugin, che Bannon ha incontrato e lodato. Entrambi credono che le élite europee promuovano un’ideologia “globalista” che nega l’esistenza di culture e tradizioni diverse. Ma una cosa era che Bannon vedesse queste connessioni, un’altra che diventassero l'agenda politica della Casa Bianca.

Per il movimento MAGA, e per Vance, il ritiro dall’Europa attuale non riguarda la condivisione degli oneri, l’isolazionismo americano, le controversie sull’affidabilità di Putin, o anche le tariffe, ma riguarda una spaccatura ideologica.

Fa impressione se pensiamo che nel 2007 Putin proprio alla conferenza di Monaco di allora pronunciò un attacco simile, brutale e secco. Fu l’inizio dello strappo fra Putin e l’Occidente. Un discorso sottovalutato. Nessuno capì davvero la portata di quelle parole, quando dichiarò che il collasso sovietico fu la più grande catastrofe geopolitica del secolo. Pensavano fosse una iperbole, invece era un manifesto. Ha scritto Natalia Antelava, direttrice di Coda Story

“Ogni azione successiva (l'invasione della Georgia, l'annessione della Crimea, l'abbattimento del volo MH17, l'avvelenamento di Skripal, l'uccisione di Navalny) non è stata un incidente isolato, ma una mossa a scacchi attentamente orchestrata. E ora ha vinto la partita lunga due decenni, realizzando ciò che generazioni di leader sovietici potevano solo sognare: Putin lo ha fatto non attraverso carri armati e missili, ma attraverso la pazienza strategica, la manipolazione delle istituzioni democratiche e una fede incrollabile nel destino geopolitico russo.

Questo nuovo finale della Guerra Fredda non si conclude con il trionfo della democrazia liberale occidentale, ma con il suo sistematico smantellamento. L'impalcatura ideologica portante del Cremlino, in cui il potere è verità, i principi sono debolezza e il clientelismo è l'unica vera ideologia, ora definisce la Casa Bianca”. 

Nella newsletter Letter from an American la storica americana Heather Cox Richardson ogni giorno mette insieme i fatti più importanti da sapere su quello che sta succedendo in America. Richardson ha ricostruito la storia recente dell’Ucraina e gli inquietanti legami emersi fra la Russia di Putin e Trump prima ancora delle elezioni del 2016 [nel menù a tendina la traduzione del suo articolo, nda]. 

La figura chiave è Paul Manafort, un consulente politico a cui si rivolge Viktor Yanukovych. Sostenuto da Mosca, nel 2004 vince le elezioni presidenziali in Ucraina. Ma il voto fu così pieno di brogli, compreso l'avvelenamento di un rivale che voleva rompere i legami con la Russia e allineare l'Ucraina all'Europa, che il governo degli Stati Uniti e altri osservatori internazionali non riconobbero i risultati delle elezioni. Il governo ucraino annullò le elezioni e ne chiese la ripetizione. Con l’aiuto di Manafort, che già lavorava per il miliardario russo Oleg Deripaska, Yanukovych vince le elezioni presidenziali nel 2010. Spinge sempre più il paese verso la Russia fino alle proteste contro il suo governo nel 2014 che portano alla rivoluzione di EuroMaidan, quella che gli ucraini chiamano Rivoluzione della dignità. Yanukovych fugge in Russia e Manafort si ritrova senza un mecenate e con un debito di circa 17 milioni di dollari nei confronti di Deripaska. Nel 2016 riemerge la sua figura questa volta negli USA quando corre in aiuto della campagna di Trump. Ed è in questo momento che si intrecciano interessi e affari fra Manafort, Trump e Putin, attraverso agenti dell'intelligence russa.

La storia recente dell’Ucraina e la relazione Putin-Trump, a cura di Heather Cox Richardson

La lotta dell'Ucraina per mantenere la propria sovranità, indipendenza e il proprio territorio è diventata una lotta per i principi stabiliti dalle Nazioni Unite, istituite all'indomani della Seconda Guerra Mondiale dai paesi alleati in quella guerra, per stabilire regole internazionali che, come diceva la Carta delle Nazioni Unite, avrebbero impedito “il flagello della guerra, che due volte nella nostra vita ha portato indicibili sofferenze all'umanità, e per riaffermare la fede nei diritti umani fondamentali”. Fondamentale per tali principi e regole era che i membri non avrebbero attaccato l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi altro paese. Nel 1949 l'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) si riunì per frenare la crescente aggressione sovietica in base a un patto secondo cui un attacco a uno qualsiasi degli Stati membri sarebbe stato considerato un attacco a tutti.

Il principio della sovranità nazionale è messo alla prova in Ucraina. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, l'Ucraina deteneva circa un terzo delle armi nucleari dell'URSS, ma le ha cedute in cambio di pagamenti e garanzie di sicurezza da parte di Russia, Stati Uniti e Regno Unito, che avrebbero rispettato la sovranità dell'Ucraina entro i suoi confini esistenti. Ma l'Ucraina si trova tra la Russia e l'Europa e, poiché l'Ucraina mostrava sempre più la tendenza a rivolgersi all'Europa piuttosto che alla Russia, il leader russo Putin ha lavorato per mettere i propri fantocci a capo del governo ucraino con l'aspettativa che avrebbero tenuto l'Ucraina, con le sue vaste risorse, legata alla Russia.

Nel 2004 sembrava che il politico Viktor Yanukovych, sostenuto dalla Russia, avesse vinto le elezioni presidenziali in Ucraina, ma il voto fu così pieno di brogli, compreso l'avvelenamento di un rivale chiave che voleva rompere i legami con la Russia e allineare l'Ucraina all'Europa, che il governo degli Stati Uniti e altri osservatori internazionali non riconobbero i risultati delle elezioni. Il governo ucraino annullò le elezioni e ne chiese la ripetizione.

Per riabilitare la sua immagine, Yanukovich si rivolse al consulente politico americano Paul Manafort, che già lavorava per il miliardario russo Oleg Deripaska. Con l'aiuto di Manafort, Yanukovich vinse le elezioni presidenziali nel 2010 e iniziò a spingere l'Ucraina verso la Russia. Quando Yanukovich invertì improvvisamente la rotta dell'Ucraina sulla cooperazione con l'Unione Europea accettando invece un prestito di 3 miliardi di dollari dalla Russia, gli studenti ucraini protestarono. Il 18 febbraio 2014, dopo mesi di proteste popolari, gli ucraini spodestarono Yanukovich dal potere nella Rivoluzione di Maidan, nota anche come Rivoluzione della dignità, e lui fuggì in Russia.

Poco dopo la cacciata di Yanukovich, la Russia ha invaso la Crimea e l'ha annessa. L'invasione ha spinto gli Stati Uniti e l'Unione Europea a imporre sanzioni economiche alla Russia e a specifiche aziende e oligarchi russi, vietando loro di fare affari nei territori statunitensi. Le sanzioni dell'UE hanno congelato i beni, vietato le merci dalla Crimea e vietato i viaggi di alcuni russi in Europa.

La caduta di Yanukovich aveva lasciato Manafort senza un mecenate e con un debito di circa 17 milioni di dollari nei confronti di Deripaska. Negli Stati Uniti, nel 2016, il personaggio televisivo Donald Trump era in corsa per la presidenza, ma la sua campagna stava naufragando. Manafort intervenne per aiutarlo. Non prese uno stipendio, ma contattò Deripaska attraverso uno dei suoi soci d'affari ucraini, Konstantin Kilimnik, subito dopo aver ottenuto il lavoro, chiedendogli: “Come possiamo fare per ottenere tutto? Ha visto l'operazione OVD [Oleg Vladimirovich Deripaska]?”.

Secondo la ricostruzione del giornalista Jim Rutenberg, nel 2016 agenti russi hanno presentato a Manafort un piano “per la creazione di una repubblica autonoma nell'Ucraina orientale, dando a Putin il controllo effettivo del cuore industriale del paese”. In cambio dell'indebolimento del sostegno della NATO e degli Stati Uniti all'Ucraina, della decisione di chiudere un occhio mentre la Russia conquistava l'Ucraina orientale e della rimozione delle sanzioni statunitensi nei confronti delle entità russe, gli agenti russi erano disposti ad aiutare Trump a conquistare la Casa Bianca. Nel 2020, la Commissione di intelligence del Senato, a maggioranza repubblicana, ha stabilito che il partner commerciale ucraino di Manafort, Kilimnik, descritto come un “ufficiale dell'intelligence russa”, ha fatto da collegamento tra Manafort e Deripaska mentre Manafort gestiva la campagna di Trump.

I funzionari del governo sapevano che qualcosa stava accadendo tra la campagna di Trump e la Russia. Alla fine di luglio 2016, il direttore dell'FBI James Comey ha aperto un'indagine di controspionaggio sull'interferenza russa nelle elezioni del 2016. Dopo la vittoria di Trump, l'FBI ha sorpreso il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, il tenente generale Michael Flynn, mentre assicurava all'ambasciatore russo Sergey Kislyak che la nuova amministrazione avrebbe cambiato la politica degli Stati Uniti nei confronti della Russia. Poco dopo l'insediamento di Trump, Flynn dovette dimettersi e Trump chiese a Comey di abbandonare le indagini su Flynn. Quando Comey rifiutò, Trump lo licenziò. Il giorno dopo, disse a una delegazione russa che stava ospitando nello Studio Ovale: “Ho appena licenziato il capo dell'FBI. Era pazzo, un vero e proprio pazzo… Ho dovuto affrontare grandi pressioni a causa della Russia. Ora è tutto finito”.

Trump ha cambiato la politica degli Stati Uniti nei confronti della Russia, ma questo cambiamento ha avuto ripercussioni su di lui. Nel 2019, con l'aiuto dell'alleato Rudy Giuliani, Trump ha pianificato di invitare alla Casa Bianca il presidente filorusso dell'Ucraina, Petro Poroshenko, per aumentare le sue possibilità di rielezione. In cambio, Poroshenko avrebbe annunciato che stava indagando su Hunter Biden per il suo lavoro con la compagnia energetica ucraina Burisma, indebolendo così il principale rivale di Trump, il democratico Joe Biden, alle elezioni presidenziali del 2020.

Ma poi, quell'aprile, gli elettori ucraini hanno eletto Volodymyr Zelensky invece di Poroshenko. Trump trattenne i fondi che il Congresso aveva stanziato per la difesa dell'Ucraina contro la Russia e suggerì che li avrebbe sbloccati solo dopo che Zelensky avesse annunciato un'indagine su Hunter Biden. Quella telefonata del luglio 2019 diede il via al primo impeachment di Trump il quale, dopo l'assoluzione del Senato nel febbraio 2020, diede il via a sua volta al tour di vendetta e in seguito alla Grande Bugia con cui sosteneva di aver vinto le presidenziali del 2020. La drammatica rottura con le tradizioni democratiche degli Stati Uniti, quando Trump e i suoi compari hanno cercato di ribaltare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020, è stata in linea con la crescente deriva verso le tattiche politiche della Russia.

Quando Biden si è insediato, lui e il Segretario di Stato Antony Blinken hanno lavorato febbrilmente per rafforzare la NATO, insieme ad altre alleanze e partnership statunitensi. Nel febbraio 2022, Putin ha lanciato un'altra invasione dell'Ucraina, tentando un attacco lampo per conquistare le regioni ricche del paese per le quali il suo popolo aveva negoziato con Manafort nel 2016. Ma invece di una rapida vittoria, Putin si è ritrovato impantanato. Zelenskyj si è rifiutato di lasciare il paese e ha invece sostenuto la resistenza, dicendo agli americani che si sono offerti di metterlo in salvo: “La lotta è qui; ho bisogno di munizioni, non di un passaggio”. Con il sostegno di Biden e Blinken, gli alleati della NATO e altri partner hanno sostenuto l'Ucraina per impedire a Putin di smantellare l'ordine internazionale basato sulle regole del dopoguerra e di diffondere ulteriormente la guerra in Europa.

Quando ha lasciato l'incarico appena un mese fa, Biden ha detto che lasciava l'amministrazione Trump con una posizione di forza in politica estera, lasciando un'America con più amici e alleanze più forti, i cui avversari sono più deboli e sotto pressione, rispetto a quando ha assunto l'incarico. Ora, nell'anniversario del giorno in cui il popolo ucraino ha estromesso Viktor Janukovyč nel 2014 (Putin è famoso per lanciare attacchi in occasione di anniversari), gli Stati Uniti hanno voltato le spalle all'Ucraina e a 80 anni di alleanze in tempo di pace a favore del sostegno alla Russia di Vladimir Putin. “Ora abbiamo un'alleanza tra un presidente russo che vuole distruggere l'Europa e un presidente americano che vuole anche lui distruggere l'Europa”, ha detto un diplomatico europeo. “L'alleanza transatlantica è finita”.

E qui apriamo il capitolo dei rapporti fra il dittatore russo e l’aspirante tale Trump. Ed è il motivo per cui non definirei nuova l’alleanza fra i due. 

Proprio in queste ore, sta circolando nuovamente un articolo del 2021 del Guardian che riporta la testimonianza dell’ex spia del KGB, Yuri Shvets. Fonte principale del libro del giornalista Craig Unger, American Kompromat. Shvets rivela di come la Russia ha coltivato Trump come risorsa, come asset per 40 anni. 

Anna Appelbaum ricorda su The Atlantic di quando Trump nel 1987 (ndr anno del suo primo viaggio a Mosca) acquistò annunci a tutta pagina su tre quotidiani, sostenendo che “per decenni, il Giappone e altre nazioni si sono approfittati degli Stati Uniti”. Nel 2000 scrisse che “ritirarsi dall’Europa farebbe risparmiare a questo paese milioni di dollari ogni anno”.

Non sorprende che il 30 gennaio scorso la commissione Intelligence del Senato degli Stati Uniti d’America abbia approvato la nomina di Tulsi Gabbard a capo della National Intelligence, voluta da Trump. Una figura fortemente compromessa per le sue posizioni su Russia e Siria, tanto da essere definita una risorsa russa. Gabbard ha dichiarato che l’invasione russa dell’Ucraina è la risposta giustificata all’espansione della NATO e, nel viaggio a Damasco del 2017 per incontrare l’allora dittatore Bashar al-Assad, rifugiatosi a Mosca dopo la caduta del suo regime, si è detta “scettica” sul fatto che egli abbia usato armi chimiche contro il suo stesso popolo (nonostante le prove del contrario). Tempo fa aveva realizzato un video su TikTok in cui riecheggiava direttamente la propaganda russa definendo Zelensky, un dittatore e la stessa nazione ucraina illegittima. 

Non dobbiamo fare l’errore di pensare che Trump-Vance-Musk sia solo l’America. Con la stessa furia con cui stanno sventrando gli equilibri democratici interni si stanno abbattendo fuori dai confini americani. L’obiettivo è spostare il mondo verso il rifiuto della democrazia a favore dell’autoritarismo di estrema destra. David Ingram e Bruna Horvath di NBC News hanno ricostruito che Musk ha “incoraggiato movimenti politici, politiche e amministrazioni di destra in almeno 18 paesi in una spinta globale per respingere l’immigrazione e limitare la regolamentazione del mercato.

Oltre all’appoggio all’AfD in Germania, Musk ha dato il proprio sostegno a movimenti di estrema destra in Brasile, Irlanda, Argentina, Italia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Paesi Bassi e altri paesi. Il mese scorso, prima che Trump entrasse in carica, il presidente francese Emmanuel Macron ha accusato Musk di sostenere un movimento reazionario globale e di intervenire direttamente nelle elezioni, comprese quelle tedesche.

La propaganda russa sta spingendo l’ascesa dell’estrema destra in Europa attraverso i social media, come ha fatto negli Stati Uniti. Il presidente russo Vladimir Putin ha cercato a lungo di indebolire le alleanze democratiche degli Stati Uniti e dell’Europa. Ed è esattamente quello che sta ottenendo, oggi anche grazie alla complicità di Trump-Musk. Inutile dire che le tv di Stato russe hanno esultato davanti al discorso di Vance a Monaco: “Europa umiliata, il padrone ha fustigato i suoi vecchi vassalli. Gli Usa che si sfilano dall'alleanza con l’Europa sono una vittoria per la Russia”. 

Ha scritto Bill Kristol, in The Bulwark, a proposito di quel discorso: “È rincuorante che oggi i leader dei due maggiori partiti tedeschi siano inequivocabilmente antinazisti e antifascisti. È orribile che oggi il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti d’America non lo siano”. La risposta del cancelliere tedesco Olaf Scholz è stata durissima: “Respingiamo fermamente le ingerenze. Mai più fascismo, mai più razzismo, mai più guerra di aggressione…. Le democrazie di oggi in Germania e in Europa si fondano sulla coscienza storica e sulla consapevolezza che le democrazie possono essere distrutte da estremisti antidemocratici”.

Oggi dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Occidente non esiste più. L’Europa non può più vedere negli Stati Uniti di Trump degli alleati. Trump e Vance sono stati cristallini: l’America non è più un alleato, ma un antagonista dei valori democratici.

“L’anno scorso, - ha scritto Michael Tomasky su The New Republic - in molti avevano avvertito che sotto una seconda amministrazione Trump, gli Stati Uniti avrebbero cambiato radicalmente la loro posizione nei confronti del mondo. Che il nostro paese sarebbe passato dall’essere (anche se in modo imperfetto) il fulcro delle democrazie all’essere il leader del movimento globale di una destra estrema e anti-democratica. Allora si trattava di speculazioni. Ora sta accadendo proprio sotto i nostri occhi… Passo dopo passo, gli Stati Uniti d’America stanno diventando parte di una rete fascista globale”.

Immagine in anteprima: Buaidh, CC0, via Wikimedia Commons

 

Diamo voce alla Russia per la Pace. Incontro con Alisa Skopinsteva

I movimenti di opposizione e dissenso, per i diritti umani, sono l’espressione di quella società civile russa che ha sempre rifiutato la guerra. Ora che Putin e Trump vogliono spartirsi l’Ucraina, dopo un conflitti armato sanguinoso di tre anni, che ha fatto un milione di morti e incalcolabili danni materiali ed economici, è tempo che la parola torni a chi davvero costruisce la pace. Gli obiettori di coscienza russi e ucraini, i disertori delle due parti, che non hanno voluto partecipare alla guerra fratricida, devono sedere al tavolo del dialogo, per una conferenza internazionale di pace.

Sabato 22 febbraio, ore 11 – Conferenza stampa aperta alla Casa per la Nonviolenza in via Spagna, 8 a Verona

Campagna di Obiezione alla guerra del Movimento Nonviolento

Alisa Skopintseva

È una attivista russa specializzata in movimenti di dissenso e protesta pacifica nell’Europa orientale. Ha 25 anni. Laureata in Storia all’Università di Mosca, per sette anni ha lavorato al Memorial Internationale (organizzazione indipendente di denuncia dei crimini del regime sovietico), al Centro Sakharov (centro culturale di promozione dei diritti umani), e alla Duma di Stato (assemblea federale della Federazione Russa) per un deputato dell’opposizione. A causa delle sue attività politiche, per evitare una dura repressione, ha dovuto fuggire ed attualmente vive a Tbilisi, in esilio, in Georgia, e lavora per le organizzazioni StopArmy e EBCO/BEOC (Ufficio Europeo per l’Obiezione di coscienza) nella raccolta fondi per le organizzazioni per i diritti umani e della società civile russa, costruendo partenariati con istituzioni e associazioni europee a sostegno degli obiettori di coscienza, dei disertori e dei renitenti alla leva russi.

Il movimento StopArmy

Mentre prosegue da tre anni la guerra della Russia contro l’Ucraina, migliaia di ragazzi russi si rifiutano di prestare servizio, affrontando persecuzioni, prigionia o esilio. Il Movimento StopArmy fornisce assistenza legale e sostegno per proteggere i diritti umani, ma non possono farcela da soli. Sostenere gli obiettori di coscienza in Russia significa sfidare il militarismo e difendere il diritto di rifiutare la guerra in tutta Europa. Questa Campagna fa luce sulla lotta di chi rifiuta e obietta alla guerra, sui rischi che corrono e su come esattamente la solidarietà internazionale sta apportando un cambiamento. Chiedono sostegno internazionale e solidarietà con coloro che resistono e obiettano alla guerra.

Movimento Nonviolento

Europa, USA, Russia: ma quale Pace?

Ciò che sta avvenendo è la spartizione territoriale dell’Ucraina tra Russia e Stati Uniti, dopo tre anni di sanguinoso conflitto, un milione di morti, danni materiali ed economici incalcolabili, sofferenze ed impoverimento generale. La Russia otterrà l’espansione regionale in Crimea e Donbass, gli Stati Uniti metteranno le mani sulle “terre rare”, mentre l’Europa sta a guardare e l’Ucraina ne esce commissariata.

Questo è il risultato della scelta militare fatta, che ha trasformato l’intera Europa in una regione ad economia di guerra, a traino della Nato. La retorica del “prima la Vittoria, poi la Pace” si è rivelata per quello che era davvero “prima la Guerra, poi la Sconfitta”. E a perderci, prima di tutti, è il popolo ucraino, che vede svanire la propria sovranità, dopo aver sacrificato un’intera generazione di giovani sull’altare del nazionalismo. L’Europa a 27 velocità, che ha accettato il ruolo di comparsa nell’Alleanza Atlantica, è indebolita e afona. Per “salvare il salvabile” si vorrebbe ancora una volta puntare tutto sulla politica di riarmo, la stessa che ha distrutto il sistema sociale della sanità e dell’istruzione nei nostri paesi. Errore fatale. L’Europa, per affrontare la questione Ucraina, ha bisogno di una politica comune di sicurezza, pace e cooperazione, non di una politica di potenza e difesa militare, e deve avere una propria visione democratica alternativa a quella oligarchica di Stati Uniti e autoritaria della Federazione Russa.

Cinque possibili passi necessari di strategia nonviolenta, per prevenire un’ulteriore escalation e per costruire una vera pace:

– creazione di una “linea di pace” sui confini tra Europa e Russia (Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Ucraina) con l’istituzione di una zona smilitarizzata, un corridoio (500 chilometri di larghezza) per tutto il confine (3000 chilometri di lunghezza). Questo lungo fronte di terra smilitarizzata, da una parte e dall’altra, non potrebbe essere attraversato da truppe militari della Russia o della Nato, o di altri eserciti europei: così si favorirebbe la distensione. La definizione e poi il controllo di questa zona russo/europea smilitarizzata (dal Mar Bianco al Mar Nero) prevede il negoziato e lo sviluppo di meccanismi di verifica efficaci; anziché concentrarsi sulla militarizzazione nazionale, ci si concentra su una zona di demilitarizzazione internazionale, pan europea, affidata a tutti i paesi coinvolti;

– avviare immediatamente una “moratoria nucleare” che coinvolga i paesi detentori di armi nucleari presenti sul continente europeo (Francia, Regno Unito, Russia, e Stati Uniti con ordigni presenti anche in Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi): impegno al non utilizzo, e apertura di negoziati per l’adesione concordata e multilaterale al TPNW (Trattato per la messa al bando delle armi nucleari);

– avviare un progetto esecutivo per la costituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo, per la gestione non militare della crisi. Tra non fare nulla e mandare truppe armate, c’è lo spazio per fare subito qualcosa di utile, nell’ambito della politica di sicurezza per intervenire a livello civile nei conflitti prima che questi sfocino in guerra vera e propria, come avvenuto il 24 febbraio 2022.

I Corpi di Pace vanno costituiti e finanziati come una brigata permanente dell’Unione Europea: la loro costituzione deve rientrare nelle competenze della Commissione Europea;

– dare la parola ai movimenti civili e democratici che in Russia, Ucraina e Bielorussia si sono opposti da subito alla guerra e hanno avanzato proposte di pace, a partire dal sostegno agli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva delle parti in conflitto. Convocare con loro, veri portatori di interessi comuni, un “tavolo delle trattative” in zona neutrale e simbolica (Città del Vaticano);

– convocare una Conferenza internazionale di pace (sotto egida ONU, con tutti gli attori internazionali coinvolti e disponibili) basata sul rispetto del Diritto internazionale vigente e sul concetto di sicurezza condivisa, che metta al sicuro la pace anche per il futuro.

La Campagna di Obiezione alla guerra offre uno  strumento concreto per attuare il diritto umano fondamentale alla pace, che sul piano politico significa per gli Stati: obbligo di disarmare, obbligo di riformare in senso democratico e far funzionare i legittimi organismi internazionali di sicurezza collettiva a cominciare dalle Nazioni Unite, obbligo di conferire parte delle forze armate all’ONU come previsto dall’articolo 43 della Carta delle Nazioni Unite, obbligo di riconvertire e formare tali forze per l’esercizio di funzioni di polizia internazionale sotto comando sopranazionale, obbligo di sottoporsi alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Aderendo concretamente alla Campagna ognuno ha la possibilità personale di dichiarare formalmente la propria obiezione di coscienza e nel contempo sostenere concretamente i nonviolenti russi e ucraini che sono le uniche voci delle due parti che stanno già dialogando realmente tra di loro, che creano un ponte su cui può transitare la pace, grazie al coraggio e all’impegno di chi a Kyiv e Mosca, rischiando di persona, lavora per la crescita della nonviolenza organizzata.

Movimento Nonviolento

Movimento Nonviolento

Incontro Mattarella – Herzog: diritto internazionale à la carte

Assopace Palestina afferma la sua indignazione e sconcerto alla calorosa accoglienza riservata ieri dal nostro Presidente della Repubblica Mattarella al Presidente israeliano Herzog, nel corso del secondo incontro ufficiale dall’inizio delle operazioni militari contro Gaza e Cisgiordania.

Il nostro Presidente della Repubblica, a nome di tutti gli italiani, ha affermato che “La sua presenza a Roma è un onore per la Repubblica italiana”, passando poi a parlare esclusivamente dell’impegno dell’Italia contro l’antisemitismo che, a suo dire, sarebbe aumentato, ma non ha espresso neanche una parola sulla situazione nei territori palestinesi e sul piano di deportazione e pulizia etnica della Palestina in primo luogo dei Gazawi, nemmeno una parola di dolore e di vicinanza alla popolazione palestinese cosi colpita dall’aggressione israeliana.

Ci preme ricordare che Herzog è colui che, il 12 ottobre 2023, dichiarò “è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, che non sono coinvolti, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto insorgere, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio […] noi combatteremo fino a quando non spezzeremo loro la spina dorsale.”; è colui che si è fatto ritrarre in foto mentre scriveva “mi affido a te” sui missili destinati a colpire qualche casa, ospedale, scuola o tendopoli di Gaza; è colui che ha attaccato l’Onu, la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale di “bancarotta morale” perché hanno osato condannare i numerosi crimini compiuti contro la popolazione inerme di Gaza. E ricordiamo, infine, che le dichiarazioni di Herzog sono state allegate al fascicolo presentato all’Aja come una delle prove dell’intenzionalità di colpire i civili e quindi dell’avvenuto genocidio.

Ebbene, ci chiediamo quale dissonanza cognitiva abbia portato il nostro Presidente della Repubblica a ricordare e difendere giustamente il diritto internazionale quando si è trattato di criticare la Russia, e dimenticarsene completamente quando ha accolto a braccia aperte il presidente di uno stato accusato di genocidio presso la più alta Corte di diritto internazionale.

Chiediamo al nostro Presidente di dichiarare la sua vicinanza e il suo dolore per l’ingiustizia e le sofferenze subite del popolo palestinese e la necessità di riconoscere lo Stato Palestinese.

Ricordiamo, infine, che mentre si reitera la linea dei due popoli e due stati sempre ieri, nel frattempo il Senato della Repubblica respingeva una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina, promossa dal m5s e sostenuta da AVS e PD, ma bocciata a causa dei voti contrari di 80 senatori di tutti gli altri schieramenti. Un’altra pagina triste della nostra politica.

Luisa Morgantini – Presidente di Assopace Palestina
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Assopace Palestina